Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 14 - 15 gennaio 2012

Interventi

Veronica Albertini

Vorrei soffermarmi sulla percezione diffusa rispetto a Monti e al suo operato. Credo ci si stato un elemento di sottovalutazione, di scarsa comprensione da parte della gente. In particolare, la mancata comprensione del fatto che la figura del professor Monti si è caratterizzata in questi ultimi anni proprio per il suo totale accordo con le scelte che hanno caratterizzato la stagione neoliberista. I primi provvedimenti annunciati vanno esattamente in questa direzione:
- attacco alle pensioni attraverso l'estensione del sistema contributivo, l'eliminazione dei 40 anni di anzianità e il blocco degli aumenti legati all'aumento dell'inflazione;
- reintroduzione dell'ici sulla prima casa;
- privatizzazione dei servizi pubblici locali in aperto contrasto con il risultato referendario;
- sostegno alla politica di attacco ai diritti del lavoro voluta da Marchionne e già avviata da Berlusconi.
Sono le ricette messe in pratica in tutti questi anni che hanno prodotto la crisi, provocando un enorme trasferimento di ricchezza dal lavoro alla rendita e al profitto. E' infatti enormemente aumentata la forbice tra i pochi che detengono tanto e i tanti che detengono sempre meno.
In questo quadro si aprono scenari nuovi per il nostro partito. Si riapre lo spazio per costruire una opposizione di sinistra. Dobbiamo proporre con nettezza a tutte le forze politiche e sociali della sinistra di costruire insieme l’opposizione al governo Monti, su poche ma qualificanti e praticabili proposte alternative.
Qui torno alla percezione nel senso comune. Dopo anni di berlusconismo, con tutti i suoi eccessi, non è difficile comprendere le ragioni delle tante aspettative nei confronti dell’operato del governo Monti. Uscito di scena Berlusconi, si è disperatamente tentato di individuare un nuovo “salvatore della patria”, stavolta retto e risoluto, che potesse davvero mettere in salvo il Paese.
Parlando con la gente, quella meno politicizzata, quante volte ci siamo sentiti dire che i provvedimenti del governo, seppur iniqui, sono assolutamente necessari? Quante volte ci siamo sentiti rispondere: “non c’era alternativa”?
Ecco, io penso che è proprio questo il messaggio che dobbiamo comunicare: che l’alternativa c’è! Eccome!
E dobbiamo dirlo continuamente: che si poteva fare diversamente, che le direttive dell’Unione Europea non sono tavole di Mosè! Che si poteva fare una patrimoniale seria, si potevano tagliare le spese militari, si potevano tassare i capitali nascosti all’estero. E si può e si dovrebbe ancora: è proprio questo il senso della campagna contro la manovra che ha prodotto il nostro partito.
Credo fermamente che oggi più che mai sia necessaria una riflessione sul come si comunica alla gente, su come si possa modificare la percezione del senso comune. Quali strumenti, quale linguaggio utilizzare.
Si è da poco concluso il nostro Congresso, il cui slogan era “Connettiamoci”. Uno slogan che ci parla della necessità di investire sull’intreccio tra le esperienze di lotta, del bisogno di allacciare uno stretto legame, di fiducia, coerentemente con le nostre posizioni, con la gente che vogliamo rappresentare. Ma credo che “connettiamoci” introduca un altro elemento da valorizzare. Il nostro stare nei processi attuali, il vivere il presente senza rinunciare ai nostri valori, ma sapendoli adattare al presente, attribuendo ad essi una lettura attuale, in linea con le innovazioni prodottesi nella società.
Mi riferisco soprattutto allo straordinario elemento di innovazione prodotto dall’avvento della Rete e di tutto ciò che ne deriva: social network, social media, forum di discussione, blog. Le moderne piazze, luoghi di discussioni che tentano di rendere la politica più partecipata, che hanno reso le forme della politica più orizzontali, che sono riuscite a creare forme di condivisione dei saperi superando gli ostacoli dell’accessibilità.
La politica non può e non deve sottovalutare la portata di questa vera e propria rivoluzione sociale nata dell’utilizzo di internet. Internet non come realtà virtuale ma come realtà nella quale potersi ricavare un importante spazio politico.
In questo il nostro partito necessita di un importante salto di qualità, deve investire maggiormente sulla presenza nei social network, strumenti utilissimi, molto diffusi e alla portata di tutti, capaci di raggiungere con i propri messaggi anche chi non appartiene alla cerchia delle persone a noi vicine.
Noi questo spazio politico non dobbiamo lasciarlo ad altri. Dobbiamo ovviamente continuare la nostra attività nei quartieri, nelle piazze, in mezzo alla gente, ma non dobbiamo tralasciare questo importante strumento che si affianca a tutto il resto. E tentare di adeguare, in un’era dove la comunicazione è molto più diretta e ridotta ad una semplicità disarmante, anche il nostro linguaggio. Non certo per rimuovere dal nostro vocabolario le terminologie derivate dalla nostra storia, ma perché risultare più comprensibili e meno “sconnessi” dalla realtà di chi vogliamo rappresentare, forse ci aiuterebbe a “connetterci” di più, specialmente alle nuove generazioni

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Imma Barbarossa

Ci sono immagini che fanno la storia: una di queste è l’espulsione della Fiom dalla saletta sindacale di Mirafiori con i rappresentanti sindacali che portavano via i loro ‘arredi’,un quadro di una grande assemblea con Bruno trentin,e i ritratti di Enrico Berlinguer e Antonio Gramsci. Che altro deve succedere per suscitare l’indignazione di quello che resta della sinistra?
Per Liberazione: penso che senza il giornale cartaceo siamo più poveri politicamente. Io apprezzo molto il taglio e la linea del giornale; penso però che il rapporto con i/le giornalisti/e debba essere improntato al rispetto dell’autonomia dei giornalisti e a una relazione dialettica ma di reciproca ‘fiducia’.
Sulla crisi: occorre a mio avviso sciogliere le riserve sulla partecipazione e costruzione dei comitati No Debito. Sul referendum elettorale,esprimo la mia soddisfazione per la bocciatura dei referendum,che dimostra che avevamo ragione anche se eravamo in minoranza e ci sentivamo un po’ imbarazzati per l’isolamento.
Occorre ora attuare i deliberati congressuali,per la costruzione della sinistra di alternativa e la riforma del partito,dalla lotta al correntismo alla revisione delle forme e della linea della FdS.

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Claudio Bellotti

I grandi cambiamenti nella coscienza di massa sono un fatto raro ma indubbiamente siamo entrati in una fase di brusche svolte. Ancora ieri mattina tutto sembrava volgere al meglio: lo spread diminuisce, la Borsa risale, le aste dei titolo pubblici vanno bene. Tempo 12 ore e la prospettiva diventa nuovamente oscura, col declassamento dei debiti pubblici di otto paesi dell’Eurozona. In Grecia si sono rotti i negoziati con i creditori privati, che partivano da una proposta di riduzioene del 50 per cento del valore nominale dei titoli in loro possesso. Per l’Italia il declassamento comporta che una gli investitori istituzionali (fondi pensione, fondi di investimento, ecc.) non possono più sottoscrivere le aste, anche se probabilmente si cambieranno questi criteri come peraltro è già stato fatto negli Usa quando lo stesso debito pubblico è stato declassato la scorsa estate. Per la zona euro inoltre si presenterà un rischio di cambio che metterà ulteriore pressione sui tassi d’interesse. Anche il cosiddetto fondo salva stati (Efsf) non sfuggirà al declassamento che ha colpito gli stati che ne sono sottoscrittori; questo non cambierà neppure quando il fondo diventerà una entità autonoma, che sia in forma di banca o altro.
È un fenomeno internazionale, anche se nell’Eurozona si concentrano le contraddizioni più acute non credo che queste possano lasciare indenni altre aree del mondo. Anche l’idea che la Germania si salvi grazie alla forza del suo export è tutta da dimostrare, poiché con l’austerità stanno affossando gli altri paesi europei che sono anche parte importante dei loro sbocchi di mercato. Quel tanto di ripresa ciclica che si era manifestato nel 2010 si sta spegnendo.
Da un punto di vista capitalistico, la crisi dovrebbe “fare pulizia” permettendo poi la ripartenza del sistema, tuttavia sia per la portata della crisi, sia per le politiche di salvataggio del sistema finanziario messe in atto a partire dal 2008 (a spese delle finanze pubbliche) questo non è avvenuto, il sistema è ancora rigonfio di capitale in eccesso, di capitale fittizio, di titoli dal valore incerto, precisamente a causa di questi interventi massicci. Peraltro dobbiamo essere coscienti che se la crisi mina le strutture, anche istituzionali, che reggono il sistema dell’Euro questo significa che viene meno anche uno degli elementi di resistenza delle classi dominanti, che ha contribuito fin qui ad applicare come un rullo compressore le politiche di austerità. È significativo che cali anche il consenso in generale verso le politiche europee, come conseguenza di queste misure.
Per questo ritengo peregrina la domanda posta dal compagno Steri, che cerca disperatamente qualche economista keynesiano: a me pare che ce ne siano fin troppi in circolazione, il problema è che quasi tutti affollano i gruppi dirigenti della sinistra e dei sindacati, il che vale a dire che questi gruppi dirigenti vivono nel passato!
Il conservatorismo, l’aggrapparsi alla speranza di tornare a condizioni precedenti che non esistono più, indubbiamente è un fenomeno che attraversa la coscienza di massa, ma si concentra precisamente nelle burocrazie, nei gruppi dirigenti spiazzati dagli avvenimenti.
Mi collego qui a un punto importante sollevato nella relazione del compagno Ferrero, ossia la questione dell’“accumulo di forze” da parte del movimento. Credo che tutti concordiamo che questo non può darsi nella forma di conquiste graduali sotto forma di conquiste legislative, normative, ecc. come era stato in epoche passate. Ma anche l’accumulo di forza nelle organizzazioni, in particolare quelle sindacali, è precluso nella misura in cui la stessa concertazione viene messa da parte.
Con gli accordi del 1993 gli apparati sindacali garantirono la loro forza dissociandola però dalle condizioni materiali dei lavoratori, che infatti hanno subito arretramenti quasi costanti. Oggi anche quello schema salta e le rendite di organizzazione sono messe in discussione. Tutto questo deve farci porre particolare attenzione a quelle lotte oggi in campo, anche se non sono lotte generalizzate dobbiamo analizzarle con la lente di ingrandimento per capire i punti più dinamici.
Non è un caso che la forma di organizzazione più diffusa sia quella del presidio a oltranza: non solo perché quasi tutte queste lotte hanno la necessità di bloccare le aziende a rischio di licenziamenti o chiusura, ma anche perché questa forma viene considerata l’unica controllabile, che i lavoratori possono sottoporre al controllo costante e diretto. Tutto il resto è distante e non suscita fiducia. Questo non significa che spariscono le organizzazioni, che sparisce la Fiom o la Cgil o i sindacati di base, ma c’è un distacco evidente.
Portare solidarietà è sicuramente utile, tuttavia il problema per noi è se siamo in grado di interloquire seriamente coi quadri che reggono sulle spalle quelle battaglie, se siamo in grado di farne crescere di nuovi, a partire dai nostri compagni. Chi si avvicina a quelle situazioni sa che la prima richiesta è di chiarezza, di assunzione di responsabilità, di contribuire a esercitare un ruolo autenticamente dirigente. Tutto questo non si improvvisa, ma è il compito prioritario per noi. Solo per questa via un partito in difficoltà può darsi una prospettiva: legandosi indissolubilmente ai settori più avanzati della classe.

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Salvatore Bonadonna

La panoramica descritta nella relazione del compagno Ferrero, largamente condivisibile, manca di un asse analitico capace di produrre non solo la necessaria opposizione ma anche la costruzione di una alternativa.
Ad una crisi di sistema, come ormai viene definita la crisi anche dalle forze che l’hanno sostanzialmente prodotta, e oggi cercano di governarla, occorre sapere contrapporre una alternativa di sistema, una strategia capace di unificare le forze e i movimenti che pagano i prezzi più acuti, lungo la strada che porti a costruire l’alternativa di società. Sulla opposizione al governo Monti non c’è discussione; per certi versi questo, però, ha finito per prosciugare la ricerca ed il confronto sulle strategie da mettere in campo.
Credo sia indispensabile cercare di capire i processi che si sviluppano in Europa, le politiche che la Germania ha messo in campo per fronteggiare la concorrenza e la pressione che viene dagli USA e dalle multinazionali della finanza angloamericane. Il quadro politico mondiale è sconvolto sul piano economico e su quello politico se guardiamo anche a quanto si agita e si è prodotto nel Medio Oriente e nell’Africa; cambia la fisionomia e la natura del sistema con cui gli USA hanno controllato e governato gli equilibri del potere nel mondo. Siamo dentro un processo di ristrutturazione capitalistica a livello mondiale; e c’è dentro la Cina, l’India, l’America Latina, il Giappone e i Paesi Asiatici. Negli USA, ancora una volta, alla faccia delle predicazioni liberiste rivolte al resto del mondo, il governo è intervenuto prima a salvare le banche, poi a salvare i grandi gruppi industriali e a scaricare il costo sul resto delle economie mondiali. Non è certo la politica del New Deal degli anni ’30 che era a favore del lavoro, dei sindacati, del controllo statale sulle banche, delle grandi opere di bonifica delle vallate e dello sviluppo dell’agricoltura; per certi versi è il suo contrario. Oggi l’economia americana, grazie a questo intervento dello Stato, è in ripresa con salari di fame e profitti in crescita e il capitale finanziario è concentrato nelle banche d’affari e nei fondi d’investimento degli Stati Uniti; con questi strumenti governano e impongono le politiche nel mondo.
La Germania, nello sforzo di non soccombere a questa offensiva, sta scaricando i costi della difesa del suo apparato produttivo e del suo sistema finanziario sui paesi più deboli dell’Europa utilizzando la moneta, l’Euro, come arma formidabile di colonizzazione e di dominio; ha recuperato verso la Cina le quote di mercato perse in Europa e lavora a costruire un nuovo sistema pangermanico nel quale sia la politica che le economie siano collegati ai propri interessi. Dal Belgio all’Olanda, dalla Finlandia alla Polonia e alla Ungheria, il sistema tedesco cerca di organizzare un’area economica e di potere forte e centralizzato anche avvalendosi delle derive reazionarie, razziste, neonaziste che si manifestano e che trovano sistemazione anche nelle Costituzioni che i governi, quello Ungherese in primo luogo, stanno approvando. La democrazia e il sistema di Stato Sociale, affermatisi dopo la guerra con la sconfitta del nazismo, non sono più considerati valori fondanti dell’Europa dei mercati; mai come adesso prende significato l’affermazione della Tatcher secondo la quale “la società non esiste”. La linea della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio costituisce la sanzione forte del primato e del dominio del mercato. E ricordiamoci che dalla Grande Crisi degli anni ’30 gli Usa ne uscirono con il New Deal, l’Europa con il Terzo Reich! C’è sempre presente ed immanente l’opzione dell’uscita autoritaria e fascista, nelle forme nuove, dalla crisi del capitale. E, in Italia, la lezione crociana del fascismo come fenomeno passeggero continua ad essere presente e ad operare anche perché Gramsci non è più autore di riferimento della sinistra cooptata nel recinto dei governanti della crisi.
Per questo non sono sufficienti la dichiarazione di opposizione al governo Monti e le prese di distanza dalle posizioni che il PD e altre forze della sinistra, come SEL, assumono rispetto al governo. C’è un lavoro politico di ricostruzione della cultura critica che va sviluppato nel profondo della società; per questo non basta dire che noi siamo “nelle” lotte e “con” le lotte dei movimenti. La crisi della politica, che si accompagna alla crisi della democrazia e alla sua sostituzione con governi “tecnici”, in Italia come in Grecia, richiede una forte battaglia politica che non si esaurisce nella pur necessaria e utile maggiore presenza in qualche trasmissione televisiva. Rifondazione Comunista e la Federazione della Sinistra, se vogliono avere un ruolo che non sia solo quello della testimonianza, debbono essere capaci di aprire un fronte di battaglia politica e culturale verso quelle masse che, anche nel PD e nei sindacati, hanno visto nel governo Monti la fine di Berlusconi e del berlusconismo e, ancora oggi, confidano in una seconda fase nella quale dovrebbe realizzarsi lo sviluppo, la decantata crescita, l’uscita dall’incubo della crisi non vedendo che le politiche del governo l’acuiscono e l’accelerano. Il fatto che tutte le forze che sostengono Monti si affannino a spingere verso processi di cosiddetta liberalizzazione nasconde la verità del progetto di privatizzazione dei grandi servizi pubblici che rappresentano le fonti di profitto e di rendita assicurate dalla possibilità di spremere i lavoratori e i consumatori insieme. È evidente che dietro la liberalizzazione dei taxi c’è il disegno di mettere in campo grandi compagnie con flotte di auto pilotate da manodopera precaria a prezzi stracciati, come negli USA; ed è grave che le cooperative si prestino a questo mercato speculativo come in quello dei farmaci o dei carburanti. Solo la demagogia populista contro tutto ciò che è pubblico spinge verso la privatizzazione e non verso la socializzazione e il controllo democratico, come dovrebbe essere per ciò che intendiamo per “beni comuni” o servizi indispensabili di pubblica utilità. Come non vedere che riparte, ancora con il sostegno della Banca d’Italia, l’attacco della finanza speculativa al sistema delle Banche Popolari cooperative che rappresentano oltre un quarto del risparmio italiano e sono le uniche che continuano ad aumentare la raccolta del risparmio e a sostenere le imprese che ancora reggono nelle economie locali. Insieme ad Enel, Eni e Finmeccanica, costituiscono l’obiettivo della finanza predatoria.
Insomma, non possiamo continuare come se nulla fosse accaduto con la elezione del governo Monti e che le dinamiche politiche siano e rimarranno quelle che stavamo discutendo prima del Congresso.
In questa crisi di sistema si scompongono le forze politiche e il loro rapporto con le forze sociali di riferimento, saranno messe in crisi le opzioni consolidate in venti anni di concertazione sindacale. La cancellazione del contratto dei metalmeccanici e la estromissione della FIOM dagli stabilimenti Fiat, la ristrutturazione delle telecomunicazioni, dei trasporti, delle poste e di altri importanti settori, fino alla minacciata cessazione della Fincantieri, propongono la urgenza di assumere iniziative politiche insieme dirompenti ed unitarie; si ripropone con forza la necessità di elaborare una strategia di unità e di alleanze sociali.
In questa prospettiva occorre avere la consapevolezza che non serve un Partito che continua ad essere chiuso e autoreferenziale; non conta nulla e non incide nella realtà sociale la dinamica asfittica dei rapporti e delle mediazioni tra gruppi dirigenti nella Federazione della Sinistra. La crisi della politica, alimentata anche da una interessata e martellante campagna di antipolitica, è una realtà che non tocca solo gli altri: noi non ne siamo immuni per il fatto di non essere in Parlamento. Perché la crisi della politica è propriamente data dalla separazione, dalla distanza ormai quasi irrecuperabile, tra le forme tradizionali delle sue organizzazioni e la società. Per questo la politica non intercetta i movimenti che si agitano nella società e cercano di vivere e crescere proprio sulla negazione del loro rapporto con i partiti!
È un bene tutto questo? Certo che no se i movimenti non sono in grado di costituire il soggetto politico unificante e vivono sulle fondamentali specificità su cui sono nati. Ma questo non esime i partiti, e noi stessi, dall’interrogarci sul nostro modo di essere. E io penso che il nostro modo di essere non è adeguato.
Ci si chiude nell’autoreferenzialità e in gruppi dirigenti selezionati per fedeltà e scelti per cooptazione mentre servirebbe un confronto politico in campo aperto; si parla di unità della sinistra e si seleziona solo per criteri di omologazione. Dovremmo essere la forza che con più coraggio e coerenza apre la strada di una costituente della sinistra contro il sistema capitalista e per la costruzione di una moderna società socialista fondata sulla cooperazione e l’autogestione e, invece, continuiamo a discutere e litigare sull’unità dei comunisti, i dosaggi nei rapporti federativi con le altre forze, un fantomatico rilancio della Federazione della Sinistra e altre amenità che lasciano assolutamente indifferenti gli operai, i disoccupati, i precari, i giovani, le donne e, ormai, penso, persino i pensionati che pure hanno memoria delle lotte e delle battaglie con le quali abbiamo conquistato i diritti sociali e del lavoro che adesso costituiscono l’obiettivo dell’attacco dei signori dei mercati. Dovremmo essere una forza che con più coraggio e coerenza riapre il confronto con le altre forze, anch’esse travagliate e stravolte, della sinistra europea; nel passato recente, con una strategia lungimirante, siamo stati promotori e protagonisti. Nella crisi delle socialdemocrazie e nella dispersione delle forze di sinistra, socialiste e comuniste, dovremmo cercare di promuovere un confronto e una prospettiva per ridare significato e valore ad un internazionalismo quanto mai attuale e necessario nella fase del capitalismo globalizzato e in crisi e, invece, rischiamo di subire e pagare il paradosso di un capitalismo reale che riesce a trasformare il suo fallimento in una nuova vittoria. E in Europa non c’è solo la deriva neofascista ungherese, ma incombe un pericolosissimo successo della destra razzista e fascista francese; per non parlare delle possibili derive della crisi della Lega. Non basta, dunque, esprimere recriminazioni per le colpe della sinistra moderata e reciproche solidarietà tra bastonati!
Però usciremo da questo CPN come siamo usciti dal recente Congresso: soddisfatti della rinnovata unità di una larga maggioranza e canonizzati nelle mozioni e nelle aree con le quali nel Congresso ci siamo entrati.

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Alberto Burgio

Care compagne e cari compagni,
sono certo che tra noi sia unanime la consapevolezza dell’estrema gravità della situazione sociale causata dalla crisi. Alcuni segnali, che possiamo considerare emblematici, sono stati ricordati in questa nostra discussione. Ne richiamo due per tutti: la cacciata della Fiom dalle fabbriche, che non esito a definire sintomo di una regressione proto fascista, che rischia di azzerare sessant’anni di conquiste delle lotte del lavoro; e la drammatica sequenza di suicidi di lavoratori espulsi dal mondo del lavoro e di piccoli imprenditori (spesso in realtà nient’altro che lavoratori dipendenti costretti a mettersi in proprio), strozzati dalla stretta del credito e dal ridursi del mercato.
La gravità di questa situazione non ci deve sorprendere. La crisi morde in tutto il mondo (soprattutto nel mondo capitalistico), è un fenomeno generale. Ma in Italia è tanto più pesante perché colpisce un terreno devastato dalle scorrerie di una borghesia compradora, dedita all’esportazione (delocalizzazioni e speculazioni finanziarie), all’evasione fiscale e all’estorsione del profitto tutta a spese del lavoro e non attraverso la conquista di quote di mercato nella sfida sulla qualità dei prodotti.
Per queste ragioni condiviso un’osservazione fatta in precedenza dal compagno Bonadonna e ripresa da qualche altro compagno. È parso anche a me che la relazione del segretario (che ho largamento condiviso, salvo un aspetto su cui mi soffermerò più avanti) nella parte analitica abbia omesso una questione decisiva. Quali rischiano di essere le conseguenze politiche dei contraccolpi sociali della crisi? A me pare di cogliere con nettezza i sintomi allarmanti di una possibile deriva populista. Ne esistono tutti gli ingredienti, e del resto guardiamo a cosa sta accadendo fuori di casa nostra: penso all’Ungheria, penso soprattutto alla Francia, dove la leader del Front National, Marine Le Pen, raccoglie oltre il 26% delle intenzioni di voto dei francesi in vista delle prossime presidenziali. Noi non stiamo affatto meglio, né sul piano politico (la Lega Nord in versione di lotta è più che mai aggressiva, e la rete delle associazioni, dei gruppi e delle squadracce neonaziste è sempre più estesa e ramificata, anche se ci se ne rammenta solo quando avvengono fatti tragici come la strage di Firenze), né sul piano sociale. Quest’ultimo aspetto dev’essere chiarito. Non mi stupirei affatto se – dato il generale disorientamento politico di massa – emergesse una diffusa invocazione di una guida forte, di un salvatore della patria: quando si è perso tutto, come sta accadendo a tanta gente che resta senza reddito e senza speranze per sé e per la propria famiglia, la partecipazione e la democrazia sembrano inutili lussi. E non mi stupirei se l’indicazione di colpevoli o nemici interni servisse a convogliare risentimenti diffusi nel sostegno a una svolta autoritaria. Dovremmo domandarci che cosa succederebbe in questo Paese se qualcuno dovesse prendere l’iniziativa di fare uso delle armi – e dico questo consapevole di che cosa sono stati capaci di fare i servizi italiani nelle diverse edizioni della strategia della tensione.
Ieri il compagno Ferrero ha fatto bene a mettere l’accento sulla questione dell’efficacia della nostra iniziativa politica, che segue una linea corretta, ma difetta sul versante dei risultati concreti. Ma le considerazioni sui rischi di una deriva populista e autoritaria riguardano anche il tema dell’efficacia, nel senso che indirizzano la ricerca di una maggiore produttività della nostra azione lungo una strada obbligata. Se è vero che il pericolo di una svolta autoritaria è concreto, allora è sempre più urgente e necessario moltiplicare gli sforzi per costruire la più vasta unità della sinistra politica sociale, perché il disagio dilagante nella società trovi un riferimento, trovi interlocutori credibili, interpreti efficaci, una rappresentanza che non sia quella delle forze che mirano a precipitare il Paese verso nuove tragiche avventure!
A proposito dell’unità a sinistra sono consapevole che il partito è impegnato a dare sviluppo alla linea che si è dato al Congresso di Napoli. Nondimeno penso che dobbiamo fare di più, che gli sforzi vadano incrementati, che dobbiamo sfruttare ogni occasione, a 360 gradi, su ogni terreno di lotta, sociale e politica, al centro e nei territori – come da ultimo osservava con ragione il compagno Pegolo. E vengo qui alla perplessità cui facevo riferimento poc’anzi. Ieri il segretario ha definito l’Idv il «nostro interlocutore principale». Non so se intendesse dire qualcosa di diverso da quello che questa espressione a me pare significare, ma, insomma, io non mi riconosco in questa indicazione: capisco l’importanza dell’esperienza napoletana e capisco anche la rilevanza di quanto sta avvenendo a Palermo; ma intanto l’Idv a Palermo è cosa ben diversa da quella di Napoli, e poi non vorrei dimenticassimo il divario che ci separa dall’Idv sul terreno della cultura politica e delle opzioni strategiche. L’Idv è liberista, bipolare (e il bipolarismo è, sul piano istituzionale, il nostro nemico mortale) e non di rado alquanto forcaiola.
Se stiamo al piano politico, per noi e per la Fds l’«interlocutore principale», per usare le parole del compagno Ferrero, non può che essere Sel. E a questo riguardo vorrei dire a quei compagni che con buone ragioni criticano il compagno Vendola (la cui svolta a sinistra credo vada comunque salutata come un fatto positivo, che riapre la prospettiva di una convergenza tra le diverse voci della sinistra di alternativa), che il modo migliore per costringerlo a compiere scelte giuste, nel segno di una reale autonomia dal centrosinistra e dal nuovo Ulivo è incalzarlo, cercare il confronto unitario, intervenire nel dibattito interno a Sel, mostrare alle compagne e ai compagni di quella forza politica che li consideriamo davvero dei nostri compagni di strada. Senza contare che le grandi manovre centriste, che tendono a spostare il Pd nell’orbita del Terzo Polo, ci aiutano in questo lavoro di rilancio dell’iniziativa unitaria della sinistra.
Chiudo telegraficamente su un’ultima questione: ultima ma non per questo marginale. Credo anche io, come il segretario, che la nostra accresciuta visibilità confermi la giustezza della nostra linea politica, e naturalmente condivido la valutazione dell’importanza di questo dato, che dobbiamo sfruttare al meglio per invertire la tendenza innescatasi dal 2008. Ma voglio dire con chiarezza al riguardo che la visibilità del partito non può riguardare solo una persona, che la personalizzazione della politica non dovrebbe far parte della nostra pratica politica come non fa parte della nostra cultura politica. Ricordiamo tutti – credo senza grande nostalgia – gli anni nei quali Rifondazione comunista aveva solo il volto di Fausto Bertinotti, il che trasmetteva al Paese l’impressione che dietro Bertinotti vi fosse il deserto. Si è trattato di una scelta miope e controproducente, perché un partito cresce nella credibilità e nell’autorevolezza se dimostra di avere un gruppo dirigente ampio e preparato. Di questa nuova visibilità credo debba fruire tutto il gruppo dirigente nazionale, a cominciare dalla Segreteria nazionale, perché noi ci siamo sempre concepiti come un soggetto collettivo e come tale sarebbe giusto che ci presentassimo alla nostra gente.

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Francesco D'Agresta

In primis voglio spendere due parole rispetto alla questione pagare o non pagare il debito che può essere relativamente semplice: noi non possiamo assumere come parola d’ordine “non pagare il debito” perché in tal caso si riconoscerebbe che l’alternativa sta tra pagarlo o non pagarlo, per noi l’alternativa dev’essere di politica economica e quindi tra chi deve pagarlo ovvero chi l’ha generato. Senza parlare delle conseguenze economiche che un default avrebbe per le classi più povere.
Per rimanere all’economia oggi le agenzie di rating, in un generale attacco all’Europa, hanno retrocesso l’Italia di due gradini fino a BBB+. Questo lo dico non perché sia anch’io vittima della febbre da spread e consimili, ma rilevare che questa retrocessione sarà un ulteriore alibi per il governo Monti per procedere nei suoi progetti scellerati. Progetti già nascosti, ma neanche tanto, dietro parole d’ordine come “crescita” e “liberalizzazioni” che poi si concretizzano per esempio nella privatizzazione dei trasporti pubblici locali o nella privatizzazione delle linee ferroviarie, privatizzazione ad ora tentata solo in Inghilterra e subito ritirata dalla destra .
Un’altra parola magica di questo governo è “migliorare la competitività” che poi vuol dire modificare l’art.18. Ma l’art.18 non rappresenta solo una deregolamentazione delle tutele dei lavoratori, ma diviene un vero e proprio strumento di lotta di classe nel momento in cui, innalzando a 50 il numero di lavoratori sotto il quale si va in deroga, si impedisce di fatto di fare sindacato, tant’è che anche la CISL se ne rende conto e si oppone.
A questo si aggiunge un attacco a livello europeo ai beni comuni che ci conferma che l’accumulazione primaria del capitale è e rimane un furto e questo lo dobbiamo dire chiaramente.
Parlavo degli alibi del governo Monti, qualora ne avesse bisogno. Monti si è recato in Europa dove si è fatto promotore, insieme alla Merkel e Sarkozy per l’approvazione del Patto Fiscale, che prevede tra l’altro l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. Tornato, nel riferire alle camere, Monti ha dichiarato che la BCE se si approverà il Patto Fiscale “sarà sicuramente più rilassata”. Ma chi lo paga? E qual è il presso del rilassamento della banca centrale europea?!
La risposta la conosciamo è il massacro sociale, è l’impoverimento degli enti locali e pubblici, è l’offensiva al mondo del lavoro ben rappresentata dai delegati Fiom che lasciano Mirafiori con sottobraccio le foto di Berlinguer.
I partiti presenti in Parlamento, d’altro canto, hanno riconosciuto di fatto piena delega al Governo in materia economica e se c’è scontro è sulla legge elettorale che provano a riformare non partendo da un principio, ma esclusivamente valutando l’utilità che l’una o l’altra proposta ha per chi la scrive.
Va da sé che il ruolo del nostro partito diventa centrale. Un ruolo che mi sembra possa essere condiviso ed è quello di dare vita ad una guerra senza quartiere al governo liberista in carica. Sicuramente attraverso quelle che sono le straordinarie forze di Rifondazione Comunista, ma anche facendo di Rifondazione il perno di un’opposizione unitaria. Lo diceva il segretario a congresso: va cercata la più ampia massa critica anche oltre la FDS.
Se ora si assumesse un atteggiamento minoritario questo non potrebbe che essere sintomo di una sconfitta e del fatto che non ci siamo fatti capire. Al contrario dobbiamo avere l’ambizione politica di essere il fulcro di un’opposizione radicale che parli a chi ci sta anche se su singolo aspetti. E ci sono.
Credo che questo impianto sia valido anche per i Giovani Comunisti. Siamo certi della necessità di una lotta tra i giovani studenti e lavoratori radicale e chiaramente comunista. Consci che non basta urlare che siamo il 99%, ma che bisogna mettere in pratica le forme e gli strumenti per essere riconosciuti in quel 99% e magari condizionarne dei pezzi.

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Alessandro Giardiello

Il segretario nella relazione ci ha proposto una discussione sul livello di coscienza dei lavoratori e delle classi popolari, si tratta di un dibattito impegnativo che non può essere svolto sulla base di impressioni. Mi pare che non siamo sufficientemente attrezzati per un dibattito del genere, da una parte per l’assenza di strumenti teorici, anche filosofici, dall’altra perché solo un partito maggiormente centralizzato che riceve costantemente resoconti e rapporti dalle realtà di lotta sul territorio può veramente misurarsi su un terreno così ambizioso.
Per altro anche l’inchiesta, spesso non arriva a recepire quei cambiamenti di umore, che particolarmente in un contesto di crisi mutano in forma repentina. E mi limito a richiamare le discussioni che su questo argomento hanno avuto gli operaisti di casa nostra.
La coscienza è qualcosa di molto elastico, non può essere fotografata istantaneamente va analizzata nella sua complessità, nel suo sviluppo dialettico. La coscienza umana è per definizione conservatrice, ancor più lo è quella delle burocrazie del movimento operaio. Le rivoluzioni sono precisamente quei processi, dove con un salto brusco la coscienza si mette al livello dei processi oggettivi.
Non è vero che in questa fase la rabbia e la delusione non si trasformano in conflitto, il conflitto c’è, anche se non ha le dimensioni che abbiamo visto in Grecia o in altri paesi europei.
Il punto è che le organizzazioni di classe, inclusa la nostra, sono impreparate a dargli una prospettiva. Perché manca un’analisi e un programma? Sì anche.
Se in una riunione come questa tocca sentire che dobbiamo schierarci con l’economia reale contro l’economia di “carta” è evidente che un problema su questo c’è.
Ma il punto principale è che andato disperso un patrimonio di quadri politici e sindacali, formatosi negli anni ’70. Un settore si è messo da parte, un’altro che resta è stato largamente intossicato, sul piano sindacale, da 20 anni di concertazione, su quello politico da logiche istituzionali.
Lì dove i quadri ci sono però le lotte si fanno e hanno un carattere molto radicale.
Per quanto ci riguarda non basta il volantino di sostegno, o il passaggio del segretario ai cancelli delle fabbriche (che pure sono importanti), ci vuole un intervento sistematico che mira a:
conquistare la fiducia dei lavoratori impegnati nella mobilitazione. Senza nasconderci che su questo è aperto un problema di credibilità del partito
affiancarli nella definizione di una strategia, traducendo un programma generale in piattaforme specifiche e proposte di mobilitazioni efficaci.
condurre lo scontro nei sindacati di riferimento perché si affermino le istanze dei lavoratori e non quelle della burocrazia.
Siamo nel mezzo di una profonda crisi del movimento operaio organizzato del nostro paese. Il fallimento riformista ha prodotto un gigantesco processo di mutazione del quadro politico, iniziato con lo scioglimento del Pci e la transizione alla Seconda Repubblica. Un processo che dura da 20 anni e che non si è ancora stabilizzato.
Durante la disastrosa esperienza del governo Prodi, c’è stata piuttosto un’ulteriore impennata, con la nascita del Pd. È come se avessero tirato un filo che ha trascinato dietro di sé tutto ciò che si muoveva a sinistra. È in situazioni come questa (se si considera l’effetto combinato della crisi economica) che una forza politica, per quanto piccola, può crescere rapidamente, se è in grado di offrire risposte all’altezza degli avvenimenti.
In altri paesi europei un fenomeno del genere non si registra, tutto sommato continuano ad esistere le socialdemocrazie e alla loro sinistra i partiti comunisti o della sinistra d’alternativa.
Le classi popolare non sono subalterne, come ha affermato il segretario in un passaggio, ad essere subalterne sono le organizzazioni della classe.
Il contesto della crisi è stato già descritto, ed è pesantemente recessivo nel 2012. Alcuni compagni dicono che una percentuale alta di lavoratori è affetta da egoismi, alla ricerca di soluzioni individuali? Come potrebbe essere diversamente?
In un contesto come questo, a parte alcune ristrette avanguardie, o hai una prospettiva politica o la solidarietà diventa un lusso che non puoi permetterti. Non serve un’inchiesta per capirlo.
A differenza di quello che è stato detto, per parte nostra non mitizziamo nè la lotta di Pomigliano, né quella di Fincantieri, né ci appuntiamo alcuna medaglietta al petto.
Ci piacerebbe che la realtà del nostro radicamento sociale fosse molto più solida di quanto non sia, per tutto il partito, e ci interessa poco se fa rifermento a questa o quella componente.
Resta il fatto che nel gruppo dirigente c’è grande reticenza nell’organizzare l’opposizione al governo Monti. È come se la linea di opposizione venisse subita per mancanza d’alternative spesso condotta con scarsa convinzione e determinazione. L’episodio dell’assemblea del 18 dicembre della FdS è già stato citato.
La campagna Voglio la Fiat in Fiom andrebbe presa e sviluppata sui territori. Cosa dice il partito sull’ultimo CC della Fiom e il direttivo Cgil che si è tenuto subito dopo determinando un riavvicinamento tra Landini e la Camusso? Qual è la linea sindacale del partito?
Voglio ricordare che un lavoro sistematico nei sindacati e nella loro base è quello che ha salvato altre organizzazioni comuniste che hanno attraversato lunghi periodi di crisi (ad esempio Izquierda Unida). È per noi decisivo in questa fase.
Dobbiamo mettere da parte il minimalismo e alle prossime elezioni rifiutare ogni accordo con le forze che sostengono Monti.
Nella discussione a sentire alcuni interventi (a partire da quello del segretario) è come se il Pd non esistesse più, ma il Pd esiste ed incide, altro che se incide, come diga a difesa del governo. Inoltre non credo che ci siano particolari motivi per aspettarsi un cambiamento della legge elettorale, o una rottura del patto di Vasto.
Lo dico perché bbandonata la linea del fronte democratico, che non ha retto alla prova dei fatti, si parla oggi di costruire degli accordi con l’Idv di Di Pietro, a partire dalle prossime elezioni in Sicilia.
Stiamo molto attenti al populismo borghese perché può ucciderci. Guardiamo all’America Latina. L’Italia è il paese in Europa che più somiglia a quella realtà.
Ho ascoltato con attenzione il segretario di Napoli, che ci parlava delle criticità della giunta De Magistris. A me paiono evidenti i connotati politici dell’assemblea del 28 gennaio, spingono nella direzione di un movimento politico nazionale. Dobbiamo partecipare a quella riunione mantenendo l’indipendenza politica da De Magistris e il suo stile di direzione leaderistico, populistico e per certi aspetti persino autoritario.
Il nostro compito è costruire un dibattito nel movimento, tra le forze di sinistra, nelle realtà di lotta che metta al centro una piattaforma antisistema fuori da ogni illusione di default concordato o rinegoziazione dello stesso.
In questo quadro dovremmo proporre alle prossime elezioni delle candidature che siano espressione del movimento operaio, dei movimenti presenti nella società che abbiano al centro della propria piattaforma il rifiuto del patto di stabilità interno e la difesa dell’esito referendario per la difesa dei sevizi pubblici contro le liberalizzazioni avanzate dal governo.
Un ultimo passaggio su Liberazione. In passato, pur in un quadro di lealtà, abbiamo avuto dissensi anche aspri tra di noi, ma una cosa oggi voglio dirla. Come minoranza condividiamo le recenti scelte fatte dalla segreteria nazionale in merito a Liberazione. Il pesante disavanzo che ci è stato illustrato è abbastanza eloquente e per altro conosciuto. Non possiamo condividere le posizioni di chi mette il giornale davanti al partito. Se resta in piedi il partito avremo in un futuro, mi auguro non troppo lontano, nuovamente un quotidiano cartaceo. Ma se scegliamo il giornale difficilmente domani avremo ancora un partito, una decisione del genere per quanto dolorosa è oltre modo necessaria se vogliamo continuare ad avere un futuro.

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Daniele Maffione

Compagni, in premessa, rivolgo un appello: non proseguiamo stancamente il dibattito congressuale, con toni da propaganda interna. In questa fase non possiamo più permettercelo. Concentriamoci, pertanto, sull’ordine del giorno.
Esiste oggi un problema molto serio: tra i lavoratori del nostro Paese c’è rabbia ed esasperazione, causate dalla crisi capitalista, ma a fronte di forme di lotta anche avanzate, come l’occupazione delle fabbriche o il blocco delle strade, non corrisponde l’avanzamento di un movimento di massa. Chi si batte costituisce sì un reparto d’avanguardia, ma distaccato da tutto il resto, che rimane nella passività. Le lotte faticano pesantemente a coordinarsi fra loro. In questo, l’immobilismo totale della Cgil, che pure in passato aveva svolto un ruolo fondamentale nella costruzione di mobilitazione, non ci aiuta. Questa riflessione c’impone la comprensione di un elemento: dobbiamo essere capaci di connettere le forme di lotta con l’avanzamento di una coscienza politica di massa.
Nonostante un generoso slancio militante, che ci porta ad essere l’unico soggetto politico organizzato presente in ogni picchetto ed in ogni battaglia sui luoghi di lavoro, dobbiamo constatare che l’assenza di un movimento sindacale penalizza fortemente la riuscita di un’opposizione politica di massa al governo Monti. Allo stesso tempo, dobbiamo riconoscere che non possiamo più limitarci a portare la nostra solidarietà ai lavoratori o alle mobilitazioni in corso: Rifondazione comunista deve costruire un progetto per il Paese. Dobbiamo unire alla capacità di studio ed esplicazione dei fenomeni economici del capitalismo, anche una proposta politica di alternativa rivolta al corpo vivo del Paese ed ai soggetti colpiti dalla crisi.
In questo percorso, un ruolo di protagonismo lo stanno avendo i nostri amministratori negli enti locali, che si stanno battendo contro le liberalizzazioni e le privatizzazioni selvagge, volute dal governo Monti. Ma a questo dobbiamo aggiungere anche una decisa presa di posizione contro lo scioglimento delle assemblee elettive, per il rilancio di una mobilitazione a sostegno di una legge elettorale che ripristini il sistema proporzionale, per la difesa della Carta Costituzionale e del Contratto nazionale di lavoro.
Rifondazione dev’essere consapevole di un elemento: per contrastare efficacemente il capitalismo neoliberista, il Partito deve stringere i propri legami sul piano internazionale con i partiti comunisti e delle sinistra di alternativa. Se non rilanciamo l’internazionalismo proletario ed un’idea globale di giustizia sociale ed uguaglianza, verremo divisi e schiacciati uno ad uno.
Invito poi, alla riflessione sulla campagna nazionale “L’Italia sono anch’io!”, che consiste in una raccolta di firme con la Cgil ed altre strutture per dare la cittadinanza italiana ed il diritto di voto agli immigrati di seconda generazione ed agli apolidi. Compagni, dobbiamo stare attenti a come presentiamo questa campagna ed ai contenuti che le diamo! La crisi getta nell’insicurezza e nella paura di perdere il posto di lavoro milioni di persone. La borghesia capitalista sfrutta questa paura e propaganda costantemente un’idea di rifiuto del povero, del diverso, dell’immigrato, alimentando un senso comune reazionario, che la destra neofascista cavalca facilmente. Ritengo, quindi, che alla campagna per i diritti dei lavoratori immigrati, dobbiamo accompagnare una forte battaglia contro il precariato lavorativo ed il lavoro sommerso.
In sostanza, compagni, dobbiamo sviluppare la capacità di parlare non solo agli operai, ma anche al ceto medio oppresso dal capitalismo. Come inciso, i fatti di sangue degli ultimi giorni accaduti a Roma, ci indicano che è in atto un regolamento di conti fra gruppi neofascisti, che alle proprie spalle coprono traffici di stupefacenti e criminalità organizzata con la complicità del sindaco Alemanno e delle istituzioni locali. Il nostro partito deve potenziare la propria attività sull’antifascismo nella Capitale, come in tutto il Paese, promuovendo l’ordine del giorno per far impedire la concessione di sedi istituzionali a gruppi nazifascisti ed intensificando il lavoro nelle ANPI e tra le nuove generazioni, per costruire un movimento di massa contro i rigurgiti eversivi che si stanno sviluppando in Italia.
Per costruire queste campagne e dare seguito operativo alle indicazioni degli organismi dirigenti centrali, l’attività principale sulla quale concentrare le nostre energie da ora in avanti diviene la costruzione del Partito. Anzitutto, avviando il radicamento di cellule comuniste nei luoghi di lavoro, contrastando così la crisi del sindacalismo confederale ed il diffondesi dell’anti-politica tra i lavoratori. Lo stesso lavoro va condotto nella società, consolidando ed inaugurando nuovi circoli nei quartieri dei grandi centri urbani, come nei piccoli comuni di provincia.
L’attività di radicamento, però, pone anche il tema della costruzione dei gruppi dirigenti. A tal riguardo, credo che sia fondamentale animare corsi di formazione politica a tutti i livelli, per innalzare il grado di preparazione dei nostri militanti e selezionare gli elementi migliori, candidandoli alla direzione del Partito. Questo processo di formazione ci è indispensabile se vogliamo realmente costruire un partito con vocazione di massa e l’intellettuale collettivo. Un tema decisivo al radicamento del Partito è la risoluzione della crisi delle nostre finanze, avviando un intensissimo lavoro di autofinanziamento per sostenere l’attività dei nostri circoli di base e delle federazioni provinciali. Poi, per rispondere al limite enorme di non poter più pubblicare il nostro quotidiano, Liberazione, dobbiamo elaborare un efficiente sistema di comunicazione alternativa per arrivare a tutti gli strati della società.
Concludo. Soltanto su di un elemento non mi trovo d’accordo con la relazione del segretario Ferrero, che ha detto che in questa fase non dobbiamo dare importanza al tema elettorale. Detto a pochi mesi da una tornata di elezioni amministrative, che verificheranno la linea e lo stato di salute del nostro Partito dopo il Congresso, ritengo, invece, che dobbiamo concentrarci maggiormente sulla costruzione di una strategia ed una tattica elettorale, altrimenti rischieremmo di navigare a vista. In questo momento il PD è in forte difficoltà, con Di Pietro e Vendola che vedono sempre più oscurata la propria stella, all’indomani del rifiuto dei quesiti referendari per la legge elettorale sul sistema maggioritario. Rifondazione deve porsi come alternativa a tutto lo scenario politico rappresentato in Parlamento, ma rompere con certo minoritarismo che contraddistingue le nostre posizioni. Dobbiamo rivolgerci a tutti gli elettori di centrosinistra come soggetto autonomo, ma proponendo misure concrete per contrastare la crisi e difendere l’occupazione, i salari e le pensioni.
Il 28 gennaio a Napoli si terrà un’importante iniziativa nazionale sui beni comuni. Il Partito dev’essere capace di dire che tra i beni comuni non rientra soltanto l’acqua, che, nonostante l’esito referendario, i monopoli con le loro diramazioni politiche (Pdl e Pd) vogliono continuare a privatizzare. Rifondazione deve porre tra i beni comuni anche l’energia e le materie prime, come il gas, il petrolio, l’elettricità, poiché anche questi settori sono oggetto di una vorace politica di smembramento e privatizzazione, con un evidente impatto sulle imposte e le accise che pagano tutti i cittadini.
E’ decisivo, quindi, far ruotare attorno al nostro Partito la costruzione di un polo della sinistra di alternativa attorno a tre temi: il lavoro (difesa del CCNL e lotta contro il precariato), i beni comuni (acqua ed energia), la democrazia (salvaguardia della Costituzione e legge elettorale per il sistema proporzionale).

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Nando Mainardi

Condivido la relazione di Ferrero, a partire dalla necessità di un grande investimento da parte nostra nella costruzione dell'opposizione al governo Monti. C'è nel gruppo dirigente diffuso la voglia di mobilitarsi, di riprendere, di attivarsi. Nei giorni scorsi, come segreteria emiliano-romagnola, abbiamo organizzato un incontro con i segretari provinciali e i responsabili organizzazione e in diversi hanno proposto l'organizzazione di una manifestazione nazionale contro il governo. Mi sembra un dato interessante, che ha anche a che fare con la percezione che abbiamo di noi stessi: sei mesi fa sarebbe stata impensabile una richiesta di questo genere. E' chiaro che la presenza di un governo del genere ci "favorisce" per alcuni aspetti. E sappiamo altrettanto chiaramente che noi proponevamo ben altro: elezioni subito e fronte democratico contro le destre. Se però ad oggi siamo la forza di opposizione a sinistra più credibile e visibile, è anche e soprattutto grazie alla linea politica di resistenza che abbiamo tenuto in questi anni. Se abbiamo più visibilità e qualche segale di ripresa, non è cioè soltanto perchè lo scenario più generale è cambiato. Condivido anche quanto dice Ferrero sulla necessità di passare - nella costruzione dell'opposizione - dalla propaganda all'esercizio di un ruolo attivo nelle vertenze e nelle lotte. Anche perchè, spesso e volentieri, il nostro partito è già innervato nelle lotte. Penso alla vertenza dei lavoratori dei treni di lunga percorrenza: uno dei tre lavoratori saliti da quaranta giorni sulla torre faro della stazione di Milano è un iscritto e un militante del Prc emiliano-romagnolo. Si tratta però di costruire un salto di qualità, e sicuramente l'inchiesta nei luoghi di lavoro e del conflitto è e deve essere uno strumento prezioso. Dobbiamo fare in modo, e penso in questo al ruolo della formazione interna, che l'inchiesta entri nella cassetta degli attrezzi dei militanti e dei dirigenti territoriali del partito. Penso inoltre che, terminato il congresso e scelta una buona linea politica, sia compito del gruppo dirigente nazionale affrontare alcuni nodi rimasti sul tappeto da tempo. Ad esempio, la Federazione della Sinistra: se chiedissimo ai quattro soci fondatori quale è il simbolo della Fds, probabilmente riceveremmo risposte diverse. Come pure stiamo proponendo - ed è una cosa giusta - di organizzare assemblee provinciali della Fds, e al contempo il materiale nazionale della campagna contro Monti è del Prc. Penso che paghiamo, in questo come in altri casi, il fatto di aver compiuto scelte spesso tattiche e non strategiche. Magari non si poteva fare altro, ma ora dobbiamo passare - in un senso o nell'altro - dalla tattica alla strategia. Altrimenti i percorsi che attiviamo rischiano di essere perennemente fragili. Oppure penso a Liberazione. Credo che chiunque dica che Rifondazione sta usando la crisi di Liberazione per fare epurazioni e cose affini dica delle colossali stupidate. Detto questo, dobbiamo decidere il che fare. Le compagne e i compagni stanno rispondendo bene nei territori, e le iniziative a favore di Liberazione stanno crescendo. Sottolineo però che buona parte dei compagni sono convinti che sia effettivamente possibile ritornare in edicola. Penso che il compito di un gruppo dirigente sia definire gli obiettivi che realisticamente possiamo perseguire, e in un caso come questo dobbiamo farlo. A proposito di stampa e di fondi per l'editoria, aggiungo una cosa visto che - spesso - nel Cpn ci siamo confrontati sulla natura del Movimento Cinque Stelle e del suo elettorato. Nei giorni scorsi un consigliere regionale grillino ha presentato un'interrogazione presso l'Assemblea Legislativa sul rischio di chiusura - in seguito ai tagli del governo - della redazione emiliano-romagnola dell'Unità. Grillo il giorno dopo, sul suo blog, ha scomunicato il consigliere regionale assumendo una posizione liberista e qualunquista: possono andare in edicola solo i giornali che reggono sul mercato e che, evidentemente, trovano finanziatori disponibili. Il consigliere, ha aggiunto, è libero di andarsene. Sul blog i commenti si sono moltiplicati, a sostegno di Grillo e su posizioni in gran parte anticomuniste. E' evidente che un episodio non esaurisce il dibattito su un soggetto complesso come il Movimento Cinque Stelle. Per quanto mi riguarda, però, è un'ulteriore dimostrazione del mutamento compiuto: da movimento politico inizialmente legato a vertenze ambientali e territoriali la prevalenza è passata a posizioni qualunquiste e caratterizzate dal peggior populismo.

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Maria Merlini

Non c’è dubbio che la collocazione all’opposizione del governo Monti abbia aperto grandi spazi per l’agire politico del nostro partito. Un governo che è sì tecnico, non essendo stato eletto dai cittadini, ma assolutamente politico nella suo ruolo di interprete ed esecutore delle politiche europee.
Grandi opportunità per la nostra proposta politica, dunque; ma sappiamo bene che la non condivisione ed anche la critica non necessariamente, anzi, con grande difficoltà si trasformano in conflitto per il cambiamento. La fase, infatti, è aperta anche dal punto di vista delle reazioni alle politiche di questo governo, ci troviamo infatti di fronte a diversi atteggiamenti: la piena adesione – da parte di settori decisivi della borghesia – o una accettazione dovuta al radicamento di quel senso comune che porta a considerare queste misure inevitabili; la passivizzazione e rassegnazione, da parte di chi non ne condivide le politiche; l’opposizione populista, i cui pericoli non dobbiamo sottovalutare, e che non è presente solo al nord con la Lega, ma si sta manifestando anche al sud in maniera preoccupante con fenomeni come quello siciliano del Movimento dei Forconi, che dietro gli slogan populisti sta avendo una notevole forza di aggregazione ed è controllato da personaggi ambigui come il presidente del Palermo calcio esponenti della destra e di forze politiche al governo della regione. Accanto a tutto ciò si sviluppano importanti episodi di resistenza operaia che però stentano a trovare un terreno unificante.
Se è così la propaganda non basta; la fase va affrontata con una forte strategia politica, con una proposta alternativa che ispiri il nostro lavoro, la nostra militanza quotidiana nei territori, nel rapporto con la società, con i movimenti, anch’essi attraversati da una discussione aperta e diversificata.
Aprendo una battaglia sulle condizioni di vita dei giovani, ancora più necessaria in una fase in cui il governo tenta di innescare uno scontro generazionale per giustificare i provvedimenti di liberalizzazione, deregolamentazione del lavoro, tagli alle pensioni, camuffando da tagli ai privilegi quella che non è altro che una ristrutturazione capitalistica.
Parte importante della strategia politica deve essere, oltre al rafforzamento della Federazione della Sinistra, una forte offensiva unitaria a sinistra, oggi ancor più necessaria – per uscire dall’isolamento – ed anche più possibile data la crisi strategica di SEL di cui la fine del progetto referendario sul terreno elettorale rappresenta un altro elemento.

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Adriana Miniati

Sintesi Intervento di Adriana Miniati.
Mi sembra di poter affermare che il primo obbiettivo del Governo Monti è quello di rafforzare e consolidare poteri e profitti delle banche italiane, per impedire che gruppi finanziari più forti se ne impadroniscano.Ma forse più importante è l'obbiettivo di aprire il mercato, in precedenza riservato agli Enti Pubblici, gestiti in regime di monopolio amministrativo, alla penetrazione del capitale privato : qui sto parlando dell'acqua, ma anche delle municipalizzate , individuato come settore in cui era possibile fare profitti, dato che le aziende medio-piccole artigiane dell'attività di trasfrormazione sono in fase recessiva.Infine terzo obbiettivo è la partita sul mercato del lavoro, in cui l'art 18 è solo la punta estrema di un problema più generale, ovvero l'esistenza di di mille tipologie di contratti, l'abolizione del CCNL, e lo smantellamento della presenza sindacale nei luoghi di lavoro. Intanto i lavoratori licenziati continuano a salire sulle torri, i cassa integrati aumentano e le aziende delocalizzano, licenziando. I lavoratori del polo chimico sardo restano confinati all'Asinara da oltre un anno e tante fabbriche italiane sono presidiate , a cancelli chiusi. In sintesi, sotto il ricatto della paura il paese è immobile. Intanto l'indice di astensione potenziale registrata si alza a livelli di record, testimoniando il fallimento del sistema poltico rappresentativo e democratico.!
Si è detto al Congresso che questa è una fase costituente, ma lo è dall'alto, in modo autoritario, decisa dalla tecnocrazia e dalle classi dirigenti, il cui fine è determinare la fine del Costituzionalismo democratico. tutti i valori, presenti nella COSTITUZIONE, sono riportati al Mercato, come unico organo sovraordinatore : in Senato si è votata la modifica dell'art 81 ( prima parte della Costituzione!) , la cui normazione è stata decisa a livello europeo.Sia Draghi che Monti hanno parlato di Nuovo Patto Fiscale che sarà votato a marzo, il cui esprit proviene da un Trattato Europeo. Noi dobbiamo mettere all'attenzione di tutti che a decidere non siano i Trattati europei, ma i cittadini, soprattutto ora, in cui la crisi ha disvelato il ruolo dello Stato come gestore del sistema economico e garante dell'accumulazione capitalistica , in più spacciata come bene collettivo.
E' crollato ( ma per tutti?) il velo dell'autoritarismo dello Stato e dell'inconsistenza del sistema democratico borghese, tutt'altro che rappresentativo ( finora e noi lo sappiamo bene) , tutt'altro che elettivo ( e ora lo si può dire).Ricordo che questo meccanismo era noto a MARX, ma anche agli economisti liberali; semmai quel che c'è di nuovo è che non sembra più necessario fare le guerre per distruggere le capacità produttive, redistribuire le quote di mercato e far ripartire l'accumulazione, ma si può raggiungere lo stesso risultato depredando i popoli, distruggendo le risorse primarie a oltranza, e imponendo, attraverso il MERCATO- la disertificazione di alcune aree produttive a vantaggio di altre, in un perfido gioco di costante redistribuzione dello sfruttamento e dei fattori di accumulazione del profittto. E, malgrado lo scenario sia questo, oggi ancor di più la caduta tendenziale del saggio di profitto come limite e fine dello sviluppo capitalistico, diviene una chimera!
Da laica e da comunista non credo che il capitalismo si autodistruggerà. Credo invece che l'azione (la rivoluzione ?) necessaria per sconfiggere questo sistema di rapina e di sfruttamento o avverrà grazie all'iniziativa degli sfruttati che prenderanno il loro destino nelle loro mani e in una lotta di classe affermeranno la prevalenza dei bisogni collettivi su quelli individuali e specifici del capitalismo , oppure non avverrà!!Ricordiamoci anche che ci sono secoli di lotte anticapitalistiche che hanno fatto crescere anche le capacità poltiche delle classi sfruttate!!!
Oggi i proletari di tutto il mondo stanno pervenendo a riconoscere l'esistenza di BENI COMUNI di cui bisogna impedire la distruzione e che vanno riconquistati alla pevarsività di appropriazione del Capitale.Dunque, non più la difesa dei bene pubblici, ma dei BENI COMUNI, sia di natura materiale che immateriale dobbiamo in questa fase aiutare a far crescere nelle lotte ( è una sorta di programma minimo? su cui aggregare chi è disponibile all'impegno poltico e sociale e alle lotte qui e ora !!) . Ciò che balza agli occhi è infatti nel "problema dell'accumulo di forze ", come Ferrero l'ha chiamato, nella sua relazione, l'inadeguatezza del conflitto messo in campo dai lavoratori in questa fase durissima di attacco dei due Governi di destra succedutisi. Ci sono responsabilità del sindacato, e anche l'assenza di quadri sindacali idonei alla fase conflittuale sono assenti o carenti , (nella prevalenza attuale di personale che ha esperito solo la concertazione sindacale e manca di politicizzazione) ma anche noi , come Prc e Fds, penso che dobbiamo abbandonare le reticenze che ancora allignano fra noi e al più presto costruire una Sinistra di Opposizione senza settarismi, ma anche senza attendismi, a partire da chi è ora in campo pervicacemente, e cerca una sponda poltica di riferimento: mi riferisco alla Fiom soprattutto, alla sinistra Cgil se riesce a riacquistare una sua voce autonoma, ai sindacati di base ( nel frattempo favorendo una loro unità) ; e innanzitutto mi riferisco all'iniziativa No Debito, promossa da Cremaschi che con costante tensione punta ad affermare le istanze e i diritti dei lavoratori e non delle burocrazie.
E così , riprendiamo pure ( come Ferrero auspica nella relazione) un rapporto non sporadico con gli intellettuali , ma nella consapevolezza che essi li troviamo sulla nostra strada , se abbiamo una linea politica che tutto il partito attua nei suoi territori e che fa parlare di sè, imponendo una concezione del mondo alternativa a quella vigente in ogni nostro sentire e pensare e vivere. Così un partito fa cultura ed essa parla a tutti nintellettuali e proletari , e li avvicina a noi. Non viceversa.

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Simone Oggionni

Registro anche io un clima nuovo nel partito, positivo e da valorizzare, frutto di un congresso che ci ha reso più uniti, tanto nel gruppo dirigente centrale quanto – sia pure con qualche eccezione - nei territori.
Ora il rischio che dobbiamo evitare – ed è questo a mio avviso il tema centrale che dovremmo affrontare – è ricompattare il partito ma in una condizione di debolezza ormai normalizzata e assodata. Non dobbiamo cioè abituarci alla nostra attuale inadeguatezza, perché quando si è piccoli e deboli si rischia di perdere per sempre l’ambizione egemonica, la capacità di creare consenso e si finisce con l’acquisire anche senza volerlo una struttura mentale e una vocazione minoritaria.
Per questo le scelte che compiamo in queste settimane sono determinanti, ancora di più perché il quadro è aperto a mille variabili. Non sappiamo con quale legge elettorale voteremo, non sappiamo quando voteremo, non sappiamo se il Pd sarà risucchiato definitivamente in un’ipotesi neocentrista (scegliendo di costruire una cosa che in Italia compiutamente non c’è mai stata, e cioè il partito organico della borghesia), non sappiamo se il centro-destra candiderà ancora Berlusconi o Alfano, non conosciamo il grado di conflittualità sociale che si svilupperà nei prossimi mesi in reazione ai provvedimenti del governo Monti e alle provocazioni protofasciste messe in campo da alcuni settori del padronato italiano (e di cui l’espulsione della Fiom dalle fabbriche Fiat è soltanto la punta dell’iceberg).
Non è quindi il tempo della discussione sulle alleanze, ma è il tempo di scegliere modalità di azione e iniziativa adeguate alla fase a cui conformare i nostri comportamenti.
Penso esistano due bussole.
La prima è l’intransigenza nella nostra opposizione al governo Monti, che ha rappresentato l’uscita da destra dal ciclo berlusconiano. La dobbiamo concretizzare contestando giorno per giorno le scelte socialmente criminali del governo sulle pensioni, sul lavoro, sui contratti, sui diritti e di cui l’idea di inserire in Costituzione il pareggio di bilancio è forse il segno più regressivo e violento. Da questo punto di vista la contestazione di ieri mattina dei nostri compagni alla visita di Casini a Catania (che ha avuto un grande e meritato rilievo mediatico) va estesa e replicata, a partire dal 20 gennaio quando a Roma daremo il benvenuto a Monti, Merkel e Sarkozy.
La seconda bussola è l’atteggiamento unitario, sempre e comunque. L’opposizione deve essere intransigente e allo stesso tempo intelligente. Dobbiamo avanzare proposte concrete, alternative a quelle del governo, e non urlare slogan. Dobbiamo comunicarle in maniera semplice e comprensibile a tutti. E dobbiamo ricercare fino allo spasimo le relazioni e i rapporti con le forze democratiche e della sinistra dentro le cui ambiguità e dentro i cui errori e le cui contraddizioni c’è uno spazio di azione e iniziativa politica enorme. Penso all’Idv, a Sel, ma anche a quella parte del Pd che ha espresso posizioni alternative a quelle di Letta e Ichino. Penso alla Cgil, che pure nei limiti della sua linea politica è il più grande sindacato del Paese e quindi potenzialmente uno dei soggetti più importanti dell’opposizione a Confindustria e al governo di queste destre. E non, come qui ho sentito, per fare stalking ai moderati, ma per rimanere in contatto con una sinistra politica e sociale che soltanto così possiamo provare a spingere su una posizione di alternativa.
Ma per essere credibili dobbiamo affrontare di petto alcuni temi che io ritengo essere problemi strutturali di Rifondazione Comunista.
Il primo è la Federazione della Sinistra. Su questo bisogna uscire dalle ambiguità e superare i ritardi. Perché se la Fds rimane un cartello elettorale il rischio che già stiamo correndo è che nei territori, senza un’unità e una omogeneità che si decide politicamente di costruire a livello centrale, crolla pure questo, e prevalgono i piccoli egoismi elettorali, e si approfondiscono irreversibilmente le differenze, a partire da quelle di collocazione istituzionale.
Il secondo tema riguarda i giovani. Non voglio apparire un disco rotto, ma penso davvero che ci sia un problema di dialogo tra il partito e la giovanile. E continuo a ritenere che questo sia un errore potenzialmente letale sul quale il Segretario in prima persona dovrebbe a mio avviso proporre un cambio di passo.
Il terzo riguarda il rapporto con gli intellettuali, che va ripreso e ricostruito, perché solo così si può ridare al partito fiato, prospettiva e ci si può collocare al livello di cui abbiamo bisogno, interagendo con il nostro orizzonte e le nostre aspettative strategiche.
Il quarto, infine, riguarda il regime correntizio interno al partito. Io condivido il fatto che vada superato, eliminando questa fastidiosa distonia tra ciò che enunciamo e ciò che pratichiamo. Ma non condivido – e voglio dirlo chiaramente – che attraverso questo si tenti di superare e di abolire l’idea e la pratica delle componenti politico-culturali, che invece sono e devono essere una realtà viva e utile per il dibattito interno e l’analisi culturale e teorica ad oggi quasi del tutto assente nel partito.

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Alba Paolini

Come si costruisce l'opposizione al governo Monti?
Come possiamo riprenderci il posto che ci spetta nella società, quale forza riconosciuta dalle masse popolari? Pur essendo presenti, a tutte le lotte dei lavoratori, non raccogliamo il consenso che meritiamo. Da anni siamo in prima fila, certo con le nostre poche forze, in tutte le possibili vertenze. Ci viene riconosciuto l’impegno e le competenze, ma non siamo riconoscibili come soggetto politico da votare. Noi non parliamo la stessa lingua delle classi sociali che vogliamo rappresentare. Su questa nostra ininfluenza è necessario fare un’attenta verifica.Certo non ha aiutato sin d'ora , lo spreco di energie utilizzate per le nostre lotte interne. A partire dal congresso di Napoli, si è fortunatamente provveduto ad una vera sterzata in controtendenza, che andrà tutta a vantaggio del rafforzamento del partito e della nostra qualità di vita. Abbiamo già sprecato troppi preziosi anni e sono felice di questa ritrovata serenità.Certamente la situazione politica ed economica mondiale che sta attraversando il pianeta, ci chiede uno sforzo supplementare di capacità di analisi e di nostre proposte. Analisi, formazione e studio, insieme ad una presenza costante sul territorio, unire sapientemente il sapere e il fare, questa è la sfida alla quale siamo chiamati a rispondere. Principalmente è la lotta al precariato e al diritto al lavoro a tempo indeterminato, la nostra priorità.Più attenzione dobbiamo prestare ad alcune categorie, come quelle dei pensionati ed anziani, che in una società come la nostra, sempre più vecchia, pone nuove domande. Proponendo ad esempio forme di organizzazione per una vita moderna che preveda strutture abitative con assistenza e con servizi adeguati agli anziani dei nostri tempi, prendendo ad esempio alcune forme di sperimentazioni, che con successo, vengono fatte in alcuni paesi del nord. Nello stesso tempo, immaginando città a misura di bambini, altra categoria alla quale non abbiamo mai prestato particolare attenzione, ma di cui sarebbe opportuno ce ne accupassimo di più. Cominciamo a formulare ipotesi di come immaginiamo quell’altro modo possibile di cui tanto parliamo. Insomma penso a proposte nuove che sappiano farci riconoscere come un partito vivo dentro la società e attento alle classi sociali che vogliamo e dobbiamo rappresentare. Le prossime elezioni amministrative potranno essere una buona occasione per misurarci in tal senso.

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Gianluigi Pegolo

Come tradurre l’opposizione in consenso? Uno dei modi è quello di porre al centro nei territori la difesa delle comunità locali dagli effetti della crisi ed agire anche nelle istituzioni per la difesa ed il rilancio del welfare locale. Non è una operazione facile perché le istituzioni locali patiscono una crisi finanziaria evidente e perché gli amministratori tendono ad assumere atteggiamenti autoreferenziali, ma si tratta di un intervento indispensabile. La “difesa dei livelli di vita delle comunità locali” deve diventare pertanto la nostra parola d’ordine. Per questo dobbiamo costruire piattaforme sociali locali come esito di inchieste specifiche sulle condizioni di vita. Ciò significa adottare una linea nelle istituzioni locali che, assumendo fino in fondo il tema della lotta alla crisi, rivendichi il rifiuto a trasformarsi in esattori dello stato, che ridislochi le priorità delle scelte sul fronte sociale e che assuma la difesa della gestione pubblica dei servizi come condizione per la garanzia dei diritti. Questo approccio non può che esaltare una gestione partecipata della cosa pubblica e richiede la collocazione autonoma e conflittuale delle istituzioni locali nei confronti delle politiche restrittive ed antipopolari del governo. La prospettiva non è solo quella di una difesa, nelle condizioni date, dei diritti di cittadinanza, ma anche quella dell’attivazione di un movimento di comunità locali che implica per le amministrazioni anche il coraggio della disubbidienza civile, a partire dalle norme vessatorie del patto di stabilità. L’assemblea di Napoli può andare in questa direzione a condizione che sia protagonista della elaborazione di una piattaforma per una vertenza nei confronti del governo. Le elezioni amministrative, d’altro lato, debbono esaltare il ruolo di una sinistra antiliberista che impedisca lo slittamento verso il centro e che ponga a fondamento dei programmi il rifiuto delle privatizzazioni e gli interventi anticrisi.

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Giovanni Russo Spena

Stiamo vivendo e subendo una crisi costituente,all'interno della quale il governo Napolitano/Monti sta costruendo una regressione oligarchica,un assolutismo neoliberista antipopolare,una democrazia senza partiti e senza sindacati(che è sempre stato il grande sogno del liberismo).Anche l'opposizione ,allora,deve essere costituente.Sottolineo,tra gli altri,3 punti:a) sul piano istituzionale e del sistema politico,dobbiamo costruire una grande campagna di massa sui guasti di 20 anni di sistema bipolare maggioritario (una vera e propria gabbia contro i movimenti,perchè le istituzioni sono diventate impermeabili rispetto ai conflitti sociali). b) In secondo luogo,contro le privatizzazioni dei servizi sociali,i quali diventano terreno diretto di accumulazione capitalistica,dovremo saper rilanciare una grande riflessione ed iniziativa sulla necessità del "pubblico",della socializzazione,della autogestione. c)Dovremo porci seriamente il tema della partecipazione piena alla riflessione ed all'azione del movimento"no Monti,no debito".Promuoveremo la petizione per un referendum autogestito contro l'Unione Europea;dovremo impegnarci a fondo per la riuscita della manifestazione del 10 marzo a Milano;la quale,significativamente,partirà dalla Bocconi dei"professori"e arriverà a Piazza Affari(la nostra Wall Street).

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Linda Santilli

La relazione che ha fatto ieri il segretario ci offre degli spunti di riflessione che non tentano di semplificare il quadro generale in cui siamo collocati ma al contrario colgono la complessità e tutta la problematicità con cui ci dovremo misurare nel prossimo futuro.
Questo approccio problematico non corrisponde necessariamente a ciò che anche nel nostro partito spesso pare essere una tentazione che va nella direzione opposta, rassicurante, che, semplificando, è più o meno la seguente: si è squadernato l’ordine degli schieramenti e degli interessi in campo, le grandi oligarchie finanziarie da una parte con la complicità della maggioranza della sinistra politica italiana, i lavoratori, i pensionati, gli sfruttati dall’altra. D’altra parte tempi, modalità dell’ascesa del governo Monti, manovre fatte e prossime manovre, non lasciano ombra di dubbio che si tratta dell’ultimo violento e definitivo giro di vite di un disegno che vuole spazzare via dalla scena della storia contemporanea i fondamentali della civiltà imposti dalle lotte del 900. E questo disegno oggi più che mai si proietta nelle vite concrete delle persone come un colpo secco i cui esiti a breve saranno di una evidenza abbagliante. Dunque se questo è, la nostra scelta di opporci con chiarezza a tale operazione, verrà inevitabilmente premiata. Così saremmo tentati a credere.
Questa fiducia, potenziata anche dal clima positivo e costruttivo dell’ultimo congresso, favorita anche da un flash di ritorno di visibilità sui mass media del nostro partito, non possiamo nascondere che ci abbia regalato qualche momento di soddisfazione quasi dimenticato.
Ma noi dobbiamo tenere i piedi a terra. Nulla è scontato, nemmeno che se prenderà corpo una protesta diffusa, essa non sarà segnata da una deriva populista di destra.
Dobbiamo operare un surplus di sforzo di analisi per comprendere come procedere nell’anno difficilissimo che abbiamo di fronte, questo ci ha detto Ferrero. Io la considero una premessa senza cui verrebbe meno lo stesso ragionamento sull’efficacia della nostra azione e sulle prospettive.
Esiste una necessità grande, grande come la storia, apparentemente troppo grande per noi: essere capaci di una analisi di questa contemporaneità in metamorfosi per essere costruttori di una idea di mondo, di un immaginario in questo presente, di ridare cittadinanza alla pensabilità della rivoluzione, possiamo forse dirla anche così, di inventare le parole della rivoluzione che parlino al presente. Questa dovrebbe essere l’impresa. Ma questa appunto è una impresa storica.
Anche Monti è protagonista di una impresa storica. Come ha sottolineato Steri, è un convinto e sincero sostenitore di un disegno preciso: smantellare le democrazie, smantellare lo stato sociale, i diritti, le tutele del lavoro, distruggere scientificamente i passaggi fondamentali di civiltà che hanno segnato il 900, per dare potere alle oligarchie finanziarie e sottrarlo definitivamente ai popoli. Ebbene a questo progetto ambizioso la sinistra italiana ed europea deve essere in grado di contrapporre un progetto altrettanto ambizioso. Siccome non possiamo più ragionare su scala locale, mi chiedo se non sia utile, anzi necessario, riaprire tra noi la discussione sulla Sinistra Europea, che invece mi pare del tutto assente in questo dibattito.
Allora il punto principale all’ordine del giorno è come metterci a lavoro per costruire un progetto che sia capace di aggregare, di produrre sogno e cambiamento, perché nella storia lo sappiamo, sogno e cambiamento hanno sempre camminato assieme. Non stiamo parlando insomma solo di moltiplicare le nostre iniziative, di potenziare la nostra presenza nelle lotte, aspetti ovviamente di prima importanza, ma di operare alla radice qualcosa di assai grande senza cui tanti nostri sforzi risulteranno probabilmente inefficaci e non saranno in grado di aggregare, né di creare un senso comune altro.
Questo significa che pur non essendo maggioranza, dobbiamo pensare come se lo fossimo, perché l’orizzonte che hai cambia il tuo agire politico e perché è il minoritarismo come dispositivo mentale che restringe il campo e ti mette all’angolo, non l’essere minoranza.
Avere scelto da che parte stare, è stato detto da molti, in questa fase politica è risultato relativamente semplice. Acquisire consenso e legittimità, anche se può apparire paradossale, non è affatto scontato.
Esiste una complessità elevata con cui fare i conti perché l’Italia è devasta dalla crisi, e i pezzi più consistenti della sinistra sono dentro il governo, essi seppur con sfumature diverse si sono fatti carico di quella che formalmente è passata come assunzione straordinaria di responsabilità per salvare il paese di fronte al disastro imminente. Una scelta inevitabile. E’ questa la narrazione pericolosa che è diventata senso comune. Il popolo di sinistra nella sua stragrande maggioranza oggi è in attesa, vuole dare fiducia a questo governo. Esiste un sovrappiù di speranza che non possiamo non vedere. Ogni nostra azione, ogni nostra campagna politica, ogni slogan che andremo ad utilizzare non può prescindere da questo dato.
Io penso che con il popolo in attesa, in parte già deluso, noi dobbiamo parlare, e verificare di volta in volta l’efficacia della nostra comunicazione.
Ma dobbiamo avere chiaro che il primo antidoto all’immiserimento democratico e culturale in atto va trovato nella scelta di impegnare tutte le nostre forze nel lavoro di tessitura del filo rosso che unisce i mille rivoli in cui scorre oggi la critica al capitalismo finanziario globalizzato e che gli oppone il valore dei beni comuni. Sono i movimenti di cui ha parlato giustamente ieri Alfio. Dunque mettere a disposizione di un processo ricompositivo della sinistra ogni energia e pensiero critico, proprio per contrastare quel disegno che vorrebbe un paese anestetizzato dal pensiero unico, dal governo dei cosiddetti tecnici e da scelte politiche spacciate per ineluttabili.
O noi saremo in grado di essere forza catalizzatrice di questi movimenti e di questi mille rivoli che hanno fatto della manifestazione del 15 ottobre la più grande del mondo, oppure la scelta giusta di esserci collocati all’opposizione senza se e senza ma non ci salverà dal rischio di isolamento perché saremo percepiti come inutili e ininfluenti.
Ma dobbiamo riuscire a moltiplicare le relazioni anche con quei soggetti, diciamo così, più difficili, più contraddittori, più ostici per certi versi, che sono la sinistra politica, non solo quindi i sindacati di base o la Fiom, ma anche la Cgil, anche pezzi di mondo cattolico, anche pezzi del popolo del pd e di sel che sono in estrema sofferenza.
La linea decisa dal congresso di Napoli sull’unità della sinistra va potenziata al massimo e messa in pratica con convinzione. Dobbiamo incalzare le diverse articolazioni della sinistra, da Idv a Sel, con proposte.
Insomma, chiediamo a noi stessi un di più di generosità in questa fase, per metterci in marcia in direzione della costruzione di una grande sinistra di alternativa unita e plurale che superi le attuali difficoltà della Fds, che rilanci un progetto su scala europea, e che tenga vivo il progetto ambizioso della trasformazione della società.
Ultimo punto: gli intellettuali. Sono d’accordo che dobbiamo costruire relazioni significative con il mondo intellettuale e culturale, e potenziare e valorizzare quelle esistenti, e non come operazione strumentale per avere qualche ciliegina sulla torta, ma per favorire l’irruzione di altri linguaggi e sguardi sul mondo al nostro interno e favorire il lavoro di ricerca. Però dobbiamo essere franchi tra noi, ad oggi benché ci sia questa consapevolezza, essa viene spesso sacrificata in nome e per conto dell’equilibrio tra le correnti interne, ed io spero che la positività sottolineata da tanti circa l’esito di questo congresso sia anche una premessa concreta per rimescolare le carte e consentire che scorra nuova linfa.

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Gianluca Schiavon

Il declassamento da parte delle agenzie di raiting di tutti i Paesi europei a eccezione di Germania e Gran Bretagna drammatizza una crisi economico-finanziaria già molto difficile. La bocciatura invece che apparire l’ennesima sconfitta delle politiche liberiste in ogni variante giustificherà l’ennesimo attacco alla stato sociale e ai beni comuni. E il blocco sociale al potere in Germania si candida a sferrare questo attacco. Si tratta di un affondo alle democrazie di tutti i Paesi dell’UE con la costituzionalizazione del vincolo di pareggio di bilancio, con la perdita del potere sulle politiche di spesa da parte dei Parlamenti a beneficio di organismi tecnici ai quali viene demandato un giudizio preventivo sulle leggi finanziarie. Non si può negare quindi che questa UE stia modificando il suo profilo da a-democratico a antidemocratico. L’iper-liberismo economico non si coniuga più con un atteggiamento liberale nei diritti della persona, ma stabilmente con pulsioni populiste, reazionarie e xenofobe. Un esempio ci viene dall’Ungheria dove un capo di governo Viktor Orban, vicepresidente del Partito popolare europeo, adotta una legge contro la libertà di stampa e le minoranze linguistiche e religiose. Prima dell’Ungheria erano state ‘sdoganate’ al governo posizioni simili in Polonia coi gemelli Kaczynski (capo dello Stato e del governo) e in Austria con George Heider. In questa fase il primo compito del Partito e FdS è quindi contrastare le posizioni di coloro che individuano questa Europa e le sue istituzioni come fonte di modernizzazione politica, economica e sociale. Questa Europa è portatrice di un’ideologia retriva che Mario Monti ha ben sintetizzato nell’elogio delle ricchezza fatto in diretta televisiva. Ricchezza non vista come prodotto del lavoro, ma come sfruttamento delle risorse o rendita finanziaria o immobiliare. La campagna contro l’Europa dei banchieri e dei burocrati e per un Europa della democrazia e dei popoli va costruita su due versanti: uno per il rilancio dell’economia reale contro la finanza e uno per lo stato sociale e i beni comuni. Sul primo dobbiamo trovare alleati nel Sindacato per il rilancio di politiche industriali con produzioni a maggior valore aggiunto e compatibili con l’ambiente. Sul secondo dobbiamo lanciare un movimento di enti locali contro l’Europa delle privatizzazioni. In questo quadro credo sia prioritario sostenere l’assemblea del 28 gennaio lanciata dal Sindaco di Napoli, per la rete dei Comuni per i beni comuni. Non sfuggono i limiti dell’iniziativa: perché andrebbe precisata un po’ la nozione di bene comune, perché si scorge talvolta in De Magistris una pulsione anti-partito e quindi personalistica. Con tutti questi limiti però si tratta di un impegno necessario perché sui Comuni si stanno scaricando tutte le nuove imposte e tutti i tagli: dal welfare, ai trasporti pubblici, ecc. L’ultima proposta da mettere in campo riguarda le giovani generazioni perché l’abilità della Fornero dopo la contro-riforma pensionistica è riaprire lo scontro generazionale tra lavoratori ‘privilegiati’ e giovani precari senza diritti.

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Roberto Sconciaforni

Sarebbe un errore ritenere che la giusta linea politica che ci siamo dati al congresso, unita al malessere sociale crescente conseguenza delle politiche del governo Monti, comportino un automatico aumento della nostra efficacia e della adesione al nostro partito.
Ritengo, anzi, ancora forte il divario tra le potenzialità politiche, che una situazione sociale come quella che viviamo dovrebbe comportare per una forza di sinistra collocata nettamente all’opposizione del governo e le reali adesioni che stiamo raccogliendo.
Il tema che dobbiamo porci è come colmare questo divario e dare più efficacia alla nostra iniziativa.
Il primo elemento da tenere in considerazione è che sebbene forti comincino ad essere le mobilitazioni o le resistenze nel paese, esse sono ancora molto al di sotto di ciò che la gravità della situazione richiederebbe.
Paradigmatica la sostanziale inerzia complessiva che ha accolto l’espulsione della FIOM dalla FIAT, voluta da Marchionne e totalmente avvallata dal governo.
La seconda considerazione attiene al lungo e difficile lavoro che dobbiamo continuare per costruire la nostra presenza nei vari conflitti che si stanno sviluppando, a partire da quelli legati al mondo del lavoro (fabbriche in crisi, licenziamenti) cercando di costruire una presenza organizzata e di sedimentare quei conflitti, fino alle mobilitazioni che dovremmo sviluppare contro la privatizzazione in atto dei servizi pubblici locali, sfregio clamoroso alla volontà popolare dei referendum di giugno.
Infine ritengo essenziale saper intrecciare la giusta radicalità delle nostre analisi, intesa come capacità di sapere analizzare fino in fondo i processi economici e sociali che attraversano il paese, con la capacità di creare tutte le convergenze politiche possibili su progetti alternativi a quelli oggi dominanti.
Vanno cioè rigettate posizioni settarie o di autosufficienza e va ricercata con convinzione la costruzione di iniziative unitarie con le la tre forze politiche e sociali, anche valorizzando le dialettiche presenti negli altri soggetti.
Considerare le nostre analisi come recinti dentro cui trincerarci in attesa di diventare riferimenti politici è l’esatto opposto di quello che serve: costruire una massa critica, attorno ad un polo di sinistra, capace di modificare l’ordine esistente.

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Sandro Targetti

Come praticare l'opposizione al Governo Monti, un governo “costituente” destinato a modificare in profondità il quadro sociale e politico, diventa decisivo per aprire spazi nuovi ad una sinistra anticapitalista che scelga in concreto di essere indipendente ed alternativa al governo delle banche. E' questa la condizione per tornare ad essere riferimento credibile nei conflitti sociali, impedire una nuova deriva populista-reazionaria e incidere sulle contraddizioni dello stesso centrosinistra.
Il sostegno del PD al Governo Monti sta producendo grossi problemi al suo interno e nei rapporti con il movimento sindacale, ma lo scontro in corso non produce di per sé opzioni alternative. Lo si vede in generale sulle questioni del debito, dei rapporti internazionali, delle grandi opere e dei beni comuni. Lo si è visto anche a Firenze dove nessun consigliere PD ha avuto il coraggio di dissociarsi dal Sindaco Renzi sulla privatizzazione dell'azienda di trasporto pubblico ATAF.
Non basta fare il tifo per le lotte, è sempre più urgente una chiara scelta di campo, che non vedo nella relazione del segretario che da un lato ripropone la necessità di una sinistra di alternativa, ma dall'altro omette la questione dei rapporti col PD ed il centrosinistra, continua a non fare i conti con lo stato reale della FdS, a non individuare gli interlocutori sociali e politici su cui costruire un ampio fronte di resistenza alla crisi.. Aver convocato in dicembre una iniziativa nazionale della FdS il giorno successivo a quella dell'assemblea “No Debito”, testimonia un atteggiamento contraddittorio rispetto a quel movimento, emerso anche nel dibattito del CPN.
In vista delle prossime amministrative, non possiamo riproporre il solito copione, ma lavorare decisamente alla costruzione di schieramenti alternativi alle forze che sostengono il Governo Monti, che pongano alla base del programma i bisogni sociali, le lotte operaie, il rifiuto di pagare il debito e di privatizzare i servizi pubblici.

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Arianna Ussi

Compagni, il congresso è ormai terminato, e dobbiamo investire tutte le nostre energie sulla ricostruzione del partito in una fase difficile coe quella attuale, che vede acuirsi l'aggressione al mondo del lavoro ed ai diritti dei lavoratori. Il governo Monti sta mettendo in pratica la fuoriuscita della Costituzione dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro. Il caso della FIAT di Pomigliano, dov'è stata attuata una vera e propria estromissione della FIOM dalla fabbrica, non solo è paradgmatico in questo senso, ma costituisce un pericoloso precedente a cui dobbiamo opporci con forza.
In questo scenario, si moltiplicano le vertenze nel paese, cresce la rabbia e la paura dei lavoratori, ma non si è sviluppato un movimento sindacale di massa, anche per responsabilità della CGIL la cui assenza, se si eccettua la FIOM, pesa in maniera considerevole sullo sviluppo del movimento stesso dei lavoratori e sulla possibilità di connettere le lotte. Per questo, il nostro partito non solo deve fare da pungolo al sindacato, ma deve soprattutto strutturare un intervento forte di radicamento nei luoghi di lavoro e di innalzamento della coscienza politica dei lavoratori, e, nello stesso tempo, deve fornire risposte concrede e credibili ai soggetti colpiti dalla crisi che si inseriscano in una proposta generale di modello di sviluppo alternativo al capitalismo.
In questo quadro fatto di tagli, privatizzazioni e attacchi ai diritti dei lavoratori, un tassello fondamentale è costituito dal Mezzogiorno, dove le contraddizioni sono più forti ed esasperate dalla presenza della criminalità organizzata, dove l'atavico problema della disoccupazione si accompagna al dilagare del lavoro nero e del precariato, e dove lo smantellamento di importanti realtà industriali, con conseguenti licenziamenti ed il ricorso massiccio alla cassa integrazione, rendono necessario un intervento forte del nostro partito. Occorre aprire una vertenza meridionale che si inserisca nella più generale costruzione dell'opposizione al governo Monti.
Un altro settore su cui il partito deve investire è quello della formazione. I nostri militanti hanno bisogno degli strumenti analitici e critici per leggere la realtà e per dare un contributo anche sul piano dell'elaborazione della proposta politica. Il partito deve farsi carico di questo impegno e porsi l'obiettivo di realizzare l'ideale gramsciano dell' intellettuale collettivo.
Infine, c'è bisogno di intensificare il nostro lavoro sul terreno dell'antifascismo, per far fronte alle derive reazionarie che la crisi impone, tanto sul piano degli attacchi alla Costituzione quanto sul dilagare di gruppi apertamente neofascisti che godono di ampia copertura politica ed economica da parte di esponenti del centro-destra. Va, pertanto, sostenuta e rilanciata lanostra attività nell'ANPI, nelle scuole ed anche nelle sedi istituzionali attraverso iniziative e ordini del giorno promossi dai nostri rappresentanti.

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