Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 13 - 14 dicembre 2008

Documento respinto presentato dall'area Rifondazione per la Sinistra

La rabbia e la repressione Da più di una settimana la Grecia è in fiamme. Dopo l’assassinio nel centro di Atene di Alexis, un ragazzo di 15 anni, da parte della polizia, il paese è stato teatro di una vera e propria rivolta. A migliaia, giovani e cittadini, hanno attraversato le strade di Atene e delle principali città greche, per ribellarsi alla violenza politica e sociale di cui sono stati per anni vittime. Per ribellarsi all’assassinio di Alexis, che tanto funestamente è simile a quello di Carlo Giuliani, per impedire che la polizia trasformi la repressione sociale in una generalizzata e feroce minaccia alla stessa incolumità fisica delle persone. Il grado di consenso manifestatosi intorno alle manifestazioni di questa rabbia, da parte dei cittadini e dei media (come appare assai chiaro dagli importanti reportage di Liberazione), è stato superiore alle aspettative. La mobilitazione prosegue nelle forme più radicali e il governo di destra vacilla. Ad essa si sono saldate le proteste del mondo del lavoro, impegnato nello sciopero generale del 10 dicembre, di quello studentesco e di quello dei diritti civili (a partire dalla contestazione dell’inumana condizione dei migranti “clandestini”). Non si tratta di un evento circoscritto, né di uno dei ciclici episodi di ribellismo che pure abbiamo conosciuto in altre aree del mondo. La rivolta di Atene, porta verso il Sud e l’Est dell’Europa, è il drammatico esito della precipitazione di una vera crisi epocale. L’azione deliberatamente criminale della polizia, la complicità repressiva degli apparati governativi, vanno a innestarsi su un corpo sociale devastato dalla crisi e, per intere generazioni, privo della speranza di futuro. È evidente che una rivolta sia “irrappresentabile” dalla politica organizzata, ciò vale anche per i movimenti in tutta Europa, ma la descrizione di questa irrappresentabilità fa i conti con la crisi delle forze organizzate, con l’incapacità di produrre una reazione egualitaria e solidale alla crisi, in particolare delle forze della sinistra, pur riconoscendo che una forza come il Synaspismos sta operando in intelligente solidarietà con quel movimento. La rivolta greca può avere echi in altri paesi europei, a partire dalla Francia. Essa ci parla della drammatica esigenza di riprendere un ruolo attivo nella società, come sinistra, prima che sia, per l’ennesima volta, troppo tardi. Contro la spirale guerra terrorismo La drammatica escalation di violenza che sta funestando il mondo rende tutti noi più esposti. Siamo di fronte ad una vera crisi di civiltà. L’atroce eccidio terroristico di Mumbai non è che l’ultimo atto di una sanguinosa sequenza di crimini che mirano alla consapevole destabilizzazione delle aree più delicate del pianeta. Il progetto terrorista, come avevamo già detto, si presenta nella sua delirante e autonoma pianificazione di violenza e non ha nessun fine “difensivo”. Così come continuiamo a condannare, senza se e senza ma, la guerra e chi la propugna, allo stesso modo intendiamo condannare ogni atto di violenza terroristica compiuto. La strage di innocenti che viene dall’accresciuta spirale tra guerra e terrorismo, ci deve far mantenere alta l’attenzione. Da un lato è necessario lottare contro ogni violenza, dall’altro non va ceduto neppure un millimetro della nostra intransigente difesa dei diritti, spesso messa in discussione proprio in nome delle politiche di emergenza, da parte dei governi nazionali. In questo contesto, l’elezione di Barack Obama, che tante attese ha generato in milioni e milioni di cittadini non solo nord americani, può dirsi positiva se parte, come promesso, dalla riapertura dei canali diplomatici nelle aree di conflitto, dalla pianificazione del ritiro delle truppe dall’Iraq, dalla chiusura delle abominevoli prigioni di Guantanamo e di quelle in cui si è fatto ricorso alle più sistematiche torture. Non è la “nostra” politica, ovviamente, ma è una innegabile discontinuità con il devastante progetto del “new american century” proposto dall’amministrazione Bush. Il mondo in crisi e la ripresa dei movimenti Oggi, di fronte alla portata della crisi globale del capitalismo finanziario e alle conseguenze che già cominciano a farsi sentire sull’economia reale, con l’annuncio di una stagione durissima sul terreno dell’occupazione (mancato rinnovo dei contratti dei precari, licenziamenti, mobilità e cassa integrazione che riguarderanno nei prossimi mesi centinaia di migliaia di persone) e con l’apertura contestuale di un terreno di conflitto sociale molto esteso nel nostro paese, il dibattito del congresso di Chianciano, così come quello dei congressi delle altre forze della sinistra, appare del tutto superato. Il tracollo finanziario è la manifestazione più evidente del fallimento di una strategia basata sulla precarizzazione dei rapporti di lavoro, sui bassi salari, sulla distruzione dell’ambiente a danno delle condizioni materiali dei lavoratori e delle condizioni di vivibilità del pianeta. Nel giro di pochi mesi tutto è cambiato. Certo, la forza della destra è ancora imponente e la sua capacità di costruire egemonia attorno ad un modello di società escludente ed individualizzata resta grande. La crisi di tutta la sinistra, almeno su scala continentale, è una crisi di lettura dei processi e di proposte da avanzare e, in questo contesto, è acutissima la difficoltà in cui versa il Partito della rifondazione comunista. Occorre un aggiornamento profondo della lettura della crisi e un quadro di proposte che ci mettano all’altezza della crisi che abbiamo di fronte. Eppure, emergono prepotentemente nella società elementi di novità, dotati di un grande potenziale di trasformazione del quadro esistente. Sciopero generale La giornata dello sciopero generale ha registrato un successo, in termini di adesioni e di partecipazione alle manifestazioni, che ha superato le attese della stessa Cgil. Si apre una fase nuova nelle relazioni sociali del paese. la rottura dell’unità sindacale, in particolare di Cisl e Uil, segna una netta discontinuità con la fase precedente, caratterizzata dalle politiche concertative “ad ogni costo”. La Cgil, oltre la sua stessa base militante, recupera una funzione di rappresentanza generale del mondo del lavoro investendo sulla propria autonomia. Sarebbe equivocante giudicare l’attuale situazione alla luce di schematismi “politicisti”: la dimensione dell’autonomia sindacale, l’individuazione di una piattaforma sono i caratteri distintivi della novità intervenuta. Il governo, sollecitato da Confindustria, vuole innalzare il livello dello scontro. Lo fa a partire dalla richiesta di nuovo aumento dell’età pensionabile e di una totale deregolamentazione degli istituti contrattuali. Il governo fa un salto di qualità: si propone come l’attore principale dello scontro sociale, aggredendo tutti gli anelli della catena del valore (dall’attacco al sistema della formazione alla minaccia di ridurre tutto il welfare state, passando per il passaggio decisivo dell’annichilimento del potere contrattuale del mondo del lavoro). Oggi, le forze politiche sono chiamate a svolgere un ruolo attivo in questo contesto. Il Pd ha assunto una “non posizione” assolutamente nociva. Essa è il frutto della “equidistanza” tra lavoro e impresa, ma è assai più grave perché avviene in questo drammatico contesto sociale. Neppure forze interne a quel partito, che pur hanno dichiarato di partecipare allo sciopero generale, sono state in grado di manifestare una dialettica politica che facesse dello sciopero generale un elemento centrale della battaglia politica. L’Italia dei valori, in assoluta coerenza con un orientamento populista di destra, ha ignorato lo sciopero, continuando a pensare che il problema principale del paese fosse denunciare le, pur inqualificabili, iniziative personali del Presidente del Consiglio. Ma non basta neppure pronunciarsi a sostegno delle lotte, come fa attualmente il nostro partito, senza attivare un’iniziativa politica all’altezza. Non si può interloquire da estranei. L’azione attuale del partito, quella di trasformarlo in un’agenzia sociale ad ispirazione mutualistica, può ottenere gli effetti opposti a quelli sperati. Se la vendita del pane poteva avviare una pratica di consumo alternativo, anche se l’innesco di tale processo stenta a manifestarsi, l’iniziativa sui dentisti è in contraddizione con la nostra richiesta di servizi universali nel settore sanitario. E, comunque, nessuna di queste entra in relazione concreta con le rivendicazioni dei lavoratori. Gli altri punti di piattaforma vengono al più enunciati. Se, sul nostro manifesto per la campagna di tesseramento, l’unico “bisogno” che viene evocato è quello di “comunismo”, non è difficile immaginare quale sia l’intenzione dichiarata della nostra organizzazione: perseguire un modello autoreferenziale ed identitario della propria forma politica. Così non è mai stato nella nostra storia. L’onda Analogamente, il movimento generale dei soggetti direttamente coinvolti nella sfera della produzione della conoscenza, dagli studenti agli insegnanti, dai precari ai genitori, un movimento inatteso per proporzioni, originalità e radicalità, ha occupato prepotentemente la scena. Un movimento che, per composizione, linguaggi e pratiche, è fortemente autonomo e non riconducibile a schemi e paradigmi interpretativi abusati. Rifiuta i termini di facile paragone con movimenti precedenti, pone in modo dichiaratamente conflittuale il tema della rappresentanza definendosi irrappresentabile ed esprime, nei confronti delle forme classiche dell’organizzazione politica, una profonda alterità. Naturalmente un conto è non riconoscere la rappresentanza alle forze politiche esistenti, un altro è negare il principio della rappresentanza in sé. In questo senso anche il risultato negativo delle recenti elezioni universitarie della Sapienza conferma l’inadeguatezza delle attuali forme di rappresentanza, più che, come ha voluto dire la destra, la crisi dell’Onda. Sul terreno della rappresentanza la forza del movimento non si traduce in consenso “organizzato”. Per non dire che il numero complessivo dei votanti non raggiunge quello delle più piccole manifestazioni di queste settimane. E’ un movimento implicitamente politico, che tuttavia fatica a riconoscersi negli schemi e nelle forme classiche della politica, o addirittura le rifiuta del tutto. Il carattere conflittuale che il movimento mostra nei confronti della sinistra politica indica un tratto inedito e tutto da indagare, in quanto esso si distingue da precedenti forme di contestazione alle forze politiche della sinistra da parte dei movimenti degli ultimi trent’anni. La mancanza di relazione è soprattutto legata all’incapacità della sinistra, complessivamente, di costruire un discorso, di definire un immaginario, di parlare oltre che di saper ascoltare. Ed è assai pericoloso spostare l’asse della relazione sul versante della propaganda. L’impoverimento delle forme di comunicazione tra sinistra e movimenti spalancano la strada a forme di interlocuzione su vertenze specifiche con chi ha la massa critica per essere comunque riconosciuto come interlocutore istituzionale, come è il caso del Pd, riconosciuto al di là dell’adesione politica al progetto che quel partito esprime. Nello stesso tempo, il movimento di queste settimane è riuscito a spostare, almeno in parte, l’ordine del discorso pubblico. E’ riuscito a costruire senso. A partire da una condizione specifica, il luogo della conoscenza, ha messo in campo elementi di generalizzazione capaci di parlare non solo al mondo largo della formazione, gli studenti come i ricercatori, gli insegnanti come i genitori, ma al paese nel suo insieme. La percezione chiara che in questo ennesimo attacco al sistema della formazione sia in gioco un altro pezzo di futuro, letteralmente scippato alle giovani generazioni, ha un impatto diretto sulla discussione pubblica rispetto alla crisi, sui modelli di sistema, sul ruolo dell’intervento pubblico. Così, quel “noi la crisi non la paghiamo” diviene la cifra generale di una rivolta che insieme è generazionale e potenzialmente di sistema. Qui c’è un punto che parla a noi e alla nostra capacità di costruire connessioni, di entrare in relazione. Non ha senso guardare al movimento cercando di scorgere lì la nostra immagine, dispersa nella sconfitta che abbiamo subito. Non serve chiedere al movimento se sta o se si sente o tanto meno se si riconosce nella sinistra. Dobbiamo chiedere a noi stessi se stiamo, se sappiamo stare col movimento, nel movimento. Ascoltare per cercare di rintracciare le parole che abbiamo perso. Essere parte senza pretese egemoniche. Lo abbiamo imparato a Genova e nel movimento altermondista, il punto non è e non può essere l’egemonia interna al movimento, il problema è l’egemonia del movimento nella società. Mettersi a disposizione delle mobilitazioni anche dal punto di vista materiale immaginando le strutture e le risorse del partito come strumenti fruibili e disponibili. Altro spazio non è dato, qui ed ora. Pena l’essere percepiti come corpo estraneo, inutile, perfino dannoso. E’ dunque in questo quadro che va collocata la discussione sulla costruzione di una efficace opposizione al governo delle destre. In questo senso però, la proposta di costituire un coordinamento delle forze politiche della sinistra appare insufficiente e inadeguata. L’opposizione si definisce innanzitutto sulla base di un programma, di una piattaforma attorno alla quale determinare un’accumulazione di forze, una piattaforma che metta insieme le rivendicazioni del sindacato e l’insieme delle proposte definite dal movimento nel corso dell’assemblea nazionale del 15 e 16 novembre alla Sapienza. Una piattaforma che ponga come discriminante fondamentale la partecipazione e il pieno sostegno allo sciopero generale su cui, per altro, si è già registrata la positiva convergenza del movimento e del sindacalismo extraconfederale. Una proposta di questa natura deve avere l’ambizione di unire tutte le forze possibili, ovviamente sulla base dell’accettazione delle discriminanti programmatiche. Punti per una piattaforma Ma questa proposta va fatta vivere nei territori attraverso un’iniziativa capillare. In queste settimane si sono moltiplicate esperienze di partecipazione dal basso, che stanno ridando fiato alla sinistra nel paese. In molte realtà le forze della sinistra politica, settori importanti del mondo associativo e sindacale e persone di sinistra tornano a farsi sentire. E’ su questo terreno che va fatto un investimento, lavorando affinché queste energie diventino un moltiplicatore nella costruzione dell’opposizione, a partire dal territorio e dalle specificità che li si determinano. La gravità della situazione richiede una serie di misure forti, a partire dalla difesa del contratto nazionale di lavoro e dei diritti della rappresentanza sociale: - la difesa della scuola pubblica e il suo potenziamento, accogliendo il decisivo contributo di dee e proposte emerse dall’attuale movimento, ivi compresa la proposta di istituire un salario sociale che sostituisca le forme parcellizzate ed inique dell’attuale welfare legato alla formazione. - la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, attraverso un blocco dei licenziamenti e la radicale modifica della legge 30 e la cancellazione degli ulteriori peggioramenti inseriti dal governo Berlusconi - ricostruire una politica di intervento pubblico, a partire dal Mezzogiorno. Il governo nazionale ha tagliato i fondi Fas per le aree meno sviluppate e ha concentrato tutto il suo intervento su un programma di infrastrutture costoso ed inutile (a partire dal ponte sullo stretto di Messina). È necessario rilanciare una politica di intervento pubblico che guardi ad un nuovo modello di sviluppo (dagli investimenti sulla conoscenza, a quelli per le energie rinnovabili e per la difesa del territorio). - È necessario contrastare la visione egoistica e dissolutrice della coesione sociale nazionale contenuta nella proposta governativa di “federalismo fiscale”. A partire dal riequilibrio degli interventi economici, colpendo effettivamente le azioni di malgoverno che pure sono così tenacemente diffuse nella pubblica amministrazione, si tratta di investire su un vero processo di autonomia delle realtà locali. Per questo chiediamo che vengano riattribuite le risorse economiche proprio ai primi vettori di questa autonomia, gli enti locali. - l’immediata sospensione degli effetti della legge Bossi-Fini in materia di decadenza del diritto di soggiorno e avviare una politica di accoglienza ed inclusione per i migranti, costretti dall’attuale sistema alla clandestinità - l’incremento delle retribuzioni che, per quanto è di competenza del governo, significa una decisa riforma sul prelievo fiscale che ne sposti il peso dalle retribuzioni del lavoro dipendente alle rendite finanziarie, nonché tutte le misure anche parziali che vanno in questa direzione (come ad esempio la detassazione delle tredicesime o simili) - il sostegno alle lotte rivendicative sindacali che si pongano l’obiettivo di un incremento del salario reale indipendentemente dagli aumenti di produttività - la promozione di una politica di intervento pubblico nell’economia che non si limiti al settore bancario ma soprattutto sia indirizzata alla creazione di nuovi settori innovativi come nel campo, ad esempio, delle energie rinnovabili; conseguentemente vanno combattuti le modifiche regressive delle innovazioni introdotte da Prodi, pur insufficienti, come quella sugli sgravi per i risparmi energetici in edilizia - denunciare l’attuale politica di ulteriore indebolimento del pubblico nei più diversi settori, dalla disastrosa vicenda Alitalia alla privatizzazione delle risorse idriche - la promozione a livello internazionale di tutte le iniziative, dalla riforma radicale della Bce alla costruzione di una conferenza mondiale sull’ordine finanziario e monetario, che siano basate su principi di pace e di relazioni paritarie tra i paesi - L’adesione a tutte le mobilitazioni che contrastino le politiche regressive proposte a livello europeo sul terreno sociale, a partire dalla piena partecipazione alla manifestazione europea dei sindacati, convocata il 16 dicembre a Bruxelles, contro l’innalzamento a 65 ore settimanali dell’orario di lavoro. Vanno inoltre avanzate vere e proprie campagne di mobilitazione per l’affermazione dei diritti civili e di cittadinanza piena. È inquietante che vengano riproposte nella sfera della politica istituzionale le posizioni oscurantiste dell’attuale gerarchia vaticana in materia di orientamento sessuale, di libertà delle donne, di diritti sulle persone (come testimoniano le vicende sull’eutanasia e sul testamento biologico). L’affermazione di uno Stato laico è tutt’uno con la battaglia per la libertà e l’eguaglianza che intendiamo proporre. La sinistra in Europa e la Sinistra europea In tutta Europa è aperto il dibattito sul futuro della sinistra. Rifondazione comunista, anche contro chi questa scelta non l’aveva sostenuta, ha prodotto per tempo un passo decisivo: la costituzione e la promozione del Partito della sinistra europea. Sul piano continentale, quindi, la nostra presenza in questo campo ci consente di intervenire in questo dibattito con l’ambizione di una proposta non identitaria, non nazionalista, ma programmatica e di sviluppo delle lotte sociali, a partire dalla contestazione delle logiche rigoriste che hanno segnato, in particolare, gli anni che hanno seguito i trattati di Maastricht fino al dibattito sulla Costituzione europea ed il Trattato di Lisbona. Il prossimo appuntamento delle elezioni europee è, per noi, il momento in cui dare piena attuazione alle nostre scelte, con la piena adesione alla piattaforma politica presentata proprio dalla Se. Tale progetto, anche nelle sue articolazioni nazionali, si pone il problema di riaprire il dibattito a tutto campo, sia verso le forze che militano nel campo socialista che dentro il nostro campo, quello della sinistra alternativa. L’esperienza della Linke, il dibattito apertosi in Francia, la stessa esperienza della sinistra greca, in alternativa al Kke, sono esempi di come la questione da noi aperta sulla ricostruzione della sinistra in Italia, non sia assolutamente un caso isolato nel contesto europeo. Per questi motivi intendiamo aprire un confronto, dentro e fuori il Prc, per valutare quali siano le forme più efficaci di presentazione della sinistra, quando è opposizione nella società e quando si misura nelle competizioni elettorali. Continuiamo a credere che questa ricerca vada fatta insieme e debba essere costruttiva, anche perché, all’orizzonte, i rischi della frammentazione sono evidenti e pesanti. Dare continuità alla proposta di coordinamento delle opposizioni di sinistra, a partire da una ricerca più attiva di interlocuzioni politiche, è in sé connesso con la proposta programmatica ed elettorale che ciò sottende, ovvero la proposta chiara di una lista unitaria delle sinistre. Proposta nella quale convivano limpidamente diversi progetti politici, ma che offra all’elettorato un programma minimo comune con il quale presentarsi all’appuntamento elettorale. La richiesta di un ampio coinvolgimento in questa discussione, anche di forze esterne al Prc, che siano organizzate in partiti o che si trovino impegnate nella società, può riattivare un più largo consenso a pratiche inclusive intorno alle proposte della sinistra nel suo insieme, di cui anche il nostro partito deve necessariamente farsi carico.

Respinto con 87 voti a favore

chiudi - stampa