Comitato Politico Nazionale 26 - 27 novembre 2005

Documento area Essere Comunisti

1. Il Comitato politico di Rifondazione Comunista si tiene nel momento stesso in cui i barbari effetti della “guerra preventiva” tornano a fare notizia e a guadagnare gli onori della cronaca: a più di un anno di distanza, le immagini dei corpi di Falluja orrendamente deturpati dalle bombe al fosforo bianco che l’esercito Usa ha utilizzato contro una popolazione civile inerme hanno fatto il giro del mondo. Si tratta di un’attenzione incredibilmente tardiva, che – se non basta ad assolvere una reticente macchina mediatica e a risvegliare le coscienze assopite dell’Occidente capitalistico – è quanto meno servita a denunciare per l’ennesima volta le gravi responsabilità di chi davvero possiede e usa armi di distruzione di massa. Falluja resta, davanti all’umanità e alla storia, l’emblema di un’aggressione criminale e efferata, giustificata sulla base di una sequela di menzogne e, nei fatti, voluta in nome degli interessi economici e politici della maggiore potenza imperialista del pianeta. La condanna di ogni sincero democratico, di chiunque abbia a cuore la pace, non può che essere senza appello.

2. In un contesto così duramente segnato, la riattivazione di un “processo democratico” in assenza di un chiaro atto di discontinuità dall’orrore bellico, oltre che improponibile politicamente, appare del tutto irrealistico: non è solo la resistenza in armi, ma - come è testimoniato dagli stessi sondaggi promossi dal governo in carica - è la quasi totalità della popolazione irachena a chiedere il ritiro delle truppe occupanti, responsabili della devastazione del paese. Il nostro Presidente del Consiglio continua ad annunciare e, un minuto dopo, a smentire – o, comunque, a rettificare – la decisione del ritiro delle truppe italiane dall’Iraq.
Davanti a tale grottesco comportamento, tanto più grave risulta l'atteggiamento del centro-sinistra: le timide aperture registrate su questo tema ai tavoli programmatici, che proprio in questi giorni rendono pubblici i primi risultati del loro lavoro, sono platealmente contraddette da dichiarazioni e interviste dei segretari di partito, in particolare dei Ds e della Margherita, anch’essi evidentemente preoccupati di non contrariare più di tanto l’alleato statunitense. Su un tema che dovrebbe essere cruciale per la partecipazione di Rifondazione Comunista a un governo di alternativa alle politiche delle destre, da mesi riscontriamo e a tutt’oggi dobbiamo registrare una grave ambiguità di atteggiamenti. Il ritiro dall’Iraq deve essere immediato e non può dipendere da una consultazione col governo iracheno attualmente in carica, a cui demandare il riscontro di opportune condizioni di sicurezza. Tanto meno è accettabile l’adombrata prospettiva di una presenza italiana in Iraq a sostegno di un preteso processo democratico: nelle attuali condizioni, si contribuirebbe a costruire piuttosto un governo coloniale.

3. Ma è sul complesso delle problematiche internazionali che occorrerebbe ben altra determinazione, davvero degna di uno Stato sovrano, desideroso di pace e teso al ristabilimento di relazioni internazionali paritarie e improntate al rispetto dei popoli. Una determinazione che da tempo avrebbe dovuto costituire le premesse dell’alternativa di governo, la stessa – per intenderci – dimostrata dalla gente di Sardegna, la quale con una lotta tenace è riuscita a ottenere un primo importante successo inducendo i vertici militari Usa ad abbandonare la base de La Maddalena nonché a rimuovere dalle coste sarde e, in generale, dalle nostre acque territoriali la minaccia rappresentata dalla presenza di sommergibili nucleari. E, al contrario, vediamo confermata la partecipazione italiana a missioni tutt’altro che “umanitarie”: a cominciare da quella in Afghanistan, di cui va chiesto il ritiro al pari di quella irachena. Con tali impegni militari si finisce infatti per alimentare, invece che contribuire ad estinguere, i focolai di tensione attualmente esistenti e che sembrano diventare di giorno in giorno più incandescenti: la questione mediorientale, con il progressivo intensificarsi delle minacce e delle pressioni su Siria e Iran, è in tal senso emblematica. L’atteggiamento del centro-sinistra si mostra nel merito assolutamente deficitario: si accetta infatti di partecipare a manifestazioni anti-Iran con i peggiori rappresentanti della destra forcaiola nostrana (cui purtroppo hanno aderito anche alcuni esponenti della sinistra di alternativa), mentre non si compie alcun atto concreto per fermare la mano del governo sionista israeliano e imporre finalmente l’applicazione delle decine di risoluzioni Onu relative alla costituzione di uno Stato palestinese, sulla base di condizioni eque e nella piena tutela dello stesso Stato di Israele. In proposito, va tra l'altro stigmatizzato lo strabismo di chi pretende di salvaguardare gli equilibri di questa area da nuove escalation nucleari, avallando nel contempo il già consistente arsenale nucleare dello stato di Israele. In ogni caso, ci pare ora inderogabile la promozione da parte del Prc di una manifestazione nazionale in solidarietà con la lotta del popolo palestinese. E un ulteriore atto concreto dovrebbe essere la denuncia unilaterale del patto militare quinquennale, stretto con Israele dal governo Berlusconi in dispregio del nostro dettato costituzionale e dei trattati vigenti sulla non proliferazione di armamento non convenzionale.

4. Come più volte abbiamo detto, la spinta alla guerra – che permea di sé l’attuale fase involutiva del mondo capitalistico – costituisce l’espressione estrema della crisi di un modello sociale e della sua capacità egemonica. Essa rappresenta la terribile via di fuga “esterna” davanti all’impossibilità di fornire una risposta di civiltà alle richieste “interne” di diritti e sviluppo sociale. La recente esplosione delle periferie francesi è l’ennesima testimonianza del fallimento del neoliberismo, un’ulteriore segnale di ribellione sociale ad uno stato di crescente precarietà, peraltro già manifestatosi in quel medesimo Paese col rifiuto di un Trattato costituzionale europeo che delle politiche neoliberiste rappresenta formale sistemazione.
In un contesto continentale di generale e persistente difficoltà economica, il governo delle destre si è contraddistinto in Italia nel promuovere le istanze istituzionalmente e socialmente più regressive, inasprendo i processi di precarizzazione e approfondendo le disparità sociali e territoriali, conducendo un attacco frontale al ruolo del sindacato e agli istituti di tutela sindacale (a cominciare dai limiti normativi al licenziamento per finire alla titolarità del contratto nazionale di lavoro), proseguendo nell’opera di stravolgimento dello spirito e della lettera della Costituzione. Una grande parte del nostro Paese è duramente provata e attende un visibile cambio di marcia: uomini e donne del Sud senza lavoro, giovani occupati a tempo determinato, meccanici di 3° livello con 1.000 euro al mese, pensionati al minimo, migranti in cerca di occupazione e cittadinanza; e tanta parte del ceto medio impoverito dalla crisi – tutti costoro attendono risposte concrete dal programma del nuovo governo. Essi chiedono risorse, servizi pubblici e reddito; non chiedono dunque una riedizione “temperata” delle ricette neoliberiste, di cui hanno già visto nel passato gli esiti iniqui. In questo ambito, il Prc deve dunque ribadire con urgenza la necessità di misure che innanzitutto assicurino una consistente redistribuzione della ricchezza, con in testa un dispositivo di adeguamento automatico di salari e pensioni al costo della vita.
Non può neanche essere sottovalutato il fatto che segnali involutivi si registrano sul piano del tessuto etico e degli assetti istituzionali del paese. Per un verso, la sconfitta del referendum sulla procreazione assistita ha segnato un nuovo (e restauratore) protagonismo dei vertici ecclesiastici, che torna a mettere in questione il principio di laicità dello stato e arriva perfino ad insidiare l'applicazione della legge 194. Per altro verso, il varo della controriforma costituzionale - con la conseguente ulteriore piega autoritaria incombente sulla nostra vita istituzionale - impegna le sinistre nel loro complesso ad una dura campagna referendaria per sbarrare il passo a tale regressione.

5. Ma anche su questo versante interno, a giudicare dai primi flebili riscontri dei relativi tavoli programmatici, sembra assai pesante il condizionamento esercitato dalla parte più moderata del centro-sinistra: ed evidentemente fa già sentire il suo riflesso moderato la prospettiva della fondazione di un “partito democratico”, tornata prepotentemente alla ribalta a conclusione delle primarie e sulla scia del plebiscito per Romano Prodi. Non si ha intenzione di abrogare la legge 30 ma di mitigarne gli effetti più dirompenti attraverso una riscrittura delle singole norme; non si intende cancellare nemmeno la legge Moratti, ma solo correggerla in alcuni punti. D’altra parte, sul fronte delle politiche sociali e dell’ampliamento dei diritti, la piega impressa da Sergio Cofferati alle politiche del Comune di Bologna è una spia di risorgenti propensioni securitarie ed emergenzialiste. E anche sul tema dei servizi, si sono moltiplicate le prese di posizione di esponenti del centro-sinistra che auspicano una ripresa dei processi di liberalizzazione, a loro dire colpevolmente trascurati dall’attuale governo: l’opinione espressa da Romano Prodi a favore della famigerata direttiva Bolkestein è in merito emblematica.
In stridente contrasto con il suddetto andamento del percorso programmatico, si mantiene alta nel paese la pressione della protesta sociale. Dalla grande giornata di lotta della scuola e dell’università contro la legge Moratti allo sciopero generale promosso dai sindacati confederali il 25 novembre appena trascorso, dalla dura vertenza dei metalmeccanici alla mobilitazione dei migranti in vista dell'importante manifestazione nazionale del 3 dicembre, dalle campagne sociali contro la Bolkestein e contro lo scippo del Tfr alle rivendicazioni a tutela dell’ambiente contro il progetto dell’Alta Velocità nella Val di Susa - i movimenti di massa ripropongono la centralità del conflitto di classe ai vari livelli della compagine sociale. C’è una grande parte della società italiana che chiede di cacciare le destre, ma anche le politiche di destra: per questo occorre accentuare la pressione sul piano programmatico con l’imperativo di ottenere risultati concreti e impegnativi.

6. La ricerca di un consolidamento del cammino sin qui fatto è la condizione per estendere la nostra influenza nella società, sperimentando nuove alleanze politiche e sociali. Dobbiamo farci portatori di una proposta politica unitaria, che punti cioè ad un più stretto coordinamento di tutte le forze che, alla sinistra del blocco moderato dell’Unione, si sono sin qui battute con noi contro la guerra e il neoliberismo, come nel referendum per l’estensione dell’art.18. Pensiamo tuttavia che sia sbagliato collegare tale prospettiva alla costituzione di una sezione italiana del Partito della Sinistra Europea, nei confronti del quale abbiamo già espresso una dettagliata critica: continuiamo infatti a ritenere che la costituzione di tale forza politica abbia diviso e non unito le forze comuniste e di sinistra anticapitalistica in Europa; ed inoltre che essa poggi su di una troppo generica base politico-programmatica. Ai fini, poi, di un più stretto raccordo delle forze della sinistra di alternativa nel nostro Paese, un riferimento al suddetto partito comporterebbe nei fatti un ridimensionamento dei possibili interlocutori: solo una parte della sinistra di alternativa, infatti, condivide o fa in qualche modo riferimento all’esperienza della Sinistra Europea.
Oltre a ciò, riteniamo in primo luogo fondamentale il rafforzamento del Prc. Il nostro partito è il perno essenziale del processo della rifondazione comunista ed è un decisivo punto di riferimento per i soggetti sociali che si oppongono alla stretta neoliberista, una sponda politica essenziale per le vertenze e le lotte sociali. Occorre rendere più efficace la nostra presenza e la nostra capacità di iniziativa, provando anche ad affrontare le difficoltà della fase post-congressuale e a restituire alla vita interna del partito una capacità di coesione nonchè la forza propositiva del confronto democratico. Dobbiamo prestare attenzione alle difficoltà nella vita organizzativa e partecipativa del partito, incentivando il tesseramento, prendendo in seria considerazione i problemi che gravano sulle scarse forze del nostro giornale: tutto ciò meriterebbe una sede adeguata di riflessione, con la convocazione di un’apposita Conferenza di organizzazione.
La decisione di andare alle prossime elezioni politiche con il nostro simbolo, nella chiarezza del percorso politico e nella legittima autonomia delle identità che ad oggi compongono la sinistra di alternativa, evitando dunque precipitazioni elettoralistiche di corto respiro, non deve far velo alla necessità di ricercare le modalità di un’alleanza più ampia, di un più stringente patto d’azione attorno ad obiettivi comuni. Nelle prossime elezioni c’è la concreta possibilità di ottenere una non trascurabile rappresentanza del Prc nel Parlamento: si tratta di un fatto importante, che deve essere valorizzato con la presenza nelle nostre liste di esponenti effettivamente rappresentativi di tutte le culture, esperienze, sensibilità più significative nell’ambito della sinistra di alternativa e di movimento, accomunate dal primato della lotta contro la guerra e il capitalismo neoliberista. Allo stesso modo, va garantita una rappresentanza di tutto il partito che tenga equamente conto - nei giusti termini qualitativi e numerici - del pluralismo interno. Ma, al di là di tale impegno, la costruzione di un coordinamento e una convergenza programmatica della sinistra di alternativa, che si rivolga a partiti, forze sociali e di movimento, giornali, nel quadro di relazioni aperte e paritarie e senza l’imposizione di veti, resta per l’immediato un compito politico ineludibile, una progettualità che guarda oltre la stessa prossima scadenza elettorale.

Claudio Grassi
Bianca Bracci Torsi
Alberto Burgio
Maria Campese
Bruno Casati
Beatrice Giavazzi
Gianluigi Pegolo
Bruno Steri

respinto con 43 voti a favore

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