Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 09 - 10 marzo 2013

Documento respinto

La sconfitta di Rivoluzione civile e di Rifondazione comunista, che ne è stata parte fondante, ha dimensioni senza appello. Non basta quindi un sussulto d’orgoglio o uno sforzo volontaristico per mettersela alle spalle e tracciare una prospettiva credibile. È necessario rimettere in discussione l’intera strategia politica che ha guidato le scelte del gruppo dirigente in questi anni.

Il Cpn ringrazia i compagni e le compagne di Rifondazione Comunista per l’impegno mostrato e sottolinea come il risultato pesantemente negativo non può essere relazionato in alcun modo allo sforzo profuso in campagna elettorale, notevole e generoso come sempre.
Le cause della sconfitta sono puramente politiche. Il Cpn accetta pertanto le dimissioni della segreteria nazionale e si riconvoca da qui a un mese per avviare il percorso del congresso straordinario da tenersi entro l’estate del 2013.

L’analisi del voto

Il dato che ci consegnano le elezioni del 24-25 febbraio è quello di una vera e propria crisi di sistema che non viene raccolta dalle forze della sinistra alternativa come avviene nel resto d’Europa. I governi europei, la Bce e il Fondo monetario, i mass media internazionali chiedono a gran voce un “governo stabile” che difficilmente otterranno.
Il Partito democratico, che poche settimane fa pareva sicuro della vittoria, perde tre milioni e mezzo di voti rispetto al 2008 e vince alla camera di un soffio.
La sconfitta più bruciante è tuttavia quella di Monti e della sua “lista civica”. Una vera e propria disfatta della grande borghesia che ha sostenuto questa operazione, nella quale Monti fagocita l’Udc che precipita sotto al due per cento e Fli che sparisce dal parlamento.
Da più parti si cerca di evidenziare come questo voto sia la riprova dell’ignoranza degli italiani, che votano a destra e per l’antipolitica. Insomma, un “popolo bue” non degno della raffinata cultura del progressista medio. Questo tipo di argomentazione servono solo ad assolvere i gruppi dirigenti della sinistra dalle loro pesanti responsabilità.
In verità i dati nudi e crudi ci raccontano ben altro. Il Pdl ha perso nel giro di cinque anni ben sei milioni e mezzo di voti. La Lega nord un milione e 600mila. Ambedue i partiti dimezzano i consensi, mentre l’estrema destra (considerando anche il partito di Storace) passa da un milione a circa 400mila voti.
Non c’è stato dunque un recupero della destra, per quanto Berlusconi sia riuscito a fermare il declino che fino a pochi mesi fa sembrava inarrestabile. Le elezioni del 24-25 febbraio le ha perse il centrosinistra. Questo voto è il risultato di 15 mesi di governo tecnico, di “unità nazionale” che ha visto i principali partiti presenti in parlamento votare, compatti e allineati, attacchi micidiali ai diritti e alle condizioni di lavoro della classe operaia, alla sanità, all’istruzione, allo stato sociale. È il frutto degli otto milioni di indigenti, dei due milioni di bambini poveri, di un tasso di disoccupazione che è ormai al 12%, dei quattro milioni di precari che vivono con salari da 800 euro al mese (in media).
In realtà quello a cui abbiamo assistito è un voto di massa contro le politiche di austerità, contro l’Europa dei sacrifici, contro la trojka. Si tratta a tutti gli effetti di un voto contro il sistema e in particolare contro il sistema politico. Il Movimento 5 Stelle diventa il primo partito alla camera con quasi 8 milioni e 700mila voti. L’operazione di Grillo è vincente perchè pur privo di un’alternativa anti-liberista, riesce ad evocarla nella percezione di massa, riproponendo alcune delle rivendicazioni principali dei movimenti di questi anni, dal No Tav in Valsusa (dove Grillo ottiene quasi ovunque oltre il 40%) al No Muos in Sicilia (dove raddoppia i voti rispetto all’ottobre scorso, totalizzando il 30%) alla battaglia per l’acqua pubblica, al reddito di cittadinanza, mischiando il tutto con un programma interclassista contro la “casta” e per la difesa della piccola e media imprenditoria. In questo modo occupa lo spazio lasciato libero a sinistra. La stessa Sel, se anche ottiene un cospicuo drappello di parlamentari (grazie alle distorsioni del porcellum), viene relegata al 3%, molto al di sotto delle aspettative, e paga la propria subalternità a Bersani, emersa con grande chiarezza nel corso della campagna elettorale.

Il fallimento di Rivoluzione Civile
Gli slogan che hanno caratterizzato Rivoluzione Civile e Ingroia (che oltre al simbolo ha monopolizzato anche gli spazi televisivi a disposizione della lista) erano “il coraggio” e “il cambiamento”, con un giustizialismo strisciante, la quasi totale assenza di riferimenti al mondo del lavoro e alla necessità di un’alternativa al capitalismo. Un problema che non poteva essere risolto con la presenza di qualche operaio in lista, per giunta selezionato dall’alto e senza un confronto con le realtà di lotta e i collettivi di provenienza, come è avvenuto per altro con tutte le candidature della cosiddetta “società civile”.
La campagna elettorale del candidato premier è stata ai limiti dell’analfabetismo politico, dapprima alla rincorsa di Grillo quando pareva che il suo movimento vivesse una battuta d’arresto, poi, quando su quel fronte si è alzato un muro invalicabile, proponendo Rivoluzione civile come una brutta copia di Sel, rivendicando l’accordo col Pd, aprendo all’ipotesi di fare il ministro in un governo Bersani, fino all’ineguagliabile “se perdo potrei tornare in Guatemala”.
Le responsabilità del gruppo dirigente di Rifondazione Comunista sono gravi. Quindici mesi fa, in coincidenza con le dimissioni di Berlusconi e l’insediamento di Monti, si era aperta l’opportunità di liberarsi delle pastoie che legavano il partito al centrosinistra (la linea del fronte democratico) e di lavorare, sia pure con grave ritardo, alla costruzione di un credibile punto di riferimento a sinistra, fuori e contro l’unità nazionale, che provasse a connettere politicamente il conflitto sociale che carsicamente continuava a manifestarsi nel paese.
Quello spazio è stato bruciato. Sei mesi sono stati consumati a fingere di tenere in vita il cadavere della Federazione della sinistra, i successivi sei mesi a improvvisare appelli, assemblee e costruzioni fittizie fino a “Cambiare si può”, nata e morta nel giro di un mese per approdare infine sotto l’ala di Ingroia.
Il codismo, l’eterna illusione che mettendosi “in scia” di qualcun altro si possa trovare la scorciatoia per apparire più forti o autorevoli di ciò che effettivamente si è, si è manifestato come vera e propria patologia del gruppo dirigente uscente. Ancora una volta si è dovuto apprendere che sul terreno elettorale i voti non si sommano e che mettendo assieme più debolezze non si ottiene una forza ma una debolezza ancora più grande.
Una lista che in definitiva è stata costruita con l’unico proposito di superare lo sbarramento del 4%, non solo non raggiunge l’obiettivo ma si ferma al 2,2% alla Camera (1,8% al Senato), molto al di sotto dei risultati ottenuti dalla Federazione della Sinistra nelle europee del 2009 e nelle amministrative degli anni successivi.
Oggi c’è chi parla di disastro e di sconfitta definitiva per la sinistra e di un mondo che va nella direzione sbagliata e si fanno paralleli con la Repubblica di Weimar. Ci opponiamo fermamente a questo tipo di posizioni. Il movimento operaio e la sinistra non sono affatto finiti e non lo saranno. Il conflitto sociale si riproporrà e sarà sempre più all’ordine del giorno. Il problema è soggettivo e va ricercato nelle scelte dei gruppi dirigenti e del nostro partito in particolare.
Il Prc deve fare un congresso vero. Non un dibattito improvvisato con qualche attivo in giro per l’Italia, ma un serio percorso di analisi, orientando i propri militanti in primo luogo verso le fabbriche, verso i giovani, per ascoltare e annodare un filo di dialogo che è stato interrotto da un gruppo dirigente che ha completamente abbandonato l’idea di poter radicare il partito nel conflitto di classe per dargli un riferimento e una espressione politica compiuta.
La situazione odierna è caratterizzata dalla scomparsa dallo scenario politico di qualsiasi espressione indipendente della classe. La ricerca di soluzioni magiche, il gettarsi a destra e a sinistra nella speranza di un miracolo, l’alternarsi di speranza e disperazione, la ricerca di salvatori, sono le classiche manifestazioni delle classi medie, della piccola borghesia e di un “popolino minuto” stritolato dalla crisi e privato di punti di riferimento.
Il riscatto potrà iniziare solo se invece di contemplare a bocca aperta questi fenomeni e di tentare di imitarli, sapremo innalzare la bandiera dell’indipendenza di classe, di una critica del sistema che sia fondata su una autentica visione rivoluzionaria (non “civile”…), di un conflitto che sappia esprimersi su tutti i terreni: sociale, sindacale, politico, ideologico.
Oggi la classe dominante si arrovella sulle possibilità di uscita da questa crisi di governabilità. Una crisi organica e strutturale che presto o tardi troverà una risposta nei movimenti di massa anche in Italia così come abbiamo visto in Portogallo, Grecia e Spagna. L’attuale crisi di governabilità non è niente rispetto al panico che proveranno quando a non essere governabili saranno le fabbriche e le piazze di questo paese. È a questo che ci dobbiamo preparare. È da questo che può ripartire la sinistra di classe nel nostro paese, se saprà farsi interprete del cambio epocale che si sta producendo sotto i nostri occhi. Non è questa la fase in cui una linea minimalista e gradualista, totalmente priva di audacia, può pensare di “tirare a campare”.
Ciò che di questo partito rimane ancorato a una prospettiva di classe può e deve trovare posto nella battaglia per il rilancio di un movimento che si ponga all’altezza dei compiti che la nuova situazione richiede, perchè la crisi del capitalismo non sbocchi nella barbarie ma nel rovesciamento di un sistema che non è più in grado di soddisfare i bisogni più elementari della popolazione.
Il Cpn considera chiusa l’esperienza di Rivoluzione Civile. È necessario lasciarci alle spalle una discussione stantia sui “contenitori” che si è mostrata fallimentare e potenzialmente liquidatoria del partito per affrontare il tema del rilancio della Rifondazione comunista attraverso un confronto sui “contenuti”.
La discussione del congresso deve ripartire dalla definizione di un programma anticapitalista, che metta al centro il tema dell’estinzione del debito, delle nazionalizzazioni, del controllo pubblico dell’economia, al fine di impedire che le masse popolari vengano stritolate dalla crisi.

Alessandro Giardiello, Sonia Previato.

chiudi - stampa