Comitato Politico Nazionale 21 - 22 gennaio 2006

RESPINTO

Proposta di Odg conclusivo

Claudio Bellotti, Simona Bolelli, Alessandro Giardiello, Jacopo Renda

Il percorso della trattativa programmatica nell'Unione è ormai vicino alla conclusione. È necessario quindi che il partito dia una valutazione complessiva del profilo di questo programma. Il risultato della trattativa conferma con chiarezza l'egemonia che gli interessi della classe dominante esercitano sul grosso delle forze dell'Unione.
Sulla politica estera, si ripropone pienamente l'adesione all'alleanza atlantica e la logica delle ingerenze umanitarie sotto l'egida dell'Onu, nonché del modello di difesa europea.
Sulla politica economica il programma è interno alla logica già proposta dal primo centrosinistra: rispetto del patto di stabilità, "risanamento" della finanza pubblica, liberalizzazioni, privatizzazioni, flessibilità (sia pure con qualche ammortizzatore sociale), sostegno alle imprese, rilancio di una nuova edizione delle politiche concertative che per quasi 15 anni sono state causa fondamentale dell'arretramento delle condizioni dei lavoratori.
Sulle politiche sociali e i diritti democratici ci si limita da semplici attenuazioni delle peggiori politiche della destra, senza tuttavia mettere in discussione gli arretramenti subìti sotto i precedenti governi di centrosinistra: flussi migratori, sia pure pi_ flessibili, che continueranno a mantenere nell'illegalità una parte importante degli immigrati; "umanizzazione" ma non certo abolizione dei Cpt; ritiro di alcuni aspetti della riforma Moratti, ma nessuna inversione di quei processi di autonomia e aziendalizzazione che hanno introdotto una devastante logica privata nella scuola e nell'università pubblica, così come in generale dello stato sociale.
Il fatto che al momento della stesura definitiva della bozza di programma le forze dell'Ulivo si siano spinte persino a tentare di oscurare alcune di quelle proposte positive (per quanto limitate) che erano state accettate in precedenza dimostra con chiarezza lampante come queste forze considerino queste concessioni come veri e propri contentini con i quali tacitare il nostro partito.

La trattativa con l'Ulivo non avviene nel vuoto, ma in mezzo a uno scontro sociale che vede continuare una forte disponibilità alla mobilitazione sociale, seguendo quell'ondata di lotte che in questi anni ha attraversato il paese logorando le basi di consenso della destra. Le lotte dei metalmeccanici hanno visto una partecipazione di massa e una decisione nel tentare di strappare un risultato positivo come da tempo non si vedeva in una lotta di categoria. Alla luce di questa grande capacità di mobilitazione appare insufficiente l'accordo siglato da Fim-Fiom-Uilm, sia per l'accettazione del prolungamento della sua durata, sia per le aperture alla flessibilità (orario plurisettimanale) e all'estensione dell'apprendistato anche in mansioni di bassa qualifica compresa la catena di montaggio.
Resta che solo la grande determinazione dei metalmeccanici ha impedito a Federmeccanica di ottenere quello sfondamento indiscriminato che si proponeva all'inizio della vertenza.
La grande manifestazione nazionale tenuta a Milano in difesa della legge 194 (una mobilitazione di dimensioni non viste dagli anni '70) non solo conferma le potenzialità di questa fase, ma anche la vulnerabilità degli stati maggiori dell'Ulivo di fronte all'offensiva reazionaria della chiesa cattolica. Non solo Rutelli, ma anche la maggioranza Ds si mostra sensibile a tali pressioni, come dimostrano le proposte di Livia Turco volta a dissuadere le donne che intendono abortire con l'offerta di un assegno (per altro misero): una proposta umiliante pienamente inserita nelle logiche familiste che hanno imperato negli scorsi anni. E non a caso nell'Ulivo quasi nessuno rimette in discussione lo scandalo dei finanziamenti alle scuole private (e in generale la concezione del "privato sociale", vero grimaldello della distruzione dei servizi pubblici).

È precisamente questa perdurante disponibilità alla lotta di massa (dalla 194 ai metalmeccanici, dall'Alitalia alla Valsusa...) che è al centro delle preoccupazioni della classe dominante. Le discussioni su modello elettorale, schieramenti politici, ecc. ruotano tutte attorno a un solo punto: come costruire una gabbia tale da depotenziare ogni possibile opposizione sia a livello sociale (con le varie proposte di destrutturazione del sistema sindacale), sia a livello politico.
Da un lato, ci si propone di blindare la lotta sindacale con un nuovo patto concertativo centrale che controbilanci la crescente spinta dal basso che nei luoghi di lavoro ha generato le lotte pi_ radicali di questi anni. Dall'altro si tenta un affondo nei confronti dei Ds con un'offensiva concentrica (da Prodi fino al Corriere della sera) che sfrutta le loro compromissioni e subalternità alla logica del mercato e del capitale (come emerse clamorosamente nella vicenda Unipol) per tentare l'ennesimo affondo e rompere ogni legame fra la sinistra riformista e il movimento operaio. Come ha lapidariamente riassunto Rutelli, "il partito democratico non deve essere la quarta matrioska del Pci".
Tali progetti (al di là della scarsa probabilità che hanno di realizzarsi) possono essere compresi solo alla luce delle reali condizioni del capitalismo italiano e internazionale, che non permettono (al di là delle formulazioni della bozza di programma) alcuna significativa politica di riforme sociali. Non lo consentono lo stato della finanza pubblica, l'accresciuta competizione internazionale (aggravata dalla tendenza all'aumento dei tassi d'interesse), la crisi di competitività dell'industria italiana.
Se di programma si deve discutere, questo non può avvenire a partire dalle proposte dell'avversario di classe, tentando di contenerne gli effetti peggiori, ma a partire da quelle esperienze pi_ avanzate su scala internazionale, che non a caso vedono rinascere, particolarmente in America Latina, il dibattito su questioni quali il controllo operaio della produzione e della distribuzione, l'esproprio delle aziende in crisi, la nazionalizzazione delle banche e delle risorse strategiche (ad es. in Bolivia con la questione del gas), l'esproprio della terra agricola e urbana come soluzione a problemi insolubili nei limiti imposti dalla proprietà privata.

Se l'Unione vincerà le elezioni, la pressione della borghesia al suo interno si farà sentire sempre pi_ forte. Dall'altra parte, nonostante tutte le manovre politiche e il coinvolgimento dei dirigenti sindacali, sarà impossibile alla lunga disciplinare i lavoratori alle politiche confindustriali dell'Ulivo. Si produrrà una resistenza così come si è prodotta nei confronti del governo delle destre, e come già abbiamo visto in realtà governate dal centrosinistra: valga per tutti l'esempio della Valsusa, dove il movimento si è prodotto in opposizione a governi regionali, provinciali e comunali in mano al centrosinistra.
L'Unione verrà inevitabilmente lacerata da queste opposte pressioni, il nostro partito sarà di fronte all'alternativa: o subire politiche per noi inaccettabili, o aprire un conflitto che però a quel punto si svilupperebbe nelle condizioni per noi pi_ sfavorevoli, con il rischio concreto che dopo essersi compromesso con la partecipazione al governo il partito venga poi emarginato dalla maggioranza imbarcando settori dei centristi del Polo.
È una necessità vitale che il partito si attrezzi per preparare una svolta: dato questo quadro generale l'Unione verrà attraversata da tensioni crescenti che porteranno a una inevitabile resa dei conti. Se il partito non prepara le condizioni necessarie, al momento decisivo rischia di venire prima condizionato e poi emarginato e di subire una pesante sconfitta politica.
Dobbiamo preparare le condizioni di una svolta che ponga il partito nella giusta posizione: non inserito in un'alleanza dominata dagli interessi padronali, dove ogni giorno che passa emerge con maggiore chiarezza il rischio di diventare un ostaggio, ma nel pieno delle mobilitazioni di massa che inevitabilmente si riproporranno una volta che emerga con chiarezza la politica del governo Prodi. Primo passo ineludibile per tale svolta è rifiutare l'inserimento di nostri ministri all'interno del governo Prodi.

Il rischio di condizionamento da parte del centrosinistra si esprime anche nella forte spinta all'istituzionalizzazione che emerge dal dibattito sui gruppi parlamentari. Il partito si appresta a quadruplicare la propria rappresentanza parlamentare, una grande "testa" istituzionale su un corpo tutt'ora debole nel suo radicamento. Decine di compagni dirigenti si apprestano a lasciare posizioni chiave negli organismi di partito e ad entrare in parlamento. Oltre che un indebolimento delle strutture del partito si moltiplicano i rischi che una logica istituzionalista guidi sempre di pi_ le nostre scelte.
È necessario quindi un serio piano di lavoro teso a valorizzare le risorse esistenti e che metta al centro del nostro lavoro di costruzione quei compagni e strutture che stanno dimostrando una reale capacità di intervento, di mobilitazione e di radicamento.

chiudi - stampa