Partito della Rifondazione Comunista

Comitato Politico Nazionale
Roma, 3 - 4 febbraio 2001

Relazione di Fausto Bertinotti

Care compagne, cari compagni oggi nel nostro comitato politico nazionale dobbiamo assumere una scelta impegnativa per le prossime elezioni. Per farlo dobbiamo tenere ben presente che le cose intorno a noi possono cambiare molto rapidamente. Il peggior errore che possiamo commettere è pensare che siamo di fronte ad una situazione statica. In realtà è esattamente il contrario: agiamo su un terreno molto accidentato, con movimenti rapidi ed imprevisti. Quello che oggi può apparire un azzardo domani può risultare una proposta matura ed efficace e diventare un fattore attivo nella vicenda politica del paese.

Noi siamo con tutta evidenza di fronte ad una incrinatura del "pensiero unico”. Ormai è all’ordine del giorno l’interrogativo sull’aprirsi di una crisi: i grandi di Davos si interrogano su quanto sta avvenendo. Essi affermano che se si va avanti così si rischia di andare a sbattere contro un muro. Solo qualche mese fa una riflessione di questo genere era improponibile.

Nel nostro paese assistiamo a una ripresa del conflitto operaio. Lo testimonia lo sciopero alla Fiat, con il doloroso incidente di un’automobile che investe due lavoratori e che ci parla dell’esistenza di un livore antioperaio. Ma il fatto più importante sono gli scioperi spontanei in uno stabilimento come quello di Mirafiori, che fino a poco fa pareva un luogo desertificato. 180 lavoratori precari non ottengono il rinnovo del contratto, vengono cacciati via, per questo vengono organizzati scioperi, avvengono fermate del lavoro spontanee, con cortei interni.

Il fatto che la stampa ignori tutto ciò conferma l’insensibilità dei mass-media verso la questione operaia. Questi scioperi confermano l’esistenza di un disgelo nei movimenti di massa. Nulla è più fermo. Per questo è il momento in cui dobbiamo osare.

Una scelta consolidata

Il compito del nostro comitato politico nazionale è importante, e noi vi proponiamo di adottare nella sostanza la risoluzione dell’ultima riunione della direzione nazionale.

Noi oggi arriviamo ad una scelta conclusiva sulla nostra collocazione nella campagna elettorale. Questa non è frutto di improvvisazione, ma al contrario di una maturazione lunga e coerente. Questa nostra scelta è stata guidata dall’analisi della collocazione politica del nostro partito e quindi è stata definita da lungo tempo. Abbiamo chiamato questa scelta riduzione del danno o non belligeranza, terminologie che non ci hanno mai soddisfatto e che però sono state ormai assunte dal senso comune. In sostanza la nostra scelta difende una collocazione autonoma del nostro partito. Cosa sarebbe accaduto se non avessimo deciso per tempo? Saremmo stati pressati e sovrastati dalle posizioni altrui, saremmo stati come fuscelli nelle onde. Invece l’anticipazione della decisione, che qui oggi sanciamo definitivamente, ci ha permesso di tenere ben ferma la rotta.

Questa scelta nasce dal modo con cui noi ci siamo collocati nella società. Nasce dalla rottura che avvenne con il governo Prodi e dalla conseguente collocazione all’opposizione per lavorare alla costruzione di un’alternativa. Questa scelta non è mai venuta meno ad uno spirito unitario, cioè non ha mai accettato di scadere nel settarismo o nell’autarchia. Ora ne traiamo le conseguenze con una coerente scelta elettorale. Il Prc si colloca fuori dai due poli, contrapposto frontalmente al centrodestra e con una critica radicale al centrosinistra. Non siamo però indifferenti al risultato elettorale, quindi alla contesa fra centrodestra e centrosinistra. Quindi bisogna sapere incidere sull’esito dello scontro elettorale, dobbiamo porci il problema della sconfitta delle destre.

Due tattiche nell’Ulivo

Nelle scorse settimane vi è stata una intensificazione del dibattito sulla nostra scelta. Finché è stata in piedi la possibilità, seppur remota per insipienza del centrosinistra, di fare una nuova legge elettorale, la nostra posizione era, per così dire, meno in luce. Da quando è tramontata questa possibilità, per la quale noi stessi ci siamo battuti, vi è stata una precipitazione nel centrosinistra di due reazioni. La prima si basa sull’idea di una contrapposizione frontale a sinistra, e interpretata da quella che abbiamo chiamato l’anima militare del centrosinistra; si basa sull’idea che una sinistra alternativa deve essere assorbita con le buone o con le cattive nel centrosinistra, ovvero o si fa quello che vogliono loro o veniamo distrutti. La seconda si configura come un atteggiamento ispirato a una migliore civiltà politica ed è più disponibile a praticare momenti di dialogo e di confronto. La partita ora non è conclusa, ma quando la scelta diventerà ancora più stringente, è prevedibile che sarà più pressante il tentativo di scaricare su di noi la crisi del centrosinistra.

La prima posizione non nasce solamente da una propensione ideologica o da una specifica malevolenza nei nostri confronti, che pure esistono. Ma nasce da un’idea del futuro che sconta la sconfitta elettorale del centrosinistra e individua quindi un unico nemico da battere, cioè la sinistra alternativa. In altre parole non potendo vincere contro il centrodestra questa posizione vuole almeno risolvere un problema, cioè liquidare la sinistra alternativa, per poter ricompattare un’aggregazione politica guidata con mano ferma e che potrebbe puntare ad una futura intesa con lo stesso Berlusconi. In sostanza questa posizione pensa a un dopo elezioni nel quale è pensabile un’alleanza tra pari e una coopartecipazione: cioè una stabilità fondata su una intercambiabilità di ceti politici dirigenti, garantita dalla vicinanza di contenuto degli schieramenti dei poli.

In sostanza si tratta di un’anima insieme concertativa e autoritaria che pensa che la grande politica sia morta e che dunque l’unica prospettiva sia un’amministrazione dell’esistente operata da ceti politici simili espressione di blocchi sociali differenziati. L’obiettivo è quindi di avere un capitalismo stabile a guida moderata.

L’altra posizione non dà invece per vinta la partita da parte della destra e vede in modo più problematico e aperto il tema delle alleanze. Tuttavia è una posizione che resta a metà del guado, perché pensa che nel centrosinistra sia inamovibile quello che è stato il suo nocciolo duro, cioè la sua politica, il modo con cui ha governato, il suo asse strategico, cioè proprio tutto quello che ha fatto crescere le destre ed ha diviso le sinistre.

Rottura e dialogo

Noi siamo quindi chiamati a repliche diverse e su diversi fronti, ma la nostra politica può diventare un elemento di cambiamento. Per questo dobbiamo con pazienza ricostruire la genesi della nostra proposta, che è basata su un criterio di generosità e di unitarietà. Saremmo tentati di replicare con sdegno al centrosinistra, però, va sempre messo in luce il carattere unitario e aperto del nostro comportamento. Noi rinunciamo a candidarci nella parte maggioritaria alla camera: significa permettere al centrosinistra di avere circa 40-45 deputati in più. Non è affatto un atto dovuto né scontato. Ma dove nasce la nostra proposta? Da una riflessione che abbiamo condotto nel nostro partito e dalle prime esperienze di sinistra plurale che si sono venute affermando.

Non vi è alcuna possibilità di un accordo programmatico con il centrosinistra per ragioni politiche di fondo, che riguardano quanto è completamente avvenuto e il giudizio sui rispettivi programmi. Il centrosinistra è diventato in modo organico un presidio del processo di ristrutturazione capitalistica. La riapertura di un dialogo a sinistra richiede quindi necessariamente la rottura del centrosinistra. Il rifiuto sistematico di questa prospettiva ha reso impossibile un confronto programmatico positivo.

Tuttavia abbiamo evitato ogni conclusione settaria, giungendo ad una decisione unilaterale di non presentazione nella parte maggioritaria alla camera.

Fin dall’inizio abbiamo descritto una gamma di possibilità di diverso tenore politico con cui praticare la non belligeranza.

Non si può infatti guardare soltanto alle tecniche di presentazione elettorale, ma bisogna vedere anche e soprattutto le cornici politiche in cui si inseriscono. Un conto è una non belligeranza attiva, nella quale si chiarisce che il nemico principale sono le destre e se ne traggono le dovute conseguenze elettorali, un altro conto è la scelta di dire votate per noi di Rifondazione comunista e basta.

Risposte mancate

Noi abbiamo provato e riprovato a porre le condizioni di una belligeranza attiva. Non si può parlare solo del giorno dopo, quando si parla di atteggiamento unitario, bisogna preoccuparsi di quello che è successo il giorno prima. Andreotti e compagni mettono oggi sotto accusa il sistema elettorale maggioritario, e lo fanno da destra, noi lo abbiamo fatto da sinistra e per tempo, e non certo per ragioni di bottega. Abbiamo osservato con attenzione quanto è accaduto negli Usa, ove quel sistema elettorale cui tanti si ispirano, è entrato in crisi dal punto di vista politico e strutturale. Per tutte queste ragioni abbiamo indicato un quadro diverso per poter regolare lo scontro nel paese. La riduzione a due della contesa elettorale tra un sovrano Berlusconi e un’arroganza del centrosinistra che riesce ad allontanare perfino i più vicini è suicida. La proposta di riforma elettorale che è stata da noi avanzata è stata prima accantonata, poi riproposta debolmente, seppure con generosità da parte di alcuni dirigenti del centrosinistra, e poi definitivamente affossati.

Non abbiamo solo proposto il cambiamento delle regole del gioco, ma abbiamo cercato di costruire le condizioni politiche per una non belligeranza attiva. Da questo punto di vista la battaglia sulla legge finanziaria è stata di grande rilevanza. Lì noi abbiamo proposto la più classica delle operazioni socialdemocratiche. In sostanza abbiamo detto: siamo in dissenso su tutte le questioni strategiche, ma almeno facciamo un’operazione di redistribuzione, quindi eleviamo il minimo delle pensioni, aumentiamo salari e stipendi reali, diamo un salario sociale ai disoccupati, aboliamo i tickets sanitari. Siamo passati solo su quest’ultima questione, e ancora molti ci ringraziano. Abbiamo poi chiesto segnali sulla laicità dello stato, sul mantenimento dell’antifascismo, sui diritti dei cittadini: ma non abbiamo ottenuto risposte adeguate.

Vorrei dire allora a tutti coloro che nella sinistra si battono per posizioni unitarie che noi ci abbiamo effettivamente provato. Il nostro emendamento sui tickets è stato approvato da quasi tutto il parlamento, proprio perché quella proposta era ineludibile. Anche su altre questioni poteva essere così e così non è stato. A quelle forze unitarie diciamo allora che vi è stato il tempo in cui era possibile fare dei passi in avanti concreti in quella direzione, ma da parte del centrosinistra quel tempo è stato rifiutato o sprecato.

E’ impossibile, quindi, un accordo programmatico, non si sono realizzati segnali politici positivi, malgrado tutto questo noi non ci siamo chiusi in una fortezza, ma abbiamo tenuto ferma la nostra proposta. Lo abbiamo fatto perché abbiamo saputo guardare al futuro, perché vogliamo intervenire nella crisi già iniziata nel centrosinistra.

Ragioni da far valere

Vogliamo precisare bene quali saranno le nostre caratteristiche nella prossima scadenza elettorale; lo dobbiamo fare come un atto di rispetto verso tutte le compagne e i compagni che faranno una difficile campagna elettorale.

Il Prc deve essere presente nelle elezioni perché ogni cittadino sia nelle condizioni di votare. In questa scadenza la presenza del Prc è decisiva, è un investimento sul futuro del nostro progetto politico. Non è possibile pensare a una campagna elettorale in cui c’è la lotta tra i poli e poi c’è anche il Prc. Con il voto al Prc vi è il rifiuto alla omologazione. Senza Rifondazione comunista non vi sarebbe una criticità radicale nelle istituzioni.

Facciamo un esempio: sulla questione dell’uranio impoverito abbiamo avuto ragione su molti aspetti. In primo luogo sulla nostra analisi sulla guerra costituente, sulla questione più particolare della guerra dei Balcani, come anche dichiarato l’attuale presidente Kostunica, ma ancora più in particolare sul carattere letale dell’uso dei proiettili all’uranio impoverito. Solo il Prc ha saputo avanzare un punto di vista scientificamente corretto. Se infatti si fosse adottato il criterio epidemiologico che veniva proposto, non sarebbero possibili i processi contro le imprese, come quelle che usano l’amianto o il Pvc, che hanno determinato la morte dei lavoratori. Se infatti si escludono i principi del probabilismo e della eterogeneità delle cause dei decessi, e si assume quello dell’unicità causale, si scarica la Nato di ogni responsabilità.

Facciamo un altro esempio in un campo diverso: quello del salario. Oggi economisti borghesi ci hanno spiegato che in Italia c’è una grande questione salariale, come ha affermato Geminello Alvi sul ìCorriere della Sera”. Più recentemente l’Istat rileva che l’inflazione programmata è diversa da quella reale. Non sarebbe un problema se ci fosse la scala mobile o se il sindacato fosse ancora un’autorità salariale. Ma non è così. Allora il governo con un decreto deve immediatamente allineare l’inflazione programmata a quella reale. Bene: ma questa richiesta l’abbiamo elevata soltanto noi.

Noi dobbiamo essere presenti ovunque per essere votati. Se al senato non ci presentassimo in ogni collegio impediremmo ai cittadini di sceglierci, visto il permanere dell’attuale legge elettorale.

Vedo che questo è un punto critico per il centrosinistra. Ma questo deriva da tre errori di impostazione del problema. Il primo: l’ossessione del pareggio, ossia la speranza che vincendo il Polo alla camera, il centrosinistra possa vincere al senato, questa concezione dimostra una sproporzione enorme tra il pericolo delle destre e la soluzione adottata, e tradisce la speranza che quel pareggio possa spianare la strada ad accordi post-elettorali con le medesime. Il secondo: la fuga dalla politica. In altri termini si pensa che basta aggiungere una quantità di voti ad uno schieramento per garantirne il risultato, non comprendendo che un successo elettorale si basa su convinzioni politiche diffuse e non su somme aritmetiche. Il terzo: il centrosinistra finisce in realtà per proporre una desistenza, quindi un accordo, ma allora perché mai non fare un accordo generale? La desistenza è infatti possibile solo quando si allude ad una medesima collocazione, sia essa al governo che all’opposizione; altrimenti si apre una crisi di mandato, poiché chi vota non ha la garanzia di sapere quale sarà l’atteggiamento concreto delle forze che concorre ad eleggere.

Il Prc si collocherà all’opposizione nella prossima legislatura. Non si tratta di una vocazione, ma di una scelta di coerenza. Poiché ci contrapponiamo frontalmente al centrodestra e critichiamo radicalmente il centrosinistra, non possiamo che collocarci all’opposizione qualunque sia lo schieramento che uscirà vincente nelle prossime consultazioni. In sostanza noi vogliamo portare nella prossima campagna elettorale le ragioni della sinistra.

Un passo generoso

Rimanendo fermo tutto quanto abbiamo fin qui detto, noi dobbiamo valorizzare la scelta di non belligeranza come un’apertura. Noi avremmo potuto anche fare altrimenti, ad esempio dare vita a un terzo polo, come ha fatto Nader negli Usa, portare una nostra candidatura alla presidenza del consiglio, assumere un atteggiamento di totale estraneità agli schieramenti in campo. Noi non lo facciamo, non perché non condividiamo quanto Nader ha fatto negli Usa, ma perché non pensiamo che nel nostro paese si sia totalmente compiuto un processo di americanizzazione del sistema politico e quindi vogliamo inserirci in questa incompiutezza per riaprire un processo a sinistra.

La nostra scelta comporta un aumento degli eletti del centrosinistra alla camera. Dobbiamo sapere valorizzare questa scelta per tenere aperto il confronto.

Un progetto per le città

Allo stesso modo ci dobbiamo comportare in occasione delle importanti elezioni amministrative. Il nostro non è un atteggiamento da piccola forza politica tesa a sfruttare spazi per propri vantaggi, ma quello di una forza attenta al problema del governo delle città, che guarda a nuove esperienze di democrazia nel mondo, come quella di Porto Alegre in Brasile, che vuole intervenire nella crisi del progetto imprenditoriale delle città che ha portato il centrosinistra a candidare manager e imprenditori alla carica di sindaco, che quindi ricerca punti di alleanza più avanzata nel centrosinistra o liste alternative rosso-verde come Venezia.

Noi abbiamo dato vita a soluzioni diverse, ma tutte ispirate ad una linea di grande coerenza. Così abbiamo potuto dire no Mastella a Napoli, come sì a Dario Fo a Milano, e ora a Sandro Antoniazzi, come criticare continuità di amministrazione a Torino, come appoggiare la candidatura di Veltroni a Roma, malgrado contrasti radicali sulla strategia nazionale e sapendo che non ci saranno scontri nel confronto programmatico così decisivo per il governo delle città. In questo senso c’è una coerenza tra la nostra linea nel governo delle città e le scelte che compiamo nella politica nazionale.

La bussola dei movimenti

Abbiamo cercato in ogni caso di essere interlocutori dei movimenti reali e di essere parte di una più ampia sinistra di alternativa. La nostra linea non avrebbe, infatti, alcun senso se non stabilissimo una priorità di rapporto con i movimenti.

Abbiamo avuto una grande intuizione ravvisando elementi di disgelo nei movimenti sociali. Il vento di Seattle è destinato a proseguire. Non tutte le forze della sinistra in Europa hanno compreso quanto è avvenuto. Vi è una crisi di consenso nel processo di globalizzazione. Questa crisi si è manifestata anche in Europa e nel nostro paese e noi abbiamo saputo metterla in connessione con quel vento di Seattle. La vicenda della Zanussi, delle poste, degli insegnanti, dei lavoratori socialmente utili, della Fiat, ma anche dei comitati contro l’elettrosmog, contro gli inceneritori, contro la devastazione ambientale a Sarno come contro la cementificazione in Lombardia, ci parlano esplicitamente di una rinascita di movimenti di lotta.

Di fronte a questo una discussione tecnica sulla scelta elettorale, oppure per contrapposizione tra unitari e estremisti, sarebbe la cosa peggiore. Noi dobbiamo, invece, investire sulla dinamica dei processi sociali e politici.

Un quadro di crisi

Viviamo su un terreno accidentato: vi è una grande incertezza per la vita delle persone e una grande instabilità nel mondo. Siamo di fronte ad una rivoluzione capitalistica conservatrice. Ma in questa assistiamo ad un impazzimento delle classi dirigenti, come testimoniano la vicenda della mucca pazza o dell’uranio impoverito. La separazione tra l’innovazione e il progresso, che è la caratteristica dell’attuale rivoluzione capitalistica, porta con sé una crescente irresponsabilità delle classi dirigenti, che non si rendono conto delle conseguenze degli atti che provocano, e che viene mascherata da forme di brutale dominio.

La rincorsa al massimo profitto nel tempo più breve produce conseguenze incalcolabili. Non siamo di fronte solamente a un contrasto sempre più acuto e stridente tra ricchezza e povertà, tra capitale e lavoro, ma anche ad una contraddizione interna che comporta un’imprevedibilità dello sviluppo e della crescita. Gli Usa sono il teatro della new economy. Solo nell’estate scorsa Alain Greenspan, presidente della Federal Reserve, prevedeva un surriscaldamento, cioè un eccesso di crescita dell’economia americana, oggi siamo di fronte a pesanti elementi di crisi. Piovono i licenziamenti: 26mila nella casa automobilistica Chrisler, tantissimi altri nelle imprese informatiche, come l’American on line: lì 300 impiegati la settimana scorsa hanno trovato i loro terminal spenti, e le loro password annullate, sono stati indotti a ritirare i loro effetti personali e accompagnati all’uscita dalle guardie giurate. I giornali americani dicono che è cominciato il tempo della paura. Una volta si diceva che se gli Usa avevano il raffreddore l’Europa era in preda alla febbre. Oggi l’Europa dovrebbe compensare la crisi americana. La realtà è che tutto rischia di essere sconvolto.

Sinistra alternativa e sinistra plurale

Dobbiamo valorizzare la nostra proposta programmatica, la necessità e la possibilità delle nostre proposte. Noi proponiamo un cambio di politica in Italia e in Europa. Lo proponiamo in primo luogo alla sinistra alternativa, infatti, vogliamo convocare un’assemblea programmatica nella quale confrontarci con esponenti di questa sinistra e dei movimenti.

Ma la nostra proposta deve interessare anche tutte le forze che possono far parte di una più ampia sinistra plurale. Non è un libro dei sogni, ma un punto di vista completamente diverso da quello dominante. Noi vogliamo individuare un punto di rottura dell’attuale meccanismo, non calare un programma dall’alto, cioè individuare un vincolo interno, una nuova rigidità. Per questo non vogliamo partire dal tetto, ma dalle fondamenta, cioè dal tema del lavoro e delle condizioni sociali.

Ad esempio bisogna modificare radicalmente il rapporto tra salario, profitto e rendite se si vuole fare una nuova politica economica generale. Su questo noi dobbiamo compiere una grande propaganda di massa e un confronto nel paese.

Il voto davvero utile

Ci viene detto che il voto utile è quello che fa vincere. Dobbiamo spostare il ragionamento da quello che sembra a quello che è, cioè da quello che sembra utile a quello che effettivamente lo è per chi vota. Rifondazione comunista deve essere e comparire come il difensore degli strati popolari, una sorta di avvocato della povera gente. Sapremo essere sia alla camera che al senato. Forse un risultato modesto, ma è chiaro che le altre forze non danno alcuna garanzia in questo senso. Dobbiamo aiutare la crescita dei movimenti e su questo fondare la nostra forza. Alcuni giornali hanno parlato di un raddoppio del consenso a Rifondazione comunista tra gli insegnanti. Non so se sia vero, ma certamente è possibile perché lì c’è un movimento reale e una nostra capacità di intervento. Noi non ci limitiamo solo a dire no alle privatizzazioni, o a chiedere di ripubblicizzare ciò che è stato privatizzato, ma ci poniamo da subito il problema di tutelare la condizione dei lavoratori ovunque essi siano.

Dobbiamo suscitare la crescita dei nuovi movimenti, come quello sul tema del salario sociale.

Dobbiamo rivolgerci al popolo della sinistra, che è sfiduciato nei confronti del centrosinistra e guarda a noi, pur chiedendoci di dare una mano al centrosinistra stesso. Dobbiamo capire la ragione di fondo di questa richiesta, che è quella di chiedere un’efficacia della politica, di dare forza alle soggettività e alle rivendicazioni.

A questo noi rispondiamo aprendo un processo di confronto, sapendo che la crisi del centrosinistra può implodere.

Il centrosinistra si è allontanato dalla sinistra, ma non per questo è più forte. Anzi si spezza al centro, con l’abbandono di autorevoli personaggi, come Andreotti e Zecchino. In realtà la logica bipolarista fa crescere le destre, le quali trovano un originale impasto nell’alleanza tra Berlusconi e Bossi, ma si rovescia contro il centrosinistra, dove la sinistra moderata rincorre il centro, come nella metafora di Achille e la tartaruga, ma quest’ultimo va sempre più in là e si autonomizza.

Dov’è la socialdemocrazia?

La crisi del popolo della sinistra, l’aumento dell’astensionismo, non lasciano indenni i Ds. Su questo bisogna saper intervenire: la stessa lotta alle destre va declinata nella ricerca di fornire un’alternativa alla stessa crisi del centrosinistra.

Il successo anche elettorale del Prc è decisivo per un esito progressivo alla crisi del centrosinistra. Infatti solo se c’è una forza comunista, se si definisce una sinistra alternativa, vi può essere una sinistra plurale, che chiede una ridislocazione di diverse forze, con gli stessi Verdi e forse gli stessi Cristiano-sociali. Ci si chiede da più parti se vi è lo spazio per un nuovo partito socialdemocratico. La possibilità di questo dipende in larga misura dall’esistenza del Prc e di una sinistra alternativa. Infatti non esiste in Italia una significativa presenza socialdemocratica, non la si vede nei Ds né nella pratica sindacale. Ma se ora non c’è non è impossibile che la sua esigenza possa manifestarsi dopo la crisi del centrosinistra, ma questa può diventare realtà solo di fronte alla esistenza di un’autonomia comunista che la sollecita nel corpo stesso della società.

Questo è un punto delicato della nostra analisi. Infatti non si può individuare un progetto di organizzazione di una nuova forza socialdemocratica semplicemente dove si vorrebbe stabilire un primato dell’organizzazione e il prevalere di interessi economici legati a un blocco sociale dominato dalla grande impresa. Questa concezione porta a concepire la politica come uno scontro tra interessi diversi ma interni allo stesso blocco sociale. E’ una posizione esistente, ma non può essere confusa con un progetto socialdemocratico che, pur proponendo un patto tra produttori, parte dalle esigenze del lavoro.

Le gambe dell’iniziativa

Non possiamo quindi confinare la nostra iniziativa a interlocuzioni privilegiate con pezzi di forze politiche. Noi abbiamo di fronte le elezioni, qui scegliamo la collocazione di autonomia, una diversa strategia per combattere le destre, il massimo dell’unità possibile nella condizione data, investendo prioritariamente sulla nostra crescita. Puntiamo sullo sviluppo dei movimenti, per questo consideriamo fondamentale la preparazione delle manifestazioni di Genova contro la riunione dei G8. Contemporaneamente lavoriamo per rafforzare una sinistra di alternativa in Europa.

La marcia per il salario sociale al Sud ci ha fornito grandi indicazioni, e dobbiamo continuare a prestare grandi attenzioni a questa parte del paese.

Abbiamo saputo costruire nuove esperienze. La recente riunione del Forum dell’ambiente ha messo in luce l’esistenza di un partito nel partito, fatto di esperienze concrete su un terreno fondamentale. Dall’esperienza delle donne ci viene una sollecitazione sia teorica che pratica, e un invito a superare i nostri limiti in questo campo che si sono manifestati anche nella recente conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori. Quest’ultima tuttavia ha messo in luce una crescita del partito nelle esperienze di lotta sociale; il carattere fondamentale del lavoro di inchiesta come ricostruzione di un tessuto di conoscenze e di relazioni sociali del partito stesso; il compimento di un passo in avanti nella riflessione sulla questione sindacale.

La sfida del futuro

Con oggi abbiamo compiuto 10 anni nella vita di Rifondazione comunista. A Livorno abbiamo ricordato gli 80 anni di storia del Pci con un’operazione politica e non celebrativa, cioè abbiamo proposto di riattualizzare il comunismo. Noi non celebriamo, ma accettiamo la sfida del futuro. In questi dieci anni, tanti sono stati gli sforzi di coloro che hanno animato la vita di questo partito, a cominciare dalle compagne e dai compagni che hanno determinato la sua fondazione. A tutte e a tutti il ringraziamento più alto che può essere rivolto e il senso è che si ricava dalla nostra sfida di oggi.