Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 19 e 20 aprile 2008

Conclusioni di Franco Giordano

Vorrei iniziare queste conclusioni partendo da un punto fermo: ho proposto io in segreteria, e l’ho riproposta qui al Cpn, l’idea di anticipare il congresso per ridare immediatamente la parola alle compagne ed ai compagni di Rifondazione comunista. Il processo democratico inizia proprio con la dinamica congressuale.
La catastrofe delle ultime elezioni rende necessario un dibattito partecipato e di massa. A tal fine ho proposto le dimissioni di tutto il gruppo dirigente. Avevo chiesto l’immediata convocazione della direzione nazionale per poter partecipare all’importante ed incoraggiante iniziativa di Firenze, posticipando solo di una settimana il Cpn. Infatti, la mia assenza a quella bellissima manifestazione è stata criticata esplicitamente da Marco Revelli.
Io trovo segnali di speranza anche al nostro esterno. La sofferenza di tante compagne e tanti compagni riguarda non solo il futuro di Rifondazione, ma anche quello della Sinistra in Italia. Chi ha da sempre l’ambizione di costruire una cultura di massa, sa bene che in questi casi si deve immediatamente costruire una relazione con il mondo esterno. Non mi è mai capitato, nella storia di Rifondazione comunista, di vedere il partito rinchiudersi in se stesso. Figurarsi in questo caso, quando si deve discutere della sconfitta più cocente. Oggi dobbiamo parlare all’intero paese!

Per questo penso che il primo passaggio sia quello di intrecciare una discussione interna approfondita e partecipata al congresso con una discussione esterna aperta a tutti coloro che ci hanno aiutato in campagna elettorale e che sono stati sconfitti insieme a noi ed anche a chi non ci ha votato ed oggi, resosi conto del vuoto che si è creato, vuole colmarlo anche con la sua partecipazione. Saremmo miopi se non facessimo questa operazione. Penso ad assemblee aperte nei territori, non limitate ai gruppi dirigenti, per la ricostruzione della dialettica con un mondo che oggi si pone importanti interrogativi e che potrebbe dare inizio ad una reazione positiva e di massa.

Le due date per noi decisive sono quelle del 25 aprile e del 1° maggio, per ricostruire un sentire comune con un pezzo del popolo di sinistra e democratico. Il 25 aprile con il tema della cultura democratica ed antifascista, il 1° maggio per rilanciare il conflitto sociale nella fase contemporanea. Dobbiamo far capire al paese che vogliamo ricominciare, pur in questo difficile momento. A tal proposito, invito tutti ad organizzare, in questa settimana, una grande mobilitazione di sostegno a Rutelli contro l’avanzata di questa destra, la peggiore destra. Io ci sarò, come semplice militante di Rifondazione comunista.
Ho proposto a questo Cpn di istituire un comitato di garanti, non costruito pattiziamente, non predeterminato, ma prodotto da un voto, in questa sede, che indichi un indirizzo politico e che non preveda la partecipazione dei membri della segreteria nazionale.
Io mi sono dimesso in seguito alla sconfitta, per la catastrofe della cancellazione della rappresentanza del conflitto sociale, della sinistra e per l’avanzata delle destre che si è prodotta. Ma deve essere ben chiaro che non posso dimettermi per la cultura del sospetto. Non accetto l’idea secondo cui io dovrei dimettermi per non aver contrasto un’operazione che puntava allo scioglimento del partito, operazione che sarebbe stata determinata da un appello girato nell’ultima settimana di campagna elettorale e non sottoscritto da alcun dirigente di Rifondazione. Cosa avrei dovuto fare? Convocare gli organismi dirigenti per discutere di un appello esterno al partito e non ancora apparso ufficialmente?

Non ho mai parlato di scioglimento del partito né ho mai fatto alcuna allusione in tal senso. Ciò che dicevo ieri, lo ripeto oggi: occorre ripartire da Rifondazione Comunista e avviare il processo costituente della Sinistra. E’ questo l’oggetto del nostro Congresso di luglio: ripartire da Rifondazione e rilanciare la costruzione della sinistra unitaria in Italia. Dopo la disfatta elettorale sarebbe assurdo riproporre l’ipotesi della federazione, tanto più dopo il passo indietro unilaterale del Pdci.
Non credo si possano mettere sullo stesso piano la proposta della costituente comunista e quella della costituente della sinistra. Sono opzioni incompatibili. La costituente comunista di Diliberto è lontana anni luce da Rifondazione comunista. Rappresenta solo il tentativo di restaurare un pensiero comunista antico ed ortodosso.

Sono anche contrario all’idea di un partito unico, che ci riporterebbe nell’alveo di una cultura novecentesca da noi ampiamente superata. Immagino invece uno spazio pubblico - non una federazione - in cui i soggetti, le passioni, i sentimenti possano stare insieme alla pari e, tramite la partecipazione e la democrazia, possano esprimersi, con poteri decisionali, nella definizione di questa soggettività.
Oggi, mentre viene negata una rappresentanza politica a tutte le esperienze di conflitto sociale della sinistra, Montezemolo nega la rappresentanza sociale al movimento sindacale con incredibile tempismo. E’ come se l’idea stessa del conflitto sociale venisse espunta, contemporaneamente, sia dalla politica, sia dalla società.
Come ho già sottolineato nella relazione introduttiva, ritengo che la ragione soggettiva della nostra sconfitta sovrasti quelle oggettive. Va detto che il voto utile ha travolto noi e non l’Udc, perché il nostro elettorato non teme Berlusconi come quello dell’Udc teme Veltroni. Tuttavia le debolezze del voto amministrativo, seppur meno gravi, riflettono quelle del voto nazionale: non voglio cercare alibi. Penso che ci sia un intreccio di cause che vedono sia un deficit nella lettura della società e di proposizione di un’alternativa, sia lo sradicamento dai territori. Queste concause si riflettono anche sullo scenario europeo: in Francia con il Pcf, come in Spagna con Izquierda Unida, mentre in Germania Die Linke riesce a reagire bene. Gli operai si sono ritrovati soli in fabbrica e soli nel territorio, un luogo desertificato e desolidarizzato, dove al conflitto verticale si è sostituito il conflitto orizzontale, con la costruzione sistematica del nemico da parte della fabbrica della paura e dell’idea di una centralità del territorio in chiave contrappositiva.

Dobbiamo ricostruire un’idea della politica nuova, un idea di conflitto, espulso dalla politica stessa negli ultimi anni e delegata al sindacato in chiave moderata, mentre al partito si delegava l’autonomia della politica in chiave autoreferenziale. Dobbiamo ricostruire una soggettività politica nuova che contenga un’idea di conflitto altrettanto nuova. Penso ad una sinistra radicata nei territori che ricostruisca forme di democrazia, il “fare società”. La collocazione politica non è determinante, perché anche dall’opposizione si deve offrire un’idea di società alternativa e si deve essere radicati nel territorio.

Dobbiamo. A mio parere, ripensare la nostra soggettività attorno a 4 grandi questioni: rilanciare il conflitto sociale; investire di nuovo nei movimenti altermondialisti specie in uno scenario globale come quello attuale, con la crisi finanziaria americana alle porte; fare leva su quelle comunità che esprimono un’idea nuova di solidarietà ed un vincolo sociale forte, spesso presenti nei territori del nord del paese dove la desertificazione sociale è devastante; assumere la pratica della differenza, riscoprendo la parzialità del maschile e di rompere il meccanismo dell’universalismo astratto.
Sul tema centrale del governo Prodi, va detto che forse avremmo dovuto manifestare una maggiore autonomia, specie in occasione della vicenda sul welfare, quando l’impermeabilità del governo è stata stridente e si è determinata una rottura per noi devastante. Avevamo dichiarato di votare per vincolo sociale e non politico, per evitare che scattasse lo scalone Maroni che avrebbe peggiorativo le condizioni materiali di milioni di lavoratori, ma forse avremmo dovuto essere più duri a riguardo. Questo è vero e accetto la critica che ci è stata mossa. Però quando allora io sostenni l’ipotesi di ritirare la delegazione di governo, altri compagni, che oggi ci criticano per essere stati troppo subalterni al governo Prodi, si opposero.
Ritorniamo a Rifondazione Comunista, sì, ma quale? Ho passato una vita nel Prc, 15 anni! E vorrei tornare a quella Rifondazione che ha sperimentato un’innovazione straordinaria, che ha raccolto le spinte provenienti dalla società, che a Genova elaborò un pensiero alto, sostenendo che dovevamo essere interni ai movimenti, rompendo con la logica antica comunista che voleva “trasmettere” la linea ai movimenti. Rivendico quell’innovazione! L’apertura alle soggettività, ai movimenti e la nonviolenza. Nonviolenza non come deriva moderata, ma come potente critica all’attuale assetto capitalistico, in quanto processo di trasformazione reale, molecolare, ma anche come critica all’autonomia del politico, in grado di trasformare la natura del potere: questa è la nostra idea di nonviolenza!

Invito i compagni che hanno parlato di nonviolenza a non disperdere questo aspetto fondante della nostra cultura e vi chiedo di inserire la nonviolenza nel documento di oggi e di quello congressuale, così si difende il bagaglio culturale di Rifondazione comunista e renderemo limpida la discussione. Dobbiamo evitare che le nostre culture si possano disperdere solo perché, congiunturalmente, ci troviamo su posizioni differenti. Dobbiamo far tacere i rumori interiori, creare uno spazio di silenzio in cui la parola dell’altro possa risuonare con chiarezza. Dobbiamo guardarci dal rischio di doroteismo, mettendo insieme cose diverse che lascerebbero intatto l’esistente. Cosa mai potremmo conservare adesso? Dobbiamo investire su una progettazione nuova per Rifondazione Comunista e per la sinistra. Le due cose stanno insieme, non riesco a vedere una Rifondazione senza un progetto per la sinistra.
C’è tanto sgomento ed angoscia qui e fuori di qui, c’è voglia di prendersi per mano e reagire, come in un corteo.
Tante volte mi capita di dirlo nei comizi, lo faccio anche qui: l’unico invito sommesso che vi faccio è di ricordarci l’ammonimento di Bertolt Brecht «Noi ci siamo battuti per il mondo e la gentilezza ma non siamo stati gentili. Dobbiamo poter dire: noi che ci siamo battuti per il mondo e la gentilezza, abbiamo potuto e voluto essere gentili».

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