Partito della Rifondazione Comunista

Sintesi relazione Fausto Bertinotti
Comitato Politico Nazionale del 16/17 novembre 2002

Care compagne e cari compagni, la nostra discussione si colloca tra l'incombere della guerra e la crescita del movimento che ad essa si oppone, come si è visto con grande nettezza a Firenze. La guerra si impone ogni giorno come priorità nell'agenda politica. Non ritorno qui su un'analisi che tante volte abbiamo fatto sul carattere infinito, indefinito e preventivo di questa guerra e sul suo nesso con la struttura del potere mondiale. Voglio solo sottolineare che siamo di fronte ad un'ulteriore accelerazione degli Usa in questa direzione, la cui determinazione è accresciuta dalla decisione del consiglio di sicurezza dell'Onu. La lotta per la pace costituisce quindi il nostro impegno primario nella determinazione della agenda delle iniziative del partito. Nulla di ciò che facciamo può essere disgiunto dalla lotta per la pace. Non siamo chiamati a combattere soltanto un concreto pericolo di una nuova guerra, ma un intero sistema di guerra; perciò dobbiamo stabilire un nesso stretto tra la lotta per la pace e quella al liberismo. Ed è quanto è accaduto a Firenze.

La guerra
La precipitazione del clima di guerra in guerra guerreggiata a sua volta modificherà di nuovo l'agenda politica, peserà molto sui processi politici. La guerra non è solo devastante, ma rappresenta un terremoto per la politica. Lo si vede fin d'ora. Siamo di fronte ad una restrizione degli spazi di agibilità politica e democratica. Mi riferisco ovviamente all'arresto dei compagni e delle motivazioni che l'hanno prodotto. Si tratta di una vicenda vergognosa, provocata dal clima di guerra. Naturalmente non vi è tra il secondo e la prima una discendenza meccanica. Vi sono diversi punti di vista al riguardo tra le classi dirigenti. Si può probabilmente dire che questa azione è promossa e condivisa solo da una parte delle stesse. In ogni caso l'azione repressiva dimostra la volontà di restringere gli spazi democratici per impedire la crescita del movimento per la pace. In questo senso serve fare credere che questo movimento sia sensibile alle suggestioni della violenza.

Tuttavia ribadisco che non bisogna generalizzare nel nostro giudizio. Questa scelta non è dell'intero governo. Vi è un contrasto tra il comportamento delle forze statuali a Firenze e questa precipitazione. Quest'ultima sembra figlia di un progetto politico che vuole ricondurre la magistratura sotto il primato del potere esecutivo.

Naturalmente vi sono anche altri elementi nell'iniziativa repressiva di queste ore. Quello del tentativo di divisione del movimento tra buoni e cattivi, di criminalizzazione di una parte dello stesso. In questo senso questo comportamento costituisce una volontà di rivincita rispetto allo smacco di Firenze.

Firenze e il Movimento
Ma se da un lato la guerra appesantisce il clima, dall'altro la situazione è rischiarata dall'avanzamento che sotto ogni profilo il movimento ha maturato con l'appuntamento di Firenze. Lo si vede anche dal comportamento che il movimento ha tenuto di fronte agli arresti. La sua reazione ha avuto un carattere di massa, immediato, diffuso e pacifico. Di fronte alla repressione il movimento si è mantenuto unito, e non vi è stata dunque la divisione tra moderati e radicali, cui puntava l'iniziativa repressiva. Proprio per questo pensiamo che quello che è avvenuto può diventare un boomerang per coloro che l'hanno organizzato.

La risposta del movimento deve continuare, e già si prevedono importanti scadenze di mobilitazione. Dobbiamo non solo evitare la spirale violenza-repressione, ma anche di restare inchiodati alla pura risposta difensiva. In questo senso è decisiva la strada che già il movimento mostra di sapere percorrere, quella di connettere questa vicenda con quella ben più generale della condizione del Mezzogiorno, della lotta degli operai della Fiat, della difesa e dell'ampliamento della democrazia.

L'elemento di coesione di tutto questo resta quello della costruzione di un grande movimento per la pace, così come è stato ribadito a Firenze. C'è bisogno di precisare il carattere dell'iniziativa politica su questo terreno. Questo non può avvenire solo da parte nostra. Ancora una volta il ruolo del movimento nel suo complesso è decisivo per elevare la pregiudiziale della pace nella determinazione delle alleanze. Non si tratta di riportare una pregiudiziale ideologica o di schieramento, ma della capacità di segnare un campo.

Proprio per questo l'evento di Firenze costituisce un grande fatto politico nuovo su cui conviene tornare. Bisogna insistere nel riflettere sullo sviluppo del movimento, sui tassi e le modalità della sua crescita. Non possiamo mettere Firenze tra parentesi, come cosa ormai trascorsa. L'evento di Firenze pesa nella crisi della politica e coloro che non sono in grado di superarla hanno tutto l'interesse a considerare chiuso in sé l'avvenimento.

Questo movimento rappresenta l'altra faccia della crisi del liberismo. A questa crisi le stesse forze dominanti cercano in qualche modo di rispondere. Tremonti ha rilasciato un'intervista nella quale si sostiene, in sostanza, che l'intervento dello stato in economia non può essere del tutto abbandonato, anche se di questo intervento si propongono le versioni più datate. In ogni caso anche in questo modo si dimostra la crisi del pensiero unico liberista.

Il centrosinistra
Il centrosinistra si divide rispetto al movimento. Prima il centrosinistra aveva tutto sommato una sua compattezza; tutti, al fondo delle questioni, dicevano la stessa cosa. L'evento di Firenze ha scompaginato il campo. Naturalmente c'è chi ha pensato di comparire come una sorta di artefice della tranquillità dell'evento, mi riferisco al segretario dei Ds, e in questo modo ha ribadito la sua idea della separazione della politica. Ma questo tentativo non mi pare abbia avuto successo. In realtà l'ipotesi neocentrista è completamente spiazzata da ciò che sta avvenendo nella società civile. Facciamo un esempio. Abbiamo presentato alla legge finanziaria un emendamento che proponeva la nazionalizzazione della Fiat auto. Il suo contenuto aveva anche un sapore provocatorio. La lega Nord ha chiesto addirittura di nazionalizzare l'intero gruppo Fiat, con l'evidente tentativo di provocare l'intera maggioranza ma anche dimostrando il disagio che vi è in essa. I Ds, per bocca di Bersani, hanno invece motivato il loro no sulla base di una stretta aderenza alle leggi di mercato. L'esempio è significativo di come le destre non sappiano come governare la crisi Fiat e di come le forze neocentriste del centrosinistra si limitino a chiedere la continuità delle politiche liberiste.

D'altro canto sta venendo avanti anche un'ipotesi neoriformista che si presenta con caratteri diversi da quella che è stata sconfitta dai fatti tanto in America quanto in Europa. Essa non nasce solo nel cielo della politica o dal conflitto interno al centrosinistra. Nasce da una crisi più profonda, nasce da un rapporto con il movimento. Se non risulta ardito il paragone, vorrei ricordare la famosa formulazione di Aldo Moro verso i movimenti del '68. Quella della "strategia dell'attenzione". Non vi è dubbio che questa parte della sinistra ha cambiato via via il suo atteggiamento, dall'estraneità nei confronti degli appuntamenti passati, da Seattle fino a Genova, alla constatazione sulla durevolezza del movimento, fino all'internità ad esso manifestata a Firenze. Questo ripensamento è senz'altro dovuto alle sconfitte elettorali e di consenso che quella sinistra ha subito, ma è soprattutto generato dallo sviluppo del movimento. Ho letto, mantenendo tutti i necessari elementi critici, quel documento pubblicato da tre famosi socialisti francesi: pur mantenendo le mie riserve, non vi è dubbio che anch'esso manifesta appieno quella crisi.

Da Prodi fino a Cofferati è in corso un ripensamento. Essi vedono la radicalità del movimento ma non la assumono. La radicalità viene cioè vista o come immaturità o come peculiarità specifica dei movimenti e quindi, in quanto tale, non generalizzabile. Cofferati afferma esplicitamente, infatti, che "bisogna scontare" la radicalità dei movimenti, ma questi, continua, pongono problemi veri e la politica si deve occupare di essi. D'altro canto il pensiero unico liberista mostra la profondità della sua crisi quando persino Prodi si riferisce al patto di stabilità europeo, definendolo un patto di stupidità. In sostanza il tema della spesa pubblica cessa di essere trattato solo sotto il profilo del suo contenimento. Ma ciò che è più netto è il giudizio sulla guerra. Questo passa dall'accettazione della stessa come dolorosa necessità, come avvenne nel caso della prima guerra del Golfo e di quella nei Balcani, all'avversione radicale alla medesima.

Un diverso assetto
Dobbiamo quindi discutere il rapporto da tenere con questa componente che per comodità definiamo neoriformista. Essa ha, in modo evidente, almeno un pregio e un difetto. Il pregio: essa ricerca una via d'uscita dinamica dalla crisi della politica della sinistra moderata. Il difetto, anzi due: quello di assumere il centrosinistra come l'ambito strategico in cui operare questa ricerca. Questo porta a evidenti contraddizioni. Infatti non tutto il centrosinistra è d'accordo sull'opposizione alla guerra senza se e senza ma. Se quindi ci si mantiene fedeli al centrosinistra, questo diventa inevitabilmente una gabbia. Nello stesso tempo il blocco sociale di riferimento del centrosinistra impedisce il dispiegarsi di una lotta al liberismo. Il secondo difetto consiste nel non capire che l'attuale globalizzazione capitalistica è incompatibile con un progetto neoriformista. Se il centrosinistra costituisce la gabbia politica, la globalizzazione capitalistica fornisce quella materiale per l'espletamento del progetto neoriformista.

Da qui deriviamo l'esigenza di elevare il confronto programmatico. Siamo in una situazione "terremotata", perciò il confronto va fatto dentro il movimento, ai fini della sua crescita. In rapporto con questo dobbiamo proporre un diverso assetto degli schieramenti politici e di opposizione, tenendo ferme le discriminanti che emergono dal movimento.

Per tutte queste ragioni l'evento di Firenze assume per noi una centralità decisiva anche per la nostra proposta di costruzione della sinistra d'alternativa. Questa va ripensata, nelle sue modalità, dopo Firenze. Abbiamo conosciuto infatti una crescita del movimento da ogni punto di vista dovuta alla moltiplicazione delle sue connessioni, con le varie forme a accadimenti del conflitto di classe, con le diverse manifestazioni dei movimenti che intervengono nella società civile. Noi abbiamo giustamente scelto di essere interni al movimento. Abbiamo fatto la scelta giusta perché questo non consente neppure di essere compreso se si sta fuori da esso. Infatti la neutralità della scienza, e quindi anche della scienza della politica è messa seriamente in discussione dal movimento. La nostra internità al movimento ci ha permesso di coglierne l'onda lunga, ci ha evitato di giudicarlo in crisi alle prime inevitabili difficoltà, che appunto si sono rivelate difficoltà di crescita.

Siamo di fronte ad un movimento postnovecentesco, non ad uno che persegue la continuità con quelli precedenti. In sostanza non abbiamo un movimento centralizzato, di tipo rivendicativo nei confronti del governo e delle istituzioni. Questo movimento è autocentrato, è costruito sulla propria crescita. A Firenze la crescita sia sul terreno quantitativo che qualitativo è stata davvero evidente. E' forse inutile sprecare parole sull'aspetto quantitativo, parlano da soli i fatti.

E' invece utile insistere sull'aspetto qualitativo, che definirei un originale processo di politicizzazione. Guardiamo, ad esempio, alla questione della guerra, guardiamo alle diversità di atteggiamento e di comportamento tra la guerra nell'Afghanistan e quella che ora si prospetta. Allora si movimento trovò la sua unità sulla base di un rifiuto etico della guerra, mentre persistevano diversi punti di vista politici sull'utilità della guerra, che si manifestarono anche nella marcia tra Perugia e Assisi. Oggi il movimento compie un passo in avanti che costituisce un discrimine dal punto di vista programmatico. Quello di rifiutare la guerra anche se questa dovesse essere "autorizzata" dall'Onu, proprio per le connessione che essa comunque avrebbe con un sistema di tipo imperiale che ha svuotato di potere e ruolo gli organi di governo sovrannazionali nati dal patto tra le nazioni successivo alla seconda guerra mondiale. In sostanza siamo di fronte ad un passaggio dal rifiuto etico alla guerra ad un'opposizione politica alla medesima, che conserva e esalta le ragioni morali di prima.

Cogliere la novità
Dobbiamo anche guardare al concreto modo di essere e di comportarsi di questo movimento. Anche qui scopriamo grandi passi in avanti. I dibattiti di Fortezza da Basso hanno costituito un avanzamento anche rispetto a quelli di Porto Alegre due. In sostanza si è venuta costituendo una comunità di ricerca dotata di un preciso punto di vista, una sorta di Università Popolare di massa. I giovani, ma anche i meno giovani, che erano presenti ai dibattiti prendevano appunti, usavano il taccuino che era diventato come un oggetto rivelatore della presenza al Forum. Altrove questo non capita. Dobbiamo coglierne la novità e la domanda di cultura politica e sociale che è qui contenuta. Si è vista una linea di ricerca che attraversava movimenti e partiti.

Il movimento ha proposto con grande forza l'idea di cambiamento. Questo comporta una critica profonda all'idea della politica come arte di governo, che, del resto, è messa in discussione e pregiudicata proprio da quegli assetti internazionali, da quella struttura di potere, da quelle modalità di funzionamento delle istituzioni che sono tipiche della attuale globalizzazione. Tutto ciò in effetti costituisce la più efficace critica del riformismo. Dobbiamo evitare la separazione tra i vari temi. L'altro giorno a Bari, parlando della questione dell'acqua, abbiamo parlato degli assetti internazionali, abbiamo criticato il liberismo, abbiamo prospettato una società diversa. Abbiamo cioè abbattuto la separatezza tematica tipica di una certa concezione della politica separata dalla società. La stessa tradizionale divisione, così cara anche alla migliore tradizione del movimento operaio, fra tattica e strategia va oggi messa in forse, non per dire che tutto è uguale, ma per affermare che ogni scelta tattica deve contenere da subito in sé e fare visibilmente vivere la prospettiva strategica.

Un bilancio attivo
Il nostro partito esce dall'evento di Firenze con un bilancio totalmente attivo. E' un risultato importante per noi, ed è dovuto al modo con cui abbiamo scelto di essere presente nei dibattiti e nelle manifestazioni. Anche se intendiamo il bilancio dell'attività del partito in senso stretto verifichiamo un netto successo. Contemporaneamente registriamo un successo del partito nella sua capacità di oltrepassare se stesso, cioè di stabilire un sistema di relazioni che aumentano la nostra area di influenza, di consenso, di credibilità. Questo buon risultato ci impone di proseguire con ancora maggiore lena su questa giusta strada, non certo di accontentarci. Parliamoci chiaro: se noi confrontiamo una riunione che teniamo in una nostra federazione con una che è stata tenuta a Firenze, vediamo uno scarto in quantità e qualità di presenze che non è accettabile, almeno non in quelle dimensioni. Non si può accettare di considerare normale che la vita del partito sia più povera di altre iniziative, perché questo sarebbe profondamente contradditorio con le nostre giuste ambizioni.

In conclusione possiamo affermare con grande nettezza che a Firenze le tesi radicali hanno ottenuto una grande affermazione. Non si tratta di una vittoria definitiva, ma indubbiamente lì vi è stata un'identificazione fra le tesi del movimento e quelle della sinistra radicale. Contemporaneamente il movimento ha posto un grande problema. Quello dell'unità delle forze politiche che rappresentano questa piattaforma radicale. In altre parole il movimento trova una sua unità su un asse radicale e quindi pretende che le forze politiche facciano altrettanto, per sentirsi rappresentato sul terreno politico.

Questo costituisce per noi un problema e un'occasione. La domanda che ci viene rivolta non va confusa con quella che ci veniva avanzata nell'occasione della rottura con il governo Prodi. Allora in sostanza ci veniva detto che la politica era quella che era, che noi avevamo il dovere di starci, che l'unico obiettivo era essere contro Berlusconi. Ora ci viene detto: questo mondo fa schifo, vogliamo dei cambiamenti radicali, per ottenerli ci vuole un'unità sul terreno politico che faccia propria questa radicalità. Il quadro è ben diverso e a quest'ultima istanza noi dobbiamo sapere rispondere.

Tuttavia la possibilità di costruire una vasta sinistra unitaria su una piattaforma radicale non è ancora data. Ma dobbiamo cogliere la verità interna e profonda di questa istanza, che, credo, è quella di realizzare un'efficacia della politica nella realizzazione di obiettivi radicali. Dobbiamo quindi affrontare con coraggio il problema che deriva dallo scarto esistente tra la domanda di alternativa che è cresciuta nella società e la proposta politica di alternativa che sul terreno politico è per ora racchiusa in Rifondazione comunista. Dobbiamo farlo accelerando la costruzione di una sinistra di alternativa.

Come e con chi?
Non è la prima volta che lo diciamo. E' quindi giusto riproporre la domanda: come e con chi? Ora la mappa delle forze non è descrivibile, ma esistono le condizioni sociali e politiche perché questa prospettiva possa prendere corpo in Europa e in Italia. Dopo l'evento di Firenze non possiamo tentennare nell'incamminarci su questa strada. Il problema che abbiamo di fronte è costruire l'unità delle forze di alternativa e di dotarle di una sufficiente massa critica per l'azione. Perché a noi si chiede di stare comunque in un rapporto unitario, mentre se la Cgil sceglie da sola, proclama uno sciopero per conto suo, la stessa critica non le viene rivolta e anzi si registra un successo dello sciopero persino superiore a quelli che erano stati unitariamente proclamati? Questo deriva dalla potenza della massa critica messa in campo dalla Cgil anche da sola.

Per questo dobbiamo porre il problema dell'unità della sinistra d'alternativa in modo coerente con la crescita del movimento. L'opposizione alla guerra senza se e senza ma, la battaglia sulle grandi questioni sociali che qualificano la lotta al liberismo, la difesa e l'ampliamento della democrazia nella sua forma partecipata sono i grandi pilastri su cui concretamente fonda e procede questo progetto. L'appuntamento prossimo di Praga, in occasione del vertice Nato, il convegno a Cuba contro l'ALCA, la convocazione del Forum di San Paolo, le battaglia contro la legge finanziaria, il sostegno alla campagna per i referendum sociali, per l'ambiente e per la scuola pubblica, l'impegno nella vertenza Fiat per un intervento pubblico nella proprietà, per proporre una diversa mobilità sul territorio, una nuova organizzazione del lavoro con meno orario, un diverso rapporto fra Nord e Sud, sono tutti appuntamenti, e non i soli, che ci aspettano nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Su questi temi e aspetti concreti incalzeremo il centrosinistra, evitando naturalmente di figurare come ospiti in manifestazioni decise da altri. In questo modo potremo concretamente irrompere negli assetti e negli equilibri del centrosinistra e nello stesso tempo perseguire l'obiettivo della costruzione di una sinistra d'alternativa, con una dimensione europea, che costituisce il nostro obiettivo centrale.