Comitato Politico Nazionale
30 - 31 ottobre 2004

Conclusioni di Fausto Bertinotti

1. Il congresso: partecipazione e chiarezza

Abbiamo svolto una discussione impegnata sulle modalità di svolgimento del nostro congresso. Abbiamo posto un duplice obiettivo: determinare le condizioni per una larga partecipazione delle compagne e dei compagni e per un effettivo chiarimento, nel senso di rendere esplicito e intellegibile a tutti i nodi che il congresso sarà chiamato a sciogliere. Partecipazione e chiarezza debbono essere i due punti fondamentali che le regole che ci diamo per il congresso debbono saper affrontare. Quindi, affinché non ci siano fraintendimenti tra di noi, è bene esplicitare il percorso che intendiamo proporre. L'elemento della partecipazione creativa delle compagne e dei compagni deve essere sempre garantita e valorizzata.

Il documento o i documenti che saranno presentati e che saranno varati dal prossimo comitato politico nazionale di novembre, quindi, non dovranno essere testi immodificabili. Ogni istanza congressuale, a partire dai congressi di circolo e delle federazioni, avrà la libertà di proporre e far votare emendamenti. Il punto ulteriore che proponiamo è che non si può dar luogo ad aggregazioni che chiedano una rappresentanza organizzata attraverso gli emendamenti. La rappresentanza è del documento o dei documenti che si presentano al confronto. E' una questione importante per rendere chiaro il dibattito e impedire ogni forma di doppiezza. La lealtà del confronto, infatti, non impedisce di poter dissentire, anche parzialmente, bensì di esprimere attraverso quel dissenso parziale un altro impianto. Insomma, i documenti sono emendabili in ogni fase del percorso congressuale e fino al congresso nazionale ma non si può, attraverso quello strumento, esprimere surrettiziamente un altro progetto. Da più parti si chiede un dibattito libero e impegnato. Noi abbiamo cercato di favorire questo percorso proponendo al partito uno schema di ragionamento che, in maniera sintetica, provasse a sistematizzare l'accumulo di riflessioni e di esperienze che siamo andati facendo. Lo abbiamo proposto nelle 15 tesi che rappresentano, per parte nostra, il tentativo di fornire uno strumento unitario di riflessione collettiva.

Ripropongo un punto che mi sembra fondamentale per tutti noi: lavorare per sanare la contraddizione tra la crescita del nostro peso nella società, nelle lotte, nel dibattito politico esterno e l'accumulo di questa crescita nel partito, anche soltanto nella sua consapevolezza, oltre che nell'iniziativa. Per questo, credo che occorrerebbe evitare di porre il dibattito tra di noi, anche nel dissenso strategico, nei termini che "occorra salvare il partito". Il partito è salvo di suo, lo dice il suo insediamento, la sua autorevolezza, la sua capacità di progetto, giudizio, questo, condiviso e analizzato da tutti i più autorevoli e attenti analisti.

2. La mozione parlamentare sul ritiro delle truppe dall'Iraq

Colpisce, in molti interventi, una incomprensione, o sottovalutazione, degli spazi che si aprono anche sul tema della guerra. Si è espresso un dissenso specifico sul giudizio della mozione parlamentare votata dalle opposizioni parlamentari. Non è assolutamente vero che sul terreno del ritiro, oggi la mozione sia arretrata o differente da quella votata in estate. Penso che dovremmo evitare di dire cose inesatte: in quella dell'estate, non c'era scritto che il ritiro era una precondizione, né c'era l'espressione "ritiro immediato". Noi siamo per il ritiro, lo eravamo ieri, lo siamo oggi. Ci siamo trovati di fronte alla proposta di una conferenza di pace che favorisse una transizione. Siamo riusciti a non rendere alternativi o separati il ritiro e la conferenza. Il problema è il seguente: questo approccio è produttivo per il movimento per la pace, lo imprigiona o gli rende possibile una maggiore incisione? Mi sembra che, anche la manifestazione di ieri, dia una risposta positiva. Andiamo proponendo un rapporto tra movimento e politica che non determina un appiattimento o una coincidenza ma un rapporto dinamico per il quale possano determinarsi le condizioni di un avanzamento sul terreno del movimento e della politica.

3. Il movimento

Vorrei affrontare i tre punti principali di dissenso che si sono espressi in questo dibattito. Il primo riguarda il movimento.

Credo che possiamo ben trarre un bilancio di una innovazione radicale che siamo andati proponendo sia dell'analisi dei nuovi movimenti che del nostro rapporto con essi. Anzi, su quell'analisi e su quella modalità di rapporto (per esempio la messa a bando di ogni pretesa di "guida"), abbiamo avuto tra di noi divergenze e polemiche. Abbiamo investito sull'onda lunga del movimento e polemizzato sempre con le tendenze "crisaiole", con quanti, spesso supponentemente, vedevano sempre la crisi del movimento. Abbiamo accompagnato il passaggio dal "movimento dei movimenti" al movimento per la pace. Abbiamo indagato ogni influenza dei movimenti sul conflitto sociale. Abbiamo modificato la nostra posizione sulla CGIL proprio grazie alla modificazione del rapporto intervenuto tra la CGIL e il movimento. Un rapporto che ha cambiato nel profondo la cultura politica dentro il maggiore sindacato italiano determinandone un avanzamento. Un solo esempio: il 15 novembre ci sarà lo sciopero generale della scuola su una piattaforma che è una critica radicale alle riforme della Moratti ma che propone una progettualità che non è un ritorno alle politiche del centro sinistra, a Berlinguer, ma che segna una discontinuità con quella stagione.

Abbiamo attraversato e accompagnato tutti questi passaggi.

Cosa c'è di contraddittorio oggi quando, dentro questa stessa ispirazione, ci interroghiamo sulla necessità di un'ulteriore crescita, sulla necessità di unificazione dei movimenti?

Una inadeguatezza che ci interroga tutti e che deve spingerci a trovare momenti unificanti negli obiettivi, nei progetti, nella costruzione di una piattaforma unitaria. Costituisce questo un elemento di riflessione in vaste aree del movimento. Mi sembra assolutamente infondato sia affermare che questo negherebbe l'autonomia dei movimenti sia che il movimento venga messo in discussione dalla nostra politica unitaria.

Il nostro congresso deve quindi proporsi di mettere a valore quanto abbiamo fatto per cogliere le possibilità di superamento delle difficoltà.

4. La spirale guerra terrorismo

L'analisi che siamo andati proponendo sulla spirale guerra/terrorismo determina tra di noi un essenziale elemento di dissenso. Questo dissenso riguarda l'analisi che facciamo della guerra e del terrorismo. Sul primo aspetto, l'analisi della guerra (il suo rapporto con la globalizzazione capitalistica, per esempio), non mi soffermo perché esiste tra noi una condivisione di fondo.

Il nostro rifiuto del terrorismo non si qualifica solo per i mezzi che utilizza ma anche per i fini che propone. Qual è la relazione che intendiamo sottolineare nell'espressione "spirale guerra/terrorismo"? Una relazione causale? No, il terrorismo è un fenomeno che nasce nella sfera autonoma del politico. Il terrorismo, la sua espansione, sono favoriti dalla guerra, come la guerra è ulteriormente alimentata dal terrorismo. Guerra e terrorismo si mettono, quindi, in una relazione tra di loro nella quale si alimentano a vicenda. L'uno e l'altro propongono mezzi e fini moritiferi delle persone e della politica.

Così, la nonviolenza come scelta politica assume un rilievo fondamentale per determinare una critica radicale della guerra e del terrorismo.

Questo impianto mette in discussione il diritto alla resistenza del popolo iracheno contro l'occupazione militare? No. Solo che vanno distinti i piani. Un conto è la legittimità, altro la lettura delle forme di resistenza.

Sul piano della legittimità e del diritto, tutte le organizzazioni resistenti sul territorio iracheno hanno la legittimità di essere coinvolte in un percorso di dialogo, penso alla conferenza di pace. Nel mio progetto, però, io distinguo tra resistenza e resistenza, non solo per gli strumenti usati ma anche per i fini che si propongono. I movimenti anticolonialisti che abbiamo conosciuto, penso all'Algeria, hanno anche usato mezzi terroristici, che oggi io vaglio criticamente anche rispetto a quanto è legato alla mia esperienza del tempo, ma avevano un fine di liberazione ed emancipazione, al di là degli esiti di quelle rivoluzioni. Qual è il progetto politico della resistenza irachena? Non è in discussione, quindi, il diritto o la legittimità a resistere ma il progetto di società che si propone.

5. Il governo e l'alternativa di società

L'altro punto di dissenso determinatosi nel nostro dibattito riguarda il rapporto tra prospettiva di governo e costruzione dell'alternativa di società.

Credo che anche nel dissenso, dovremmo tentare almeno la ricerca di una base comune di verifica tra le diverse ipotesi che si confrontano. La questione di fronte a tutti noi è come si può aprire in Itala e in Europa un nuovo ciclo. Credo che acutamente tutti, infatti, avvertano come, se questo processo non si avvia, non si rimane fermi ma si determina una regressione complessiva nella società, nella cultura, nell'economia, nella democrazia. Abbiamo cercato di investigare alcuni elementi di fondo di questa regressione. Abbiamo cercato di mostrare, anche con alcuni spunti concreti, il tentativo in Europa del neoliberismo di uscire dalla crisi che lo attraversa e attanaglia la sfera economica e sociale, con una nuova idea totalizzante che, risalendo dall'impresa, mira a rompere il cuore dei rapporti sociali derivanti dal conflitto di classe del dopoguerra, mira a destrutturare ogni elemento unitario di organizzazione del conflitto, mira a rompere quello che possiamo definire "diritto di coalizione". Gli esempi sono molteplici. Guardiamo alla nuova direttiva europea che mette sullo stesso piano il contratto collettivo e quello individuale o al trattato costituzionale che mette sullo stesso piano lo sciopero e la serrata.

E, ancora, sul piano nazionale, abbiamo messo in rilievo la contraddizione della dinamica occupazionale: da uno sviluppo senza occupazione a una occupazione senza sviluppo, con un generalizzarsi di lavoro povero e precario. C'è una sfida che penetra anche nella cultura e pone l'individualizzazione come una curvatura che tende a sussumere i complessivi processi di produzione, riproduzione e relazione dentro il processo di accumulazione.

Si è espresso un dissenso che mette in discussione la possibilità di avviare questo nuovo ciclo per la debolezza dei movimenti e per una difficoltà di incidenza nella politica.

Ma di fronte a questo passaggio, determinato dalla instabilità delle classi dirigenti e del proporsi, come uscita da questa instabilità, di un modello di capitalismo selvaggio che rompe definitivamente con ogni elemento che possa determinare una coalizione di classe, o sei in grado di proporti l'apertura di questo nuovo ciclo e di determinare, per questa via, una diversa uscita dalla crisi, oppure sei condannato alla marginalità. Un percorso, quello dell'apertura di un nuovo ciclo, che devi essere in grado di produrre agendo dal basso e dall'alto e in una connessione tra questi due elementi.

6. Liberare l'Italia

Qui si colloca il tema del passaggio di governo. "Il governo o si muore"? Mai detto, anzi, abbiamo, anche nelle 15 tesi, prospettato un'idea del tutto diversa del passaggio e del possibile ruolo di governo. Non c'è un sopra che è il governo e un sotto che è l'opposizione ma, entrambi sono variabili dipendenti dalla fase. Il governo non è uno sbocco ma un passaggio la cui possibilità e necessità va valutata di volta in volta. Per questo motivo, abbiamo utilizzato l'espressione "governo leggero e movimento pesante" per invertire la gerarchia che tradizionalmente si è teorizzata e praticata per la quale i movimenti erano funzione della conquista del governo e, una volta conquistato il governo, dovevano tornare a casa per non disturbare. Quello che ci proponiamo è esattamente il contrario, il passaggio di governo in funzione della crescita dei movimenti e della loro capacità di incidenza nella sfera delle decisioni politiche.

Per questo, anche dal punto di vista più strettamente teorico, siamo andati riflettendo sulla critica del potere e della sua neutralità e abbiamo utilizzato a questo scopo la chiave di lettura che la nonviolenza ci propone. Per questo motivo, abbiamo detto che il centro del congresso non è la questione del governo bensì la costruzione dell'alternativa di società.

Riteniamo che non puoi intraprendere questo cammino senza liberare l'Italia dal governo Berlusconi. Se non ti poni questo obiettivo, credo che esci dalla politica e dalla percezione che di essa hanno le masse di questo Paese. E credo che non puoi proporti quell'obiettivo senza indicare una strada. E, in questo senso, trovo francamente inconsistente farlo a metà: sei determinante a cacciare il governo e poi di ritrai oppure poi vedi cosa fare. Insomma, non ci sono due tempi in cui separi la questione della cacciata del governo Berlusconi da quello di come si costruisce un'alternativa programmatica. C'è un processo aperto in cui programma, coalizione, leadership, collocazione nel Paese stanno dentro un unico percorso.

Abbiamo detto, un percorso che determini una rottura del centrosinistra e una relazione a tutto campo tra le diverse forze dell'opposizione politica e sociale.

Cos'è la GAD, quella che è sta definita la Grande Alleanza democratica, se non la sanzione, anche lessicale, della rottura di quello schema che vedeva il centro sinistra chiuso in sé a trattare con Rifondazione Comunista e poi questi a trattare con i movimenti e le espressioni della società civile, secondo uno schema vecchio e stantio? Si è aperto un percorso, iniziato un cammino in cui tu ci stai, assieme ad altri, con la tua impostazione. Il nostro obiettivo, quindi, è chiaro: non solo cacciare il governo ma rimuovere le cause che hanno prodotto Berlusconi e il suo blocco sociale. E' su questa qualificazione dell'opposizione e della costruzione dell'alternativa programmatica che dovremmo impegnare le risorse e gli sforzi del partito, a partire dall'opposizione alla legge finanziaria, sapendo mettere al centro il tema decisivo della crescita e dell'efficacia dei movimenti.

7. L'ipotesi neocentrista e l'alternativa

La possibilità di aprire il nuovo ciclo è la condizione esenziale per sconfiggere l'ipotesi neocentrista che si affaccia con prepotenza come una risposta a una uscita morbida dalla crisi del berlusconismo e del suo blocco sociale. Guardiamo con attenzione a questo processo messo in campo dalle classi dirigenti e che trova nella nuova leaderschip della Confindustria il punto di forza anche se non unico. Essa non è la proposizione della creazione di una forza politica neocentrista. Essa si presenta con un progetto ben più ambizioso: è un processo di creazione di un blocco sociale, politico ed economico. Si esprime attraverso di esso un'idea dell'Italia e dell'Europa, compatibile con gli USA e che salvi l'essenziale delle politiche neoliberiste e, attraverso i processi di ristrutturazione industriali, ridisegni il complesso delle relazioni sociali.

L'alternativa che noi proponiamo non annulla le differenze con la sinistra moderata, anzi prevede una sfida di fondo sull'idea di società. Il punto è che questa sfida può non precludere la ricerca di convergenze e che la fattibilità di questo percorso risiede nelle mutazioni profonde intervenute:
- la crisi strategica del centro sinistra che determina da un lato una spinta centrifuga delle varie esperienze (da Blair a Zapatero), dall'altro una riflessione autocritica, nei più autorevoli esponenti del centro sinistra, sulla non riproducibilità della stagione politica degli anni novanta;
- la crescita straordinaria dei movimenti e della conquista di spazi di autonomia (pensiamo alla FIOM, alla medesima CGIL). In forze sociali e in molti settori dell'arcipelago dell'associazionismo cattolico viene avanzando una critica di fondo ai processi di precarizzazione determinati dalle politiche neoliberiste e lo stesso paradigma della precarietà viene messo in discussione;
- le nuove soggettività in campo (l'ARCI, componenti di forze politiche come la sinistra DS, le esperienze di alcune realtà avanzate di governi locali).

Pensiamo che l'insieme di queste condizioni possano determinare la possibilità reale di una qualificazione programmatica dell'alternativa di governo e di battere l'ipotesi neocentrista. Una possibilità, non una ineluttabilità, naturalmente.

Per questo, abbiamo tanto insistito sul carattere democratico della nuova coalizione, non banalmente per definire le forze che la compongono, ma per delineare il profilo dell'alleanza e il suo rapporto con le soggettività e insistiamo sull'autonomia del partito, dei movimenti, del conflitto sociale dal governo.

8. La questione del programma

Il tema dei contenuti, si dice è decisivo. Naturalmente lo è. Ma, lo dico scherzosamente, attenti a non cadere in una sorta di "neosaragattismo". Devi costruirti un impianto in cui le discriminanti programmatiche si inseriscano nel percorso della costruzione del nuovo ciclo. Per questo abbiamo detto che occorre abrogare quelle leggi varate dalle destre impedenti l'apertura del nuovo ciclo e le abbiamo nominate: la legge 30, la Bossi Fini, la riforma Moratti dell'istruzione. Naturalmente, non perché non esistano altre leggi pessime del governo Berlusconi da cambiare o da cancellare, ma perché individuiamo nella connessione di queste tre interventi legislativi, un corpo unitario che ridisegna il processo di precarizzazione e di sussunzione dentro le compatibilità dettate dalle esigenze delle imprese e della competizione. E abbiamo parlato del salario come vincolo interno e, attraverso questo vincolo, determinare una nuova politica redistributiva, fatta di tanti interventi connessi.

Il punto, quindi, è definire il quadro strategico, l'impianto programmatico nei quali inserire gli obiettivi specifici.

Non dobbiamo disperderci nei rivoli di una discussione spezzata ma connettere questa discussione con la ricerca sull'alternativa di società.

Il congresso sarà un'occasione straordinaria che non dobbiamo assolutamente sprecare proprio per delineare i percorsi e le fisionomie della nostra idea generale di società.

Due temi sento particolarmente pregnanti ma che, ritengo, non possiamo far rientrare in questo congresso anche se ne debbono accompagnare la discussione.

Il primo è la dimensione etica della politica. Sento questo come un tema generale di riflessione che ci interroga specialmente oggi allorché vediamo emergere dal profondo della società pulsioni e spinte reazionarie che sono repellenti ma che si presentano come un corpo compatto di idee, valori, visione del mondo.

L'altro tema è quello del partito, della sua forma organizzata, del rapporto tra partito, società, istituzioni. Credo che dovremmo consegnare al congresso un progetto ambizioso: quello di una assise specifica, di una conferenza in cui progettare un nuovo modo di stare assieme.

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