Comitato Politico Nazionale
25 - 26 ottobre 2003

Sintesi della conclusione di Fausto Bertinotti
Costruire un’idea di società in Italia e in Europa

Care compagne e cari compagni, credo che non sia rituale affermare che abbiamo avuto una discussione molto seria e composta e questa è un’importante modalità del nostro dibattito politico tutt’altro che scontata. Si è realizzata una convergenza ampia dentro un campo di ricerca di una linea. Come spesso avviene nel corso dei dibattiti, si sono registrati degli avvicinamenti di posizioni dovuti a un effettivo arricchimento della discussione. In particolare ho colto nella nostra discussione, specialmente nella prima giornata, l’emergere di una soggettività plurale al nostro interno che va ben oltre le culture di provenienza. Mi sia permesso di dire che questo l’ho notato soprattutto nei pi_ giovani, il cui contributo alla determinazione della linea è rilevante. Dobbiamo favorire questo processo senza alcuna chiusura. Avendo criticato a fondo lo stalinismo, dobbiamo rifuggire da tutti gli altri “ismi” per la semplice ragione che tutte le culture sono datate, anche la grandi culture del passato. Perché; dunque culture politiche diverse possono entrare senza sforzo nella nostra proposta politica? Perché; ne hanno colto l’essenziale, il suo essere una proposta di movimento, a tutto campo, una critica alla separatezza della politica. Naturalmente questa nostra proposta contiene diversi rischi ma proprio ciò la rende affascinante.

= Governo e trasformazione
Sono qui stati proposti, anche con la necessaria durezza, alcuni quesiti. Il primo, è possibile un governo di alternativa nell’epoca della crisi della globalizzazione capitalistica? E’ una domanda cruciale, ma non preliminare. Essa propone una grande questione, ma la sua soluzione non è definita in partenza. Dipende dalla capacità di coniugare la questione transitoria del governo con il tema cruciale della trasformazione. Proprio per questo è decisivo lo sviluppo del movimento. Ed a questo possono davvero concorrere tutti, anche chi è contrario alla proposta politica che avanziamo. E’ infatti sbagliato ogni atteggiamento escludente come ogni “aventinismo”.
A questo riguardo considero importante lo sforzo di elaborazione contenuto nel documento dei Giovani comunisti che ha prodotto una nostra precisa e autonoma posizione dentro il movimento. Il settimanale Carta ci offre un punto importante di riflessione quando rileva un passo diverso della politica rispetto ai movimenti. E’ vero, e questo avviene per un limite prevalente della prima, che infatti abbiamo definito essere in crisi. La politica deve accorgersi di questo, perché; ciò concorre alla sua riforma. Oggi chiamarsi comunista, a differenza degli anni ’50, non è cosÏ immediatamente attraente. Non possiamo perciò pensare di parlare al movimento in modo predicatorio. Contemporaneamente dobbiamo però contestare l’idea di una autarchia del movimento, che produrrebbe un’alienazione della nostra soggettività. Il movimento è giustamente interessato a tutto, dalla questione della caduta del governo Berlusconi, ai grandi temi della pace, come a quello delle pensioni. Certamente il movimento fa pi_ fatica a affrontare un tema come quest’ultimo, ma tutto dipende da come viene presentato. Non può essere trattato solo come una questione sindacale o riguardante solo gli anziani, ma come grande tema che riguarda la concezione stessa della vita, il che ci riporta alla critica della precarietà e alla proposizione di nuovi modelli nel rapporto fra vita e lavoro.

= Movimento e politica
E’ quindi necessario riproporre con forza il rapporto tra movimento e politica. Per questo è legittimo e giusto sollevare il problema della proiezione del movimento sulla natura e sul comportamento dell’opposizione al governo e all’attuale quadro politico. Il programma dell’opposizione infatti è efficace solo se prevede molti protagonisti. La riuscita dello sciopero del 24 ottobre è stata straordinaria, sia per le astensioni dal lavoro che per la presenza alle manifestazioni, ma se non stabiliamo subito delle connessioni condanniamo questa lotta ad un percorso puramente sindacale. E infatti questa esigenza viene percepita, come dimostra la fissazione dell’incontro tra le forze d’opposizione, il sindacato e il gruppo di continuità del movimento. Senza tutto questo cadremmo nella separazione tra il movimento e la politica, sarebbe come chiedere al movimento di ripiegare e alla politica di tornare all’antico ruolo, rispetto al quale il movimento stesso funzionerebbe solo come un gruppo di pressione.
Naturalmente il movimento è un insieme di realtà di cui bisogna tenere conto. Il prossimo appuntamento del forum sociale europeo a S. Denis è molto importante, perché; il movimento deve diventare un protagonista nella costruzione europea. LÏ verrà chiesta la costituzione degli stati generali d’Europa e verrà dato grande peso all’elaborazione programmatica. Queste relazioni complesse si devono quindi porre l’obiettivo di spezzare la separazione dalla e della politica che non possiamo pi_ tollerare.

= Un processo di rinascita della sinistra
Detto questo dobbiamo cercare di rispondere al quesito sulla possibilità di costruire un’alternativa di governo. Per rispondere se vale la pena di provarci dobbiamo interrogare i processi in corso. Questi sono segnati da un’instabilità dell’avversario e da una crisi del neoliberismo. Senza questi non sarebbe comprensibile quanto è accaduto a Cancun, dove pure hanno pesato enormemente la forza del movimento e il nuovo ruolo di diversi paesi. Cancun è stata la manifestazione fisica e politica di una crisi latente. 22 paesi hanno assunto un ruolo protagonista perché; si è sviluppata una forte soggettività politica. Assistiamo proprio all’apertura di un nuovo processo politico. Mi pare fuori di dubbio che in America Latina sia in corso un processo di rinascita della sinistra. Sarà bene approfondire questa analisi in un’opportuna discussione seminariale, ma già è possibile vedere questo fenomeno, anche se ovviamente il suo esito non è scontato. La stessa esperienza di Lula in Brasile deriva da una lunga accumulazione di forze. Diversi organi di stampa latinoamericani parlano della nascita di una “sindacatocrazia” in quel continente; è ovviamente sbagliato ma la dice lunga su come le classi dominanti giudicano i processi in corso. In effetti non è la stessa cosa condurre un’esperienza di governo con un sindacato subalterno ed una con un sindacato autonomo e protagonista. Noi siamo in Europa e in presenza di un movimento estremamente interessante. Valuteremo con attenzione i risultati dei convegni di Parigi. Certamente non sarà facile andare molto oltre gli ottimi risultati raggiunti a Firenze un anno fa. Ma già si vede l’influenza dei movimenti, infatti grandi partiti europei, come ad esempio Izquerda Unida o la Pds tedesca, si rendono conto che è necessario e si può costruire in Europa una nuova soggettività politica. In altre parti del mondo e in altri continenti emergono processi positivi che dovremo analizzare anche se ora non abbiamo neppure il tempo di citarli. Insomma noi ragioniamo della nostra proposta politica in Italia avendo ben presente un nuovo contesto europeo e mondiale. Il rapporto fra un’alternativa di governo e la crescita dei movimenti è un tema generale che si inserisce nella lotta alla globalizzazio


= L’opposizione al governo Berlusconi
Torniamo quindi ad analizzare la fase che attraversiamo in Italia e lo stato del governo Berlusconi. Bisogna evitare su questo terreno delle semplificazioni distorcenti. Non si può dire tutto il male possibile del governo e però non vedere che siamo già dentro un programma di lotte intensissime. Già ora si parla della convocazione di un nuovo sciopero generale e di una grande manifestazione nella capitale. Dovremo quindi tarare la nostra proposta di manifestazione in relazione a queste nuove scadenze che stanno maturando e alla crescita del movimento.
Nei confronti del governo si è realizzato nel paese un evidente mutamento di clima, al quale abbiamo contribuito molto con la nostra iniziativa. Ma le forze di governo possono cercare di rispondere alla propria crisi, e in effetti lo stanno facendo, demonizzando il conflitto sociale e radicalizzando le politiche liberiste, mettendo contemporaneamente in discussione gli assetti democratici. Stando cosÏ le cose il problema non è quello di proporsi la cacciata del governo, ma i tempi entro i quali questo avviene. La sua crisi non determina affatto una caduta automatica.
Se questo obiettivo non si realizza anche i movimenti sono a rischio. Non è infatti pensabile che si possa determinare una continua crescita dei movimenti qualunque cosa accada nel quadro politico. Come si fa allora a non vedere che la costruzione di un’alternativa programmatica di governo è parte integrante della lotta per la cacciata di Berlusconi? Non si tratta solo di rendere pi_ efficace l’opposizione, il problema sta nel fatto che anche se cacciassimo effettivamente l’attuale governo rimarrebbero ancora nella società tutti gli elementi che ne hanno determinato l’ascesa, le cause che hanno prodotto tanta devastazione democratica, sociale e civile. Se cosÏ non fosse pensate che sarebbe sopportabile un dramma umano di proporzioni gigantesche come quello dei migranti? Questo invece avviene perché; c’è una crisi di società. Per questo, anche se i temi economici non sono certo poca cosa, noi ci dobbiamo porre un obiettivo ancora pi_ grande, quello di una riforma della società. Il ritorno del keynesismo, che pure non disdegnamo, non basterebbe perché; i problemi non sono solo dentro l’economia. Infatti può succedere che il Keynesismo assuma una dimensione negativa, come dice la Robinson quando parla di “keynesismo bastardo”, basti pensare ad un rilancio della spesa pubblica concentrata sulla produzione delle armi o sulla costruzione di inutili e dannose opere pubbliche, come il Ponte sullo stretto.
Per questa ragione non sta in piedi una formula che dica: via Berlusconi, ma no ad un’alternativa di governo. Se cosÏ fosse il nostro comportamento parlamentare futuro sarebbe stretto fra un appoggio incondizionato o un contrasto distruttivo, con la conseguenza di subire un massacro nell’opinione pubblica e popolare. La prospettiva dell’alternativa di governo per tutte queste ragioni dà credibilità alla proposta di cacciare il governo attuale.

= Il confronto con il centrosinistra
Si è detto che il nostro confronto con il centrosinistra dura ormai da dieci anni. E’ vero, ed è soprattutto vero che questo nostro comportamento non ha mai inclinato ad atteggiamenti frontisti né; ha scelto di precludere la strada delle alleanze per pure ragioni identitarie. La nuova fase politica è ora caratterizzata dalla fine del centrosinistra. E’ stato detto di non usare neppure pi_ questo termine per identificare i nostri interlocutori. Sono d’accordo, infatti dobbiamo parlare di opposizioni come risultanti da un processo di scomposizione del centrosinistra già in corso.
Questo elemento è molto importante, ma da solo non può definire la fase. La nostra linea sarebbe impraticabile se contemporaneamente non si verificasse la crisi del neoliberismo e della guerra permanente, nel senso che quest’ultima, come si vede in Iraq, non riesce a raggiungere i suoi obiettivi reali. La novità della fase è quindi caratterizzata dalla crisi del liberismo e della sua politica di guerra, dalla crescita dei movimenti e dalla fine del centrosinistra.
Tuttavia è evidente un limite presente in tutti i movimenti e in tutti i soggetti della trasformazione: quello di non riuscire ancora a cambiare le politiche dei governi e dei soggetti dell’accumulazione. Se questa condizione si prolungasse rischieremmo due possibili contraccolpi. Il primo è quello di uno scontro frontale del potere contro i movimenti. Ad esempio negli Usa è in corso un attacco frontale al sindacato che viene messo in discussione in quanto istituzione. Questo avviene in un quadro economico che denuncia appieno la crisi del processo e del mito della globalizzazione. Se guardiamo ad esempio il quadro dei flussi delle esportazioni scopriamo che esse si stanno ridisegnando su base continentale, ovvero prevalentemente all’interno di ciascun continente. Questa tendenza è d’altronde consolidata dalla svalutazione del dollaro.
Il secondo deriva dalla possibile convergenza del riformismo verso un riformismo di destra entro un quadro europeo di nuova alternanza, che produrrebbe una autonomizzazione della politica. E’ significativo che il progetto di Costituzione europea includa la persistenza del mercato tra i suoi principi e quindi vieti un’alternativa economico sociale, con il che siamo in una situazione assai peggiore delle costituzioni liberali. Su questa base il rischio è che i movimenti verrebbero ridotti ad un ruolo di semplici lobbies.
Per tutte queste ragioni noi lavoriamo per accelerare i tempi della nostra proposta. La proponiamo al movimento nel suo complesso. E’ ineludibile un programma di società.
Il movimento ha una grande forza strategica e contemporaneamente presenta delle debolezze. In questo senso vi è una grande differenza dalle lotte degli anni ’80 e ’90. Il quadro allora era praticamente pregiudicato. In sostanza producevamo una resistenza entro un recinto definito. Non è decisivo se il numero dei manifestanti sia oggi superiore o uguale, ciò che conta è che siamo in una fase ascendente. Per questo ci proponiamo una crescita all’interno di un progetto.

= Il confronto con i sindacati
Nel nostro dibattito abbiamo affrontato il tema dei sindacati. Essi sono certamente pi_ esposti ai pericoli di regresso, anche perché; la loro presenza è diffusa praticamente in ogni dove. Il nostro governo non ha solo prodotto un attacco ai lavoratori ma al sindacato in quanto istituzione. Infatti la Cisl è stata coinvolta in questo attacco mosso da destra, e quindi è obbligata a riprendere la lotta. Da qui riparte un movimento generale, pur nell’ambiguità delle sue piattaforme. Ma ciò che prevale è la riuscita delle mobilitazioni, come è avvenuto nel recente sciopero generale e abbiamo fatto bene a investirci molto.
In questo quadro la Fiom vede esaltare il suo ruolo. Senza diminuire l’importanza di alcuno, è la Fiom ad essere oggi in Italia la sinistra sindacale. Lo è per l’impegno nella promozione delle lotte e per avere sollevato per intero il tema della democrazia per i lavoratori. Non a caso subisce per questo un attacco diretto e frontale da parte del padronato. Ma è chiaro che la ricostruzione dei luoghi del conflitto sociale per arrivare a un conflitto strategico non è semplice né; per il movimento né; per noi.

= Quattro lineamenti di programma
La questione centrale è quella del programma. Esso non va inteso come “lista della spesa”, né; come programma generalissimo e indeterminato, ma come un’idea generale, per quanto non del tutto compiuta, di società. Questo è il significato complessivo dei quattro lineamenti del programma che tracciavo nella relazione introduttiva. Non si tratta di elementi scontati, al contrario ritengo che abbiano una forza dirompente di critica nei confronti del neoliberismo. Fino a ieri questi erano presenti solo in Rifondazione comunista o nei movimenti. Basta pensare al primo, quello di resistere e difendere ciò che resta dello stato sociale e delle conquiste dei lavoratori. Fino a poco fa veniva ritenuta cosa priva di significato politico, ora gli si attribuisce un grande valore.
La stessa idea di introdurre un “vincolo interno” allo sviluppo capitalistico era considerata minoritaria. Oggi la questione salariale viene riconosciuta anche da chi ne negava l’esistenza fino a poco fa. Certamente resta il problema di precisare i singoli obiettivi, ma il terreno per questa ricerca è molto pi_ favorevole che non in un recente passato. Avanza l’idea di ricostruire un nuovo spazio pubblico, malgrado le prediche dei fanatici delle privatizzazioni. Il grande tema della difesa dell’ambiente è ormai strettamente coniugato con quello di cambiare il modello di sviluppo.
Scegliere di non limitarsi ad una semplice rivendicazione contrattuale di obiettivi nei confronti del centrosinistra, non significa affatto non averli e non portarli nel movimento e nel paese. Dobbiamo sapere spostare il senso generale della discussione, sapere imporre un cambio di paradigma nella concezione del programma.

= I rapporti tra le classi
Da qui trae valore la formula che abbiamo usato con la coppia governo leggero/movimento pesante. Dobbiamo riflettere sulla natura che il governo assume in questa epoca. E’ vero, vi è la realtà dei rapporti tra le classi che pesa sui governi. C’è in ogni caso e la nostra storia testimonia che non l’abbiamo sottovalutata, come ha dimostrato la rottura con il governo Prodi. Ora dobbiamo però guardare anche ai nuovi termini in cui la questione si pone, al quadro della crisi della globalizzazione, del ruolo degli stati-nazione, all’esistenza del sistema maggioritario, alla funzione degli apparati dello stato. Dobbiamo continuare la nostra critica nei confronti della logica del bipolarismo. Non abbandoniamo affatto il tema di una riforma elettorale in senso proporzionale, che è funzionale alla costruzione di un’alternativa che travalichi la logica dell’alternanza. Dobbiamo riflettere fin d’ora sull’organizzazione del potere statuale, ripartendo dal tema della costruzione di un’effettiva democrazia diretta. Siamo ancora troppo inadeguati su questo punto. Dobbiamo ribadire il valore essenziale del conflitto come costituzione materiale di un processo di rinascita della politica. Sto ovviamente parlando del conflitto nell’epoca della globalizzazione e della guerra. Qui dobbiamo sapere riprendere la lezione marxiana della emancipazione e della liberazione della persona. Dobbiamo spingere fino in fondo la nostra critica alla concezione corrente di governabilità e al decisionismo, che configurano un nuovo tipo di autoritarismo.

=Il partito riformista e la sinistra d’alternativa
Qui si inserisce la questione se dobbiamo agire “dal basso” o “dall’alto”. Cosa vuole dire “dall’alto”? Solo dal governo o con le riforme? No, significa stabilire un’autonomia, un progetto politico diverso, proporre una nuova organizzazione di società. Questo comporta un ulteriore affondo critico nei confronti del riformismo. Rispetto alla questione della nascita eventuale di un partito riformista abbiamo fornito una risposta non tradizionale. Sarà un partito che si collocherà ancora pi_ a destra? La cosa è possibile, ma è legittimo qualche dubbio al riguardo. In fondo anche l’idea di dare vita a un nuovo partito riformista nasce dalla crisi del centrosinistra e dell’Ulivo e dal fallimento dell’ipotesi delle tre sinistre. In ogni caso per tenerci fuori da questa prospettiva bisogna evitare di parlarne come se ne facessimo parte. Il nostro compito invece è quello di discutere come costruire la sinistra d’alternativa. Credo comunque che, come avviene del resto anche in altri paesi, anche nel partito riformista italiano, se ci sarà, rimarrà una componente di sinistra.
In questo nuovo quadro continua il confronto fra le due sinistre. La posta in palio è l’egemonia. Quello che dobbiamo evitare è lasciare il campo del governo ai riformisti e affidare ai radicali quello del movimento. Se cosÏ avvenisse quest’ultimo eleggerebbe il partito riformista come suo interlocutore privilegiato.
Per questo dobbiamo accelerare la costruzione della sinistra d’alternativa in Italia e in Europa. Dobbiamo fare passi pi_ coraggiosi in questa direzione.

= L’attacco al sindacato e la lotta al terrorismo
L’esito dei conflitti in corso è tutt’altro che irrilevante. Stiamo assistendo ad una controffensiva assai pesante. Il governo ha negato il problema stesso rappresentato dallo sciopero, con l’intenzione di rendere la lotta stessa del tutto impotente. Le associazioni industriali dell’Emilia attaccano la Fiom accusandola addirittura di comportamenti incostituzionali. Da un lato, cioè, il governo nega ogni efficacia allo sciopero generale, dall’altro la Confindustria accusa il sindacato di incostituzionalità perché; promuove le lotte aziendali. Non ricordo nella mia non breve esperienza di sindacalista niente del genere. E’ evidente che si punta alla demonizzazione del conflitto.
In questa situazione dobbiamo essere molto attenti nei nostri giudizi. Di fronte ad un’iniziativa della magistratura dobbiamo sapere bene distinguere. Se lo Stato agisce contro il terrorismo mantenendo ben fermo il diritto per tutti i cittadini non possiamo avere alcuna preclusione. Vale da noi come per il resto del mondo. Siamo contro le leggi eccezionali perché; siamo per la lotta al terrorismo secondo le regole del diritto. Nello stesso tempo, per questo dobbiamo sapere distinguere, dobbiamo condannare tendenze striscianti di criminalizzazione del conflitto e tentativi di coinvolgimento, come abbiamo fatto ad esempio in occasione delle perquisizioni e delle accuse rivolte a chi organizza la lotta per il diritto alla casa. Dobbiamo distinguere un fenomeno da un altro. Se siamo di fronte a persone che si dichiarano prigionieri politici, è evidente che non siamo di fronte ad una generale iniziativa repressiva.
Dobbiamo continuare e generalizzare la discussione sulla nonviolenza che rappresenta anche una sfida culturale per fronteggiare concretamente l’atteggiamento del governo sullo sciopero, quello della Confindustria contro la Fiom, nonché; gli elementi striscianti di politica repressiva che va ben distinta dalla lotta al terrorismo.
Ho già detto di avere apprezzato il contributo dei Giovani comunisti che ha facilitato la discussione all’interno dei Disubbidienti. Nessuno è titolato a parlare in nome loro e viceversa. Tutti siamo dentro queste esperienze, per questo non intendiamo produrre né; rotture né; scissioni. Siamo invece per condurre una battaglia politica esplicita e aperta, proprio per evitare traumi o silenzi. Il gruppo dirigente veneziano e i Giovani comunisti hanno saputo mantenere la rotta giusta. Dobbiamo continuare a camminare assieme. Il movimento è fatto di diverse realtà, come dicevamo prima, e dobbiamo sapere mantenere insieme l’unità e la radicalità. Questo significa che la battaglia politica serve per produrre un avanzamento del movimento nel suo complesso.

= Radicalizzare l’opposizione al governo Berlusconi
Noi ci proponiamo di radicalizzare l’opposizione al governo Berlusconi. Ma non siamo all’anno zero. Guardiamoci dal vizio di sminuire la nostra stessa capacità di proposta e di iniziativa. Sull’Iraq abbiamo promosso un’iniziativa per il ritiro dei nostri soldati. Ribadiamo la nostra scelta di chiusura dei centri di permanenza temporanea per gli immigrati. Organizziamo concretamente il boicottaggio dell’applicazione della legge 30. Continuiamo la nostra mobilitazione sui temi del salario, sulle pensioni, sulla scuola e via dicendo. Le proposte ci sono. Bisogna invece interrogarsi su quali obiettivi riescono a diventare effettivamente un’iniziativa di massa.
Ho evitato fin qui di parlare dello stato del partito. Ritengo sbagliato farlo solo con qualche veloce cenno. Dobbiamo invece istruire bene la discussione che abbiamo già avviato con la relazione del compagno Francesco Ferrara nella penultima riunione della nostra Direzione nazionale. Propongo di ritornare sopra questo tema in una prossima Direzione e in un prossimo Comitato politico nazionale. E’ naturalmente una discussione che dobbiamo fare con una relazione aperta con la società nel suo complesso. Abbiamo elementi di sclerosi che dobbiamo superare.
L’idea di camminare assieme vale anche per il partito. Ma ci sono dei momenti in cui per convinzione sulla linea e sulle scelte non si possono fare ammiccamenti. La linea va presentata con grande nettezza. La libertà di giudizio di ognuno è garantita, ma le posizioni devono essere chiare. Per inclinazione sono contrario alla logica delle maggioranze blindate, preferisco addirittura quelle che si chiamano “allo sbando”, ossia derivanti dall’accordo su una determinata proposta. Ma, una volta operata la scelta, ritengo che tutti debbano concorrere alla sua realizzazione. Sono la linea e la pratica concreta che selezionano le maggioranze reali.
Propongo quindi in primo luogo che si determini un comitato di coordinamento che definisca un programma di iniziative e di lotte nel quale sia possibile verificare ciò che effettivamente ognuno fa come partito, nel movimento, nelle relazioni sociali. In secondo luogo decidiamo di costruire una conferenza programmatica allargata, preferibilmente capace di coinvolgere tutta la sinistra d’alternativa. Non propongo certo di fissare dei paletti o alzare bandierine. Gli obiettivi vanno perseguiti non semplicemente affermati. Dobbiamo costruire un’idea di società, in Italia e in Europa, da cui quindi ricavare un programma di governo. Un’idea di società che si avvicini al compito che abbiamo sempre affermato di costruire un programma fondamentale.

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