Partito
della Rifondazione Comunista Ricostruire la sinistra, per la rivoluzione democratica e il socialismo del XXI secolo Noi siamo oggi, all’indomani di gravi e cocenti sconfitte, nella straordinarietà di una fase contrassegnata da una gigantesca crisi capitalistica, a ripensare il senso e il progetto della rifondazione comunista, consapevoli della nostra debolezza, così come delle nostre ragioni. Sentiamo, di fronte alle barbarie prodotte dal neoliberismo, ancora più vivo il bisogno di comunismo e la responsabilità di non arrenderci. Ecco allora la necessità di una riflessione profonda, di una elaborazione collettiva al tempo stesso autocritica e propositiva, sul nodo della nostra efficacia nel produrre una modifica dei rapporti di forza, un cambiamento. Alla generosità di questa nostra comunità politica, alla passione di tante compagne e tanti compagni, dobbiamo lo sforzo di una proposta che restituisca senso all'agire politico e metta le basi per un profondo rinnovamento del Partito e dei suoi gruppi dirigenti. Qui si colloca la sfida della rifondazione comunista, della elaborazione di un pensiero dell'alternativa in grado di confliggere con questo capitalismo, con le sue attuali forme di sfruttamento e dominio. Il nostro partito ha una risorsa preziosa che, nonostante le sconfitte e gli abbandoni, è la nostra vera ricchezza. È quella rappresentata da decine di migliaia di compagne e compagne, moltissimi/e dei /delle quali interne/i a movimenti e realtà di lotta. Su questo corpo di militanti non si possono più sperimentare lotte intestine e congressi basati sullo scontro muscolare tra gruppi dirigenti, correnti e personalismi. I/le sottoscrittori/trici di questo documento si impegnano solennemente ad evitare che questo nostro congresso straordinario si trasformi in una conta interna, in emarginazione di compagni e compagne, in ricerca di capri espiatori sui quali scaricare le responsabilità di tutto il gruppo dirigente. Ci impegniamo ad un dibattito libero, non ingabbiato da appartenenze di tendenze o correnti, consapevoli della necessità di cominciare da questo punto l’innovazione del partito. 1 La crisi capitalista e il socialismo del XXI secolo Rana Plaza è il nome del palazzo crollato su se stesso a Dhaka, nell’aprile del 2013. Oltre mille morti, la più grande strage di lavoratori/trici di sempre. Lavoravano per meno di trenta euro al mese. Non producevano merci per i mercati del terzo mondo, ma per i grandi marchi della moda mondiale, inclusi gruppi italiani. Questo è oggi il capitalismo, la sua faccia reale, nascosta dalla pubblicità. Questa è la delocalizzazione produttiva e la libertà di sfruttamento derivante dal processo di globalizzazione capitalista. Nel mezzo della più grande crisi capitalista dal ‘29 in poi, e nella “vecchia” Europa, si continua a morire nei luoghi di lavoro, ma anche di non lavoro e precarietà. In Grecia come in Italia, aumentano i suicidi dovuti a cause economiche. Crescono disoccupazione e povertà, infelicità e depressione. Sono gli effetti collaterali dell’austerità, delle ricette imposte dalla Trojka europea, che autorizzano i Greci a consumare merci scadute per non morire di fame, pur di continuare a pagare gli interessi sul debito alle banche e agli speculatori della finanza internazionale. Sull’altare del capitalismo-casinò, in Europa si sta pezzo per pezzo smontando il sistema di welfare e di civiltà costruito dopo la seconda guerra mondiale. Eppure l’umanità, per la prima volta nella sua storia, sarebbe nella condizione di poter uscire dallo stato di necessità. Lo sviluppo della scienza, della tecnica, della produttività del lavoro, ci consegnano una realtà in cui sarebbe possibile affrontare positivamente i principali problemi degli uomini e delle donne del pianeta in termini di diritto universale all’alimentazione, all’abitare, alla salute e all’istruzione, al lavoro. Il diritto di tutti e tutte a poter vivere liberi dal bisogno e dignitosamente. Il sistema capitalista non è però in grado di realizzare questo passaggio. La crisi non è che il manifestarsi del carattere regressivo dei rapporti sociali capitalistici, che determinano una gabbia che impedisce al genere umano di uscire dalla condizione di schiavitù dal bisogno. L’enorme ricchezza sociale, invece che essere utilizzata per il soddisfacimento dei bisogni dell’umanità, è imprigionata in relazioni sociali basate sulla ricerca del massimo profitto a breve. Assistiamo così a inedite diseguaglianze sociali, alla distruzione crescente della natura, alla tendenza permanente alla guerra. Negli stessi paesi occidentali assistiamo ad una regressione della civiltà, con la messa in discussione della stessa democrazia, del welfare, del diritto al lavoro e nel lavoro, con l’aumento dell’emarginazione sociale e delle povertà. La crisi non è quindi un incidente di percorso, ma è il frutto del pieno dispiegarsi della vittoria del capitale su scala globale. Contro questa regressione sociale vi sono vari movimenti di lotta, che sono emersi e cresciuti, anche se la consapevolezza del carattere regressivo del capitale è oggi assai diversificata. In queste contraddizioni si ripropone l’attualità del marxismo al fine di spiegare i meccanismi strutturali del sistema capitalistico che sono alla base della crisi, di interpretarne le cause e indicare possibili alternative. Parimenti il comunismo acquista piena attualità, perché solo la fuoriuscita dai rapporti sociali capitalistici può evitare la barbarie sociale, la regressione dell’umanità e la devastazione dell’ambiente. Per questo siamo per la rifondazione comunista. Perché vogliamo apprendere dal fallimento dei primi tentativi di fuoriuscita dal capitalismo, per continuare nella lotta per una società di libere/i e di eguali, che superi il patriarcato e attui il pieno rispetto della natura. Chiamiamo questo nostro rinnovato progetto di trasformazione sociale Socialismo del XXI secolo. L’egemonia neoliberista e del pensiero unico ha fondato la sua forza anche sul progressivo presentare qualsiasi scelta di carattere politico, sociale ed economica come neutrale, di natura essenzialmente tecnica e senza alternative. Non è un caso che le forze apparentemente antisistemiche ne riprendano il tema di fondo, individuando la soluzione alla crisi attraverso la sostituzione della “politica corrotta” con indistinte capacità tecniche fondate sui curriculum e sulle competenze. È invece la centralità data al mercato, la cessione della sovranità popolare ai suoi presunti meccanismi equilibratori e neutri che va messa in discussione, riportando al centro la questione della giustizia sociale, della piena realizzazione del diritto di tutti gli esseri umani alla libertà, alla felicità e all’uguaglianza. La necessità quindi di porre la tecnica e le grandi capacità scientifiche al servizio del benessere collettivo e non solo del profitto. È il capitalismo il sistema da cambiare, non semplicemente i “suoi procuratori”. Un sistema, quello capitalista, intrinsecamente instabile e portato alla crisi, alla crescita delle disuguaglianze e alla guerra: alla contraddizione insanabile fra capitale e lavoro, si connette la contraddizione di genere e quella tra capitale e natura. In questo senso, l’attualità della proposta del socialismo del XXI secolo ricomprende la lotta al patriarcato e la questione ecologica e ambientale. Senza mettere in discussione i rapporti sociali e di riproduzione alla base dell’accumulazione capitalista non è possibile immaginare una riconversione ecologica della produzione e dell’economia, un processo di demercificazione che liberi l’umanità dall’alienazione e dallo sfruttamento. Affrontiamo questa battaglia per il Socialismo nel XXI secolo nella piena consapevolezza della nostra debolezza e della profondissima regressione sociale, culturale e politica che caratterizza l’Italia di oggi. La consapevolezza della nostra debolezza è però per noi motivo di sprone e non di annichilimento. Siamo indeboliti ma non ci siamo arresi. Con la crisi si è aperta una fase nuova, e noi riteniamo di essere in grado di indicare la strada attraverso cui uscirne. Per questo, nella consapevolezza dei nostri limiti, ma anche che nulla d’irreversibile è accaduto, vogliamo provare e riprovare, per giocare da protagonisti la partita dell’uscita dalla crisi. Una partita che è aperta ai drammatici esiti della barbarie come a quelli - per cui ci battiamo - del socialismo. Il rilancio del Partito della Rifondazione Comunista, la costruzione di una sinistra anticapitalista di popolo e la definizione di un percorso di uscita dalla crisi che si faccia movimento di massa, sono quindi i tratti fondamentali del nostro progetto politico. Un progetto politico chiaramente alternativo alle varie proposte di centro destra e centro sinistra di gestione della crisi nel recinto delle politiche neoliberiste. Un progetto politico per cui val la pena spendere la propria esistenza. 2 La crisi, la sua natura e i suoi effetti “La speculazione di regola si presenta nei periodi in cui la sovrapproduzione è in pieno corso. Essa offre alla sovrapproduzione momentanei canali di sbocco, e proprio per questo accelera lo scoppio della crisi e ne aumenta la virulenza. La crisi stessa scoppia dapprima nel campo della speculazione e solo successivamente passa a quello della produzione. Non la sovrapproduzione, ma la sovraspeculazione, che a sua volta è solo un sintomo della sovrapproduzione, appare perciò agli occhi dell’osservatore superficiale come causa della crisi. Il successivo dissesto della produzione non appare come conseguenza necessaria della sua stessa precedente esuberanza, ma come semplice contraccolpo del crollo della speculazione”. Il contesto in cui operiamo è quello della crisi del capitalismo, cioè dell’impossibilità del capitale di valorizzare se stesso compiutamente. Si tratta di un fatto di portata storica. La globalizzazione neoliberista ha rappresentato la reazione capitalistica al ciclo di lotte del movimento operaio negli anni ‘70, alla sua incapacità di dar luogo a una transizione fuori dal capitalismo. Questa reazione, definibile come rivoluzione restauratrice, ha imposto, negli ultimi due decenni del secolo scorso, anche a seguito dei cambiamenti geopolitici conseguenza del crollo del sistema sovietico, la piena ripresa del comando sulla forza lavoro da parte del capitale. Per “globalizzazione capitalistica e neoliberista” noi intendiamo un enorme processo di finanziarizzazione dell’economia, realizzato attraverso una crescita imperiosa del capitale finanziario e delle sue operazioni, permesse dalla progressiva cancellazione delle regole e dei vincoli vigenti nella fase precedente, sia negli scambi monetari e nella libertà di movimento dei capitali, sia relative alla natura delle banche e alla rigida separazione del risparmio dalle operazioni speculative. Una progressiva liberalizzazione del commercio internazionale e una conseguente ristrutturazione della produzione su scala globale, che hanno prodotto una crescita esponenziale delle società multinazionali e un’estrema concentrazione di capitali in un numero sempre più ristretto di esse. Parallelamente si sono affermati centri decisionali sovranazionali, direttamente gestiti dal personale del capitale finanziario e delle società multinazionali e da organizzazioni intergovernative, come il Wto e l’Ocse, esterne al sistema delle agenzie delle Nazioni Unite. In altre parole, hanno rovesciato il sistema scaturito dalla crisi del ‘29 e dalla seconda guerra mondiale, che prevedeva esplicitamente di impedire che la pura logica del mercato producesse una competizione esasperata e squilibri forieri di guerre, oltre che la crescita infinita della forbice tra ricchi e poveri fra le regioni mondiali, fra gli stati e all’interno degli stati, e dalle limitazioni sulle libertà di movimento dei capitali, siamo passati al dominio assoluto del mercato su tutto. La globalizzazione neoliberista ha visto ripetersi negli anni varie crisi finanziarie, ogni volta più vaste e profonde, fino all’esplosione della crisi sistemica nel 2007/2008, che è crisi dell’economia reale, generata dalla sovrapproduzione e della caduta tendenziale del saggio di profitto e dalla conseguente abnorme crescita della speculazione finanziaria. L’origine della crisi risiede nella piena vittoria del capitale nel corso degli ultimi decenni: da un lato vi è stata una crescita della massa salariale assai più lenta della crescita dei profitti, con una significativa riduzione dei salari reali – diretti ed indiretti - nei paesi occidentali. Questo ha determinato una crescita dei consumi assai più lenta della crescita della capacità produttiva e una vera e propria contrazione dei consumi nei paesi occidentali. Dall’altra parte, la speculazione finanziaria e il credito al consumo – che hanno rappresentato una prima risposta al problema della riduzione della domanda solvibile causata dai tagli salariali – hanno dato vita ad un sistema instabile, con la produzione di bolle speculative che sono state all’origine dell’innescarsi della crisi nel 2007/2008. La risposta alla crisi da parte delle classi dominanti è stata variegata a seconda dei paesi e delle aree geopolitiche, ma è riassumibile complessivamente nell’enorme aumento della concorrenza internazionale in un quadro di economie orientate all’esportazione. La risposta alla crisi è stata quindi un’accentuazione delle politiche precedenti e che alla crisi avevano portato. In particolare occorre segnalare come questa accresciuta competizione internazionale abbia portato contemporaneamente all’aumento degli intrecci e dell’interdipendenza finanziaria (come è dimostrato dalla natura sempre più globale delle crisi), delle contraddizioni e dei contenziosi economici tra le grandi aree. Con l’ultima crisi e con l’aumento della concorrenza mondiale è progressivamente entrata in crisi la globalizzazione capitalista. È sempre più evidente un aumento delle contraddizioni tra diverse aree geopolitiche, e la crescita dei Brics costituisce un significativo fattore di ridefinizione degli equilibri mondiali, oltre il segno di uno spostamento di equilibri economico-politici di portata storica, da Occidente a Oriente. Così come è venuta alla luce una contraddizione tra Paesi ed aree dove si concentrano capitali e sedi decisionali sottrattesi ad ogni sovranità popolare e paesi ed aree nei quali controllo pubblico delle risorse naturali, mercato interno, riduzione delle diseguaglianze e sovranità tornano ad essere elementi decisivi. Tutto ciò è ben visibile nei mancati accordi, in sede Wto, di liberalizzazione totale nei settori dell’acqua, della formazione e della sanità, nella nascita di accordi intergovernativi opposti al dominio capitalistico (come l’Alba). Se larga parte dei governi occidentali ristrutturano i propri territori e modelli sociali secondo i meri interessi del mercato finanziario, nell’esperienza latinoamericana siamo invece in presenza di governi progressisti che tentano di sviluppare i mercati interni e di promuovere, pur in condizioni estremamente difficili e non senza contraddizioni, una drastica riduzione delle diseguaglianze, un autentico controllo delle politiche monetarie, economiche e delle materie prime e, tendenzialmente, un proprio coordinamento. Sono le economie dove l’intervento pubblico in economia non è stato espropriato dai mercati finanziari, infatti, ad aver subito minori effetti recessivi e ad aver in questi anni continuato a sostenere la domanda mondiale, riducendo in parte gli effetti della crisi. 3 La crisi e la tendenza alla guerra dell’imperialismo La crisi della globalizzazione neoliberista si coniuga con la crisi del dominio unipolare degli Usa. Il ciclo iniziato con la caduta del muro di Berlino è entrato definitivamente in crisi con l’impossibilità statunitense di gestire in modo unilaterale la crisi siriana. Siamo oramai di fronte ad un mondo multipolare che si ristruttura per aree d’influenza geopolitica. In questo contesto si può meglio comprendere sia la volontà di stipulare un nuovo trattato di liberalizzazione del commercio bilaterale fra Usa ed Ue (il Transatlantic Trade and Investment Partnership), sia tutta la politica militare occidentale dopo la caduta del muro di Berlino. Il rilancio e l’espansione della Nato come gendarme mondiale a scapito della funzione storicamente prevista per l’Onu, le ripetute guerre fino alla teorizzazione della “guerra permanente”, il piano di nuovo medio oriente e la rinnovata e rilanciata presenza militare Usa in Asia e America Latina, non sono altro che scelte politico militari, strategiche, egemoniche dei paesi più ricchi. I paesi imperialisti tentano in questo modo, in una crisi che per sua natura spontanea sta ridisegnando le gerarchie mondiali a loro danno, di mantenere inalterata sia la propria posizione privilegiata nella divisione internazionale del lavoro, sia il proprio dominio politico. È il caso delle guerre in Medio Oriente. Le crisi che stanno attraversando il mediterraneo nascono dal fallimento del modello neoliberista, dove si confrontano grandi movimenti popolari e il tentativo da parte statunitense e delle maggiori potenze europee, di ricostruzione di un equilibrio nel vicino oriente sotto loro tutela o attraverso i loro alleati regionali, come Qatar, Arabia Saudita e Turchia. In questi Paesi le forze dell’islam politico si sono affermate, in quanto attori ben organizzati e dotati di un’ampia base sociale, in modo particolare la fratellanza musulmana. Ma, come dimostra il caso egiziano, si tratta di situazioni tutt’altro che stabilizzate, in cui gli scontri di potere in atto non risolvono il tema di fondo di un’alternativa al modello neoliberista che ha creato le condizioni per l’esplosione sociale alla base delle rivolte. Le forze progressiste e di sinistra, che hanno giocato un importante ruolo iniziale nei movimenti, si trovano ora strette tra la reazione dei vecchi regimi e la volontà di affermare un nuovo modello autoritario e settario da parte delle forze islamiste. È quindi quanto mai necessario rafforzare la cooperazione con queste realtà. Gli sconvolgimenti in atto non sono di breve durata, né destinati ad una facile soluzione. In questo quadro di enorme instabilità, la crisi della globalizzazione capitalista porta a un ritorno della politica di potenza, e alla guerra come pericolo sempre più concreto. È il caso delle ultime avventure belliciste, come la Libia e la Siria, dove riemergono, accanto alla potenza statunitense, le pulsioni neocoloniali di paesi come Francia e Gran Bretagna, enfatizzando l’inesistenza di qualsiasi posizione europea. La lotta per la pace, contro la guerra e l’imperialismo è per questo un elemento decisivo e fondante la nostra azione e la nostra identità. 4 L’Europa da cambiare “L'esito delle elezioni italiane, e altri fattori come la spinta francese a una monetizzazione del debito da parte della Bce, non hanno alcun impatto sull'unità di intenti dell'Europa verso le riforme. Molti dei processi di risanamento continueranno ad andare avanti con il pilota automatico”. (Mario Draghi, presidente della Bce). 5 Disobbedire all’Unione Europea La strada che noi individuiamo per combattere l’Europa dell’austerità e neoliberista è quella della disobbedienza unilaterale ai trattati, riguadagnando elementi di sovranità nazionale che permettano di modificare le politiche economiche qui ed ora e di rimettere in discussione i trattati vigenti. La disobbedienza ai trattati è anche l’unica strada, unitamente alla costruzione di coalizioni sociali e fra paesi del sud, per obbligare le classi dirigenti dei paesi come la Germania – che da questa situazione stanno traendo forte profitto – a ricontrattare complessivamente il funzionamento dell’Europa. La disobbedienza attiva e unilaterale permette nell’immediato di ricostruire margini di sovranità sulle scelte economiche e monetarie e, nel contempo, apre una possibile strada per una modifica radicale degli attuali assetti dell’Unione Europea. Occorre quindi superare ogni mistica dell’Europa perché questa Europa non è un bene comune: questa Europa deve essere scardinata a partire dai trattati che ne regolano il funzionamento. 6 La crisi e l’Italia Dentro il quadro generale della crisi sistemica che stiamo vivendo, la situazione del nostro paese è particolarmente grave. Le politiche neoliberiste attuate nel corso della seconda repubblica hanno aggravato le debolezze strutturali del sistema economico e produttivo italiano, rendendolo sempre più marginale nel contesto europeo, e hanno accentuato le disuguaglianze sociali e territoriali: la crisi economica è diventata così una crisi sociale e morale, che sgretola ogni forma di solidarietà. 7 Monti e Letta governi costituenti In questo contesto di crisi organica della seconda repubblica, i governi Monti e Letta, imposti sotto la tutela del Presidente Napolitano, segnano un vero e proprio salto di qualità nella loro caratteristica di governi costituenti. 8 Le ragioni di una sconfitta “I partiti politici sono il riflesso e la nomenclatura delle classi sociali. Essi sorgono, si sviluppano, si decompongono, si rinnovano, a seconda che i diversi strati delle classi sociali in lotta subiscono spostamenti di reale portata storica, vedono radicalmente mutate le loro condizioni di esistenza e di sviluppo”. (Antonio Gramsci). a) La fine del sistema elettorale proporzionale e la nascita di un sistema elettorale bipolare, di una inedita spettacolarizzazione della politica e di un leaderismo esasperato prodotto dai mass media. La sinistra è nata e si è rafforzata in Italia nel contesto di un sistema proporzionale. Questo ha permesso la costruzione di saldi legami sociali, di un grande accumulo di forze. Il Pci è diventato un “paese nel paese”, per usare la formula di Pasolini, in quel contesto, in cui le lotte sociali, il sindacato e il Pci stesso hanno cambiato l’Italia dall’opposizione. Il sistema bipolare, nella sua semplificazione a gestione moderata ha continuamente posto la sinistra di alternativa nella condizione di dover scegliere se fare alleanze elettorali con la sinistra moderata e poi pagarne le conseguenze in termini di mancati risultati o se “rompere” e trovarsi accusata di favorire le destre. È proprio il bipolarismo alla base di tutte le scissioni che vi sono state a sinistra negli ultimi vent’anni ed è anche alla base della crisi di Rifondazione Comunista. Proprio la costruzione di un sistema politico di alternanza tra simili si è saldata ad una esasperazione dei toni del confronto politico ed a una sua teatralizzazione. La politica come costruzione sociale, come percorso di emancipazione collettiva, è stata sussunta in una delega progressiva allo schieramento e all’uomo della provvidenza. b) La ratifica del trattato di Maastricht, la nascita della moneta unica, il pieno dispiegarsi delle politiche neoliberiste e la perdita di ogni sovranità sulle politiche economiche. Questi passaggi hanno progressivamente tolto potere al parlamento italiano e – nel regime dell’alternanza – reso “naturali” le politiche di austerità. In questo quadro è maturata una verticale crisi di fiducia nella politica che si nutre dell’osservazione che chiunque governi – sul piano delle politiche economiche e sociali – non cambia quasi nulla. e) I processi di precarizzazione del mercato del lavoro che hanno integralmente cambiato la faccia del lavoro subordinato. Mentre il sindacato diventava concertativo, una parte sempre più estesa del mondo del lavoro – in particolare giovanile – usciva dall’area del lavoro tutelato. Su questo si è creata una vera e propria frattura sociale e generazionale che ha reso sempre più difficile l’unificazione del mondo del lavoro con effetti pesantissimi sulla capacità di mobilitazione e sul rapporto con la politica. f) La colonizzazione dell’immaginario da parte delle televisioni commerciali che hanno cambiato la cultura politica del paese e il suo sistema di valori. La svalorizzazione del pubblico a favore del privato, l’assolutizzazione dell’individualismo proprietario a scapito di ogni visione collettiva e solidale, l’assolutizzazione dell’apparire a scapito dell’etica pubblica e individuale e oggi la riduzione della politica a scontro tra uomini della provvidenza sono diventati senso comune dell’Italia, il paese europeo che più ha subito i meccanismi dell’americanizzazione. Se si pensa che Striscia la notizia è il “telegiornale” più seguito da vent’anni, si capisce perché la crisi sociale possa dar luogo al successo di Grillo e non alla crescita del conflitto sociale e della sinistra. Da questo contesto degenerativo del sistema politico italiano il Prc non è rimasto indenne ed ha subito, nonostante non abbia mai abbandonato la propria natura antagonista e di classe, gravi condizionamenti dovuti all’egemonia dominante. Collocare le nostre difficoltà nel contesto sopra descritto non significa eludere il tema degli errori compiuti o giustificare i nostri limiti. Crediamo, infatti, che vada fatto innanzitutto un bilancio critico dell’esperienza da Chianciano in poi. 10 Il nostro progetto La migliore comprensione del contesto in cui ci troviamo ad operare quale condizione per fare i conti con le nostre insufficienze ed i nostri errori, ci porta a mettere al centro del congresso la necessità di una svolta, di ridefinire il senso di fondo del nostro progetto strategico, della nostra ragion d’essere come Partito della Rifondazione Comunista. a) La redistribuzione del potere dall’alto in basso, intrecciando democrazia rappresentativa proporzionale, democrazia diretta, controllo operaio, gestione partecipata dei beni comuni, intervento pubblico in economia, piena sovranità del popolo sulla moneta. Questo richiede la radicale messa in discussione dell’Unione Europea e la piena difesa e attuazione della Costituzione repubblicana. b) La redistribuzione del reddito dai ricchi ai poveri, dalla rendita e dal profitto al lavoro e ai diritti di cittadinanza. L’istituzione del reddito minimo garantito. c) La redistribuzione del lavoro attraverso la radicale riduzione dell’orario di lavoro. d) La riconversione ambientale e sociale dell’economia. e) La costruzione di un’Europa dei popoli basata sul pieno impiego, sullo sviluppo dei diritti sociali e civili, su un modello di sviluppo basato sulla piena sostenibilità ambientale. g) La costruzione di un sistema mondiale basato sulla cooperazione economica e sulla pace, per la chiusura delle basi straniere e il superamento della Nato. 11 L’attualità della rifondazione comunista Io non ho fatto la scelta della politica. Io ho fatto la scelta della lotta per la realizzazione degli ideali comunisti. (Enrico Berlinguer). Per realizzare questi obiettivi riteniamo necessario rilanciare il progetto della Rifondazione comunista. Costruire un pensiero forte della rifondazione comunista, capace di farsi visione del mondo e passione collettiva, implica la costruzione di nessi nella teoria, nelle pratiche, nel conflitto, nelle relazioni. Connettere l’intensificazione dello sfruttamento del lavoro, con i processi di precarizzazione e sfruttamento dell’intera dimensione dell’umano, delle intere vite; connettere le persistenze e le trasformazioni capitalistiche con le persistenze e le trasformazioni patriarcali; connettere lo sfruttamento del lavoro con il processo di mercificazione e di recinzione del comune; leggere il volto neoautoritario e tendenzialmente totalitario di questo capitalismo nella espropriazione di sovranità e autodeterminazione. Dobbiamo, in sintesi, costruire una rifondazione comunista all’altezza dell’attuale struttura capitalistica e delle attuali forme di dominio. a) In primo luogo perché riteniamo che il terreno della rifondazione comunista sia il terreno della prospettiva strategica. L’incapacità del capitalismo di andare oltre i propri limiti e il suo trasformare la ricchezza dell’umanità in povertà sociali, distruzione della natura e guerra ripropongono il tema del superamento del capitalismo, del comunismo. Così come il fallimento delle esperienze del socialismo reale ci propongono il tema della rifondazione comunista a partire dal rapporto tra libertà e giustizia sociale. Per questo riteniamo strategica la proposta della rifondazione comunista, due termini che si qualificano a vicenda. Non abbandono del comunismo e non arrocco nella riproduzione del peggio della storia del movimento operaio. Quindi un patrimonio “storico” di cultura ed elaborazione politica che è necessario per la costruzione dell’alternativa. b) In secondo luogo, Rifondazione rappresenta la maggiore risorsa d’impegno politico, militanza e radicamento sociale della sinistra italiana. I compagni e le compagne di Rifondazione hanno mostrato negli anni una capacità di padroneggiare – pur con tutte le contraddizioni – i diversi livelli su cui si esprime l’iniziativa politica. Questo patrimonio di disponibilità, saperi e militanza, è indispensabile per costruire l’alternativa in Italia. c) In terzo luogo, Rifondazione Comunista ha costruito nel corso degli anni un’internità al movimento anticapitalista mondiale, come abbiamo fatto in maniera fondativa a partire dal movimento altermondialista di Seattle e Genova, e le sue relazioni strette con tutti i governi, partiti ed organizzazioni sociali antagonisti. In particolare il suo contributo alla formazione del Partito della Sinistra Europea e alla promozione e mantenimento dell’unità di tutte le forze della sinistra nel gruppo parlamentare della Sinistra Unitaria Europea (Gue). Questa internità al movimento mondiale antiliberista e alla sinistra europea sono fattori decisivi per l’alternativa: rappresentano il livello a cui è possibile porsi il tema della lotta al capitale oggi. d) In quarto luogo, un patrimonio di linea politica costruito in questi vent’anni: la consapevolezza della necessità di costruzione di una sinistra dotata di un proprio progetto culturale e politico autonomo, strategicamente alternativa al centro sinistra, con una linea di massa. 12 Il Piano del lavoro e per i beni comuni, per applicare e difendere la Costituzione La svolta di cui abbiamo bisogno è prima di tutto nella capacità di ridare centralità alla costruzione del conflitto sociale. A tal fine al centro della nostra proposta politica c’è la proposta del Piano per il lavoro e per un’economia ambientale e sociale. Non esiste possibilità di uscire dalla condizione di emarginazione politica se non attraverso un duro e profondo lavoro di radicamento sociale del partito e per la costruzione di un movimento di massa contro l’austerità. Questo pone il problema dell’unificazione dei conflitti e dei soggetti sociali che stanno subendo la crisi. La lotta di classe in questi anni si è esercitata in un'unica direzione, da parte del capitale contro il lavoro. Questo ha significato un’offensiva che ha scardinato diritti, come l’articolo 18, e attaccato i diritti costituzionali, come nel caso della Fiat. Allo stesso tempo vi è stata un’enorme redistribuzione di ricchezza dal lavoro alla rendita, con una erosione costante e continuata dei salari e del loro potere d’acquisto. L’idea di recuperare competitività all’Italia puntando sulla riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto è stata la linea di politica economica realmente applicata, insieme alla precarizzazione di massa e alla distruzione del sistema contrattuale. Attraverso la retorica della flessibilità, si sono nel tempo applicate riforme che hanno balcanizzato il mercato del lavoro. 13 Per un movimento di massa contro l’austerità, per una rivoluzione democratica in Italia e in Europa Chi non si muove non può rendersi conto delle proprie catene. Rosa Luxemburg 14 Il sindacato Nel lavoro sociale e politico per la ripresa del conflitto di classe assume un valore strategico il nostro intervento e la nostra relazione con il sindacato. Dobbiamo riconoscere che l'azione avuta negli anni da parte del Partito non ha saputo costruire una linea d’intervento efficace. Innanzitutto occorre ragionare su come qualificare la nostra presenza nella Cgil, che resta il più grande sindacato italiano, nonostante, con l'attuale gruppo dirigente, abbia intrapreso su un piano moderato la strada della rinnovata unità con Cisl e Uil e abbia determinato una inefficace collocazione di sostanziale subalternità al quadro politico delle larghe intese che non ha corrispettivi in Europa. Crediamo al contrario necessaria una svolta radicale, che metta al centro la lotta contro l'austerità e per la difesa dei salari e dei diritti, così come ha indicato l'iniziativa della Fiom in tutti questi anni. Basti pensare alla battaglia condotta contro la Fiat e il modello Marchionne che ha portato alla recente sentenza della Corte Costituzionale in materia di diritti e libertà sindacali. Quella sentenza chiede ora una battaglia politica per una legge sulla rappresentanza come diritto soggettivo delle lavoratrici e dei lavoratori: il diritto di votare per qualsiasi organizzazione sindacale e per la validazione di piattaforme e contratti, senza limitazione alcuna di agibilità del conflitto, superando gli evidenti aspetti critici e negativi dell’accordo del 31 maggio. Il tema della democrazia, della rigenerazione del sindacato a partire dal rapporto democratico con le lavoratrici e lavoratori è un nodo decisivo per affrontare la crisi di ruolo che il sindacato, inteso come autonoma rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori, conosce non solo nel nostro paese come effetto della globalizzazione capitalista, della sua crisi, e delle politiche che segnatamente in Europa le classi dirigenti stanno attuando. La distruzione del modello sociale europeo, insita in quelle politiche, passa attraverso la negazione di qualsiasi vincolo che non sia il primato dell’impresa e del mercato, attaccando perciò il ruolo e la stessa esistenza della contrattazione nazionale e di tutti i diritti conquistati nel dopoguerra dal movimento operaio, di cui è emblema l’articolo 8. I processi di precarizzazione e frammentazione del mondo del lavoro riducono per altro verso la copertura del contratto nazionale e mettono radicalmente in discussione il principio che a parità di prestazione debba corrispondere parità di retribuzione e di diritti. La ristrutturazione dei processi produttivi e del mondo del lavoro di questi anni produce un intreccio tra questione di classe e questione generazionale, che determina un tasso di sindacalizzazione sostanzialmente inesistente nelle giovani generazioni. Mai come oggi la ricostruzione della soggettività del lavoro passa dalla messa in discussione della subordinazione della condizione lavorativa al principio sovraordinante della competitività dell’impresa, passa dalla lotta contro l’austerità e le politiche di questa Europa, passa dalla costruzione di una piattaforma di ricomposizione del mondo del lavoro che parli alla precarietà e alla nuova composizione di classe. Senza questo rischia di affermarsi un modello di sindacato aziendalista e neocorporativo, la cui legittimazione non risiede più nella rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori ma nella gestione delle funzioni privatizzate del welfare da parte degli enti bilaterali. Auspichiamo quindi la costruzione di una sinistra sindacale che possa aprire una battaglia politica per rilanciare il ruolo di classe della CGIL su punti dirimenti la politica economica, sociale e contrattuale. D'altro canto, valutiamo positivamente e auspichiamo proseguano i processi di aggregazione che si sono sviluppati nel sindacalismo di base. Pur nella dimensione limitata, i sindacati di base hanno comunque saputo mantenere vivo un approccio conflittuale e di classe, che rappresenta una risorsa nella costruzione di un’alleanza politica e sociale contro l'austerità. 15 Una proposta per l’unità della sinistra Come abbiamo detto più volte Rifondazione Comunista è necessaria ma non sufficiente e per questo proponiamo di avviare un processo fondativo di un soggetto politico unitario della sinistra di alternativa. Riteniamo, infatti, che le frammentazioni e la divisione della sinistra italiana siano l’esito della radicale sconfitta sociale e politica degli ultimi decenni, ma anche dei nostri errori e limiti soggettivi. Nell’avanzare questa proposta siamo perfettamente consapevoli che i tentativi di riaggregazione che in questi anni abbiamo insistito a promuovere sono stati viziati da limiti soggettivi relativi alla natura stessa dei processi unitari messi in campo. Non si può costruire l’unità a partire da accordi di vertice fra organizzazioni ed aggregazioni che nel corso del tempo si sono divise, senza percorsi reali di condivisione democratica e partecipata di contenuti e priorità. Non si può costruire l’unità solo sulla base delle scadenze elettorali e meno ancora con l’unico obiettivo di superare quorum e sbarramenti con liste improvvisate ed espressione di equilibri incomprensibili ai più. Non si può costruire l’unità sulla base di pregiudiziali ideologiche od organizzative tese a pretendere scioglimenti, abiure ed ulteriori divisioni nelle già troppe organizzazioni esistenti. Non si può separare il processo di unificazione e aggregazione politica dai processi di costruzione e internità al conflitto sociale. L’unità politica è strettamente connessa alla costruzione di un movimento unitario contro il liberismo e l’attacco alla democrazia, di cui la manifestazione del 12 è il primo passo. Riteniamo pertanto che sia necessario fare un salto di qualità che non ripeta gli errori del passato. Per questi motivi il Prc propone alcune idee che ritiene utili per poter determinare il salto di qualità che tutte e tutti sentono necessario, anche sulla base di quanto accade nel resto d’Europa, con le positive esperienze di aggregazione di Syriza, del Front de Gauche, di Izquierda Unida. 1. È necessario avviare un processo fondativo di un soggetto politico unitario della sinistra sulla base della costruzione di una piattaforma antiliberista che delinei l’uscita a sinistra dalla crisi, che si connoti per l’autonomia e l’alterità rispetto al centrosinistra e al Partito Democratico, per il riferimento in Europa al Partito della Sinistra Europea e al Gue, per l’esplicito collegamento con le battaglie della Fiom, della sinistra della CGIL, del sindacalismo di base e dei movimenti di trasformazione. 2. È importante che tale soggetto assuma come centrale una piattaforma per la ricostruzione della sovranità popolare e la rifondazione democratica di ogni ambito della vita sociale e politica a partire dalla difesa e dall’attuazione della Costituzione. Dalla democrazia nei luoghi di lavoro, allo sviluppo della democrazia partecipativa e diretta, alla ripresa di un’iniziativa costante per il sistema proporzionale sul terreno della democrazia rappresentativa. 3. È indispensabile che il processo di costruzione di tale soggetto, non avvenga in modo verticista e pattizio, ma attraverso il coinvolgimento democratico e partecipato di tutte le persone concordi con gli obiettivi unitari, sulla base del principio “una testa, un voto”; che il soggetto unitario abbia piena titolarità sulla rappresentanza elettorale; che le forze organizzate, locali e nazionali, che scelgano di attivarsi per il processo unitario senza sciogliersi, s’impegnino a non esercitare vincoli di mandato ed a garantire la libera scelta individuale nell’adesione al nuovo soggetto politico da parte dei propri iscritti e iscritte. E’ questa la proposta che mettiamo a disposizione del confronto – a partire dallo spazio pubblico di sinistra che auspichiamo nasca dall’iniziativa la “via maestra” – nella convinzione che il popolo della sinistra debba e possa costruire un nuovo soggetto politico unitario per la lotta, la partecipazione, la trasformazione. La proponiamo, nel contesto delle mobilitazioni sociali e sindacali e del percorso di mobilitazione avviato in difesa della Costituzione e del lavoro dall’appello “la via maestra”, sia ai tanti che non si rassegnano, ai comitati e alle associazioni che operano sul territorio, alle varie piattaforme che si sono costituite in questi mesi, da “Cambiare si può” ad Alba, a Rossa, a tutte le altre forze della sinistra politica, ribadendo anche a Sel l’invito ad abbandonare l’illusione che le ragioni e i contenuti che tutta la sinistra difende in Europa, possano realizzarsi nel centro sinistra e nel Partito socialista europeo. Lo facciamo nella consapevolezza che la gravità della situazione impone di dover far prevalere uno spirito di costruzione paziente, ma allo stesso tempo urgente per la natura della crisi che viviamo e netto sul piano della proposta e della collocazione politica. È necessaria la costruzione di una forza che sia in grado di rimettere al centro del dibattito politico la questione sociale e del lavoro, senza la quale non esiste possibile sbocco progressivo alla crisi. Noi riteniamo che questo percorso unitario vada avviato da subito e possa vedere nel passaggio delle elezioni europee un passaggio significativo: la nostra proposta è quella di costruire in modo democratico e partecipato una lista unitaria di sinistra, collegata esplicitamente alla Sinistra Europea e al Gue. Decisivi sono i tempi e i modi di costruzione di questa lista e noi diciamo da subito che non siamo disponibili a rifare accordi elettorali pasticciati all’ultimo momento: la lista unitaria deve essere il frutto di un processo trasparente e partecipato, non un cartello elettorale. 16 L’unità dei comunisti “Non il comunismo è crollato sotto le macerie dei regimi dell'Est, ma sono crollati i sistemi che rappresentavano la negazione dei nostri ideali. Il comunismo, nella nostra concezione, è l'orizzonte più elevato della libertà umana, è una speranza dell'umanità, in un mondo segnato dallo sfruttamento, dall'alienazione, dall'autoritarismo, dall'imperialismo, dalla guerra. Il nostro impegno è per una nuova società, per un nuovo ordine internazionale, fondato sulla pace, sulla giustizia e sulla libertà.” Appello dell'assemblea nazionale del Movimento per la Rifondazione Comunista. Roma, Teatro Brancaccio, 10 febbraio 1991. Da tempo esiste la proposta di riunificare i comunisti. Nell’ambito del lavoro di costruzione della sinistra di alternativa, facciamo nostra questa esigenza, tanto più che il nostro Partito - a differenza di altri soggetti - ha subito e non ha mai promosso scissioni. Coerentemente con quanto sostenuto in questo documento, noi riteniamo che l’unità dei comunisti può essere raggiunta se si rimuovono le cause politiche delle divisioni politiche passate o delle differenze di oggi, che sono le ragioni che hanno portato al fallimento della Federazione della Sinistra. Il tema dell’autonomia e dell’alternatività strategica al centro sinistra è in questo senso, un punto dirimente. Anche sulla base del recente fallimento della Fds, ci è chiaro che un partito politico non si costituisce su una base ideologica ma sulla base di una analisi di fase e di un progetto: ogni ipotesi di riunificazione non può essere presa seriamente in considerazione senza che sia sciolto in modo chiaro e netto il nodo politico dell’autonomia dei comunisti dal centrosinistra e la loro alterità al Partito Democratico. Noi riteniamo, infatti, che l’obiettivo dell’uscita dalla crisi necessiti della costruzione di una alternativa non solo alle forze conservatrici, ma anche alle forze legate al Partito Socialista Europeo e quindi al centrosinistra italiano. Il terreno su cui concretamente realizzare l’unità dei comunisti riteniamo sia quello della rifondazione comunista. Dopo lo scioglimento del Pci, la rifondazione comunista, intesa come riaffermazione del tema del superamento del capitalismo, del comunismo, e come volontà di fare i conti fino in fondo con il fallimento delle esperienze di socialismo reale, a partire dal rapporto tra giustizia e libertà, è stato il terreno di aggregazione di tutte le forze comuniste. Nella misura in cui vengano superate le divergenze politiche che si sono registrate in seguito, noi riteniamo che quello sia il terreno su cui si possa costruire una nuova unità dei comunisti e delle comuniste. Crediamo pertanto, al fine di lavorare a questo obiettivo, che sia necessario attivare da subito una nuova unità d’azione contro il governo delle larghe intese, contro la guerra e questa Unione Europea, e verificare sul terreno dell’iniziativa politica e sociale reale, e non quello idealistico dei desideri, la possibilità concreta di costruire un percorso di unità. 17 L’autonomia locale come presidio democratico e sociale È in atto una pericolosa controriforma neoliberista degli Enti Locali che punta a minare il loro ruolo come possibili “enti di prossimità”, capaci di garantire diritti costituzionali universali e di promuovere lo sviluppo di un’economia solidale. Le modifiche costituzionali già introdotte hanno creato confusione fra Stato e Regioni in termini di competenze, l’uguaglianza nella dotazione dei servizi è stata ridotta a “essenzialità” delle prestazioni erogate, mentre si è lavorato per lo stravolgimento del sistema impositivo e per l’alienazione dei beni pubblici. Nel contempo, il sistema delle autonomie locali è stato vessato da tagli giganteschi dei trasferimenti (in totale continuità fra Berlusconi, Monti e Letta). Il patto di stabilità interna ha indotto alla privatizzazione, all’esternalizzazione e all’aumento dei costi dei servizi. Queste iniziative hanno inoltre l’aggravante di aver disatteso i risultati del referendum sull'acqua pubblica. Tutto ciò si è abbattuto su una struttura istituzionale che, dai Comuni alle Regioni, è imperniata sul maggioritario, sull’elezione diretta dei capi degli esecutivi, sull’esautoramento dei consigli a vantaggio degli stessi esecutivi e sullo svilimento di ogni istituto partecipativo dei cittadini. La nostra presenza come Prc negli Enti Locali va perciò finalizzata ad alcune grandi priorità legate ai diritti dei cittadini e alla difesa di un modello democratico e partecipativo. Va superato il patto di stabilità interna, anche attraverso una campagna di disobbedienza per la sua non applicazione, per garantire risorse e restituire una maggiore autonomia di spesa. Nei servizi pubblici va garantita la gestione e la proprietà pubblica, riconoscendo l’autonomia degli enti locali nella scelta delle forme di gestione, rispettando l’esito referendario e affiancando agli organi di gestione strutture di controllo sociale con il coinvolgimento degli utenti. Va rilanciato il ruolo del pubblico e limitata l’influenza del privato, a partire dalle norme che regolano i piani regolatori. Le province vanno ridotte di numero, ma mantenendo gli organi di rappresentanza democratica. Nei territori vanno ricostruiti strumenti di partecipazione decentrati, dopo la quasi generale scomparsa delle circoscrizioni. Nelle decisioni relative ai bilanci e nelle scelte strategiche la consultazione (Bilancio partecipativo) della cittadinanza deve essere obbligatoria. Va modificata la legge 81/93 sul sistema elettorale locale, restituendo poteri ai consigli e reintroducendo un sistema proporzionale. Il Congresso deve essere occasione per una riflessione vera sui nostri limiti e criticità, sulle inadeguatezze soggettive, culturali, politiche e organizzative che sono un freno alla possibilità di dispiegare un’iniziativa efficace per incidere nella società. Oggi, nella crisi, è più che mai necessario un partito capace di costruire e connettere i conflitti, che riposizioni il proprio baricentro nel fare società, nella rottura della frammentazione e dell’impotenza, nella costruzione di soggettività e solidarietà. Oggi, nella crisi, è più che mai necessario un partito capace di un progetto collettivo, di elaborare la critica dell’esistente e riattualizzare una prospettiva di trasformazione, facendola vivere nella realtà. Dobbiamo saper riconoscere ciò che è stato ostacolo e freno per la nostra iniziativa, per produrre il cambiamento necessario. Ribadiamo il valore positivo della ricerca e della pratica della gestione unitaria del partito, ma la sua traduzione nella continua contrattazione tra correnti organizzate si è rivelata sempre più un blocco nella costruzione dell’iniziativa politica. Ha assorbito gran parte delle energie, reso sostanzialmente irrilevante ogni seria verifica sull’operato dei singoli dirigenti, determinato sovente lo stabilirsi di relazioni privilegiate con singoli territori in funzione delle appartenenze correntizie. Ha moltiplicato luoghi e strutture di “potere”, rafforzato le logiche sessiste e il carattere monosessuato del partito, costituito un elemento spesso respingente rispetto alla domanda di partecipazione. Pur in questo quadro che ha contributo alla difficoltà di un’effettiva gestione collegiale nella quotidianità, su tutti i principali passaggi di definizione della linea politica, è sempre stato pieno il coinvolgimento di tutto il gruppo dirigente, ma oggi abbiamo bisogno di una svolta. Di una svolta, per il superamento della gestione pattizia tra aree organizzate, nel segno della democratizzazione del partito, con il coinvolgimento pieno, sulle principali scelte politiche, non solo dei gruppi dirigenti, ma di ogni iscritta e di ogni iscritto. Di una svolta nella costruzione collettiva di conflitto e di progetto e nella collegialità della gestione quotidiana del partito, per realizzare l’obiettivo di una reale rifondazione democratica della politica, alternativa alle scorciatoie leaderistiche e spettacolari dominanti. Proponiamo che sulle principali scelte politiche, vi sia, oltre all’attivazione obbligatoria di una discussione nel corpo del partito, la consegna alle iscritte e agli iscritti della decisione finale attraverso il referendum. Questa modalità deve essere attivata obbligatoriamente sulle scelte elettorali, che costituiscono uno dei terreni maggiormente problematici all’interno del partito. A partire dalle prossime elezioni europee, proponiamo dunque che vi sia un pronunciamento esplicito attraverso il referendum per scegliere le modalità di presentazione elettorale. Proponiamo di rendere stabili e obbligatorie almeno una volta l’anno le assemblee nazionali dei segretari di circolo. Dobbiamo accorciare la distanza tra gruppi dirigenti locali e nazionali e questa è una strada che si è dimostrata utile e che può determinare una costruzione effettivamente collettiva della linea politica e dell’iniziativa politica. Proponiamo, anche a partire dal drastico ridimensionamento dell’apparato centrale, lo sviluppo del partito a rete. L’impossibilità di avere strutture centrali basate sul funzionariato deve essere l’occasione per saper utilizzare le tante intelligenze e capacità esistenti nel partito, mettendole in rete. Compito del centro nazionale deve sempre più essere la predisposizione degli strumenti per costruire un Partito più orizzontale, che utilizzi le possibilità offerte dalle nuove tecnologie non solo come strumento di propaganda e di comunicazione esterna, ma anche come elemento per garantire lo scambio delle informazioni, il dibattito politico interno, l’elaborazione condivisa. Lo stesso lavoro di direzione politica centrale deve prevedere riunioni telematiche che non abbiano bisogno dello spostamento fisico – e costoso – delle compagne e dei compagni. Si tratta di dotarsi anche qui di un progetto, che coinvolga le tante capacità e conoscenze presenti nel corpo largo del partito e le metta a valore. Riteniamo che per rinnovare il gruppo dirigente occorra innanzitutto rinnovare il modo in cui è eletto. Oggi tutto il gruppo dirigente nazionale è espressione dell’appartenenza ad aree o correnti. Su questa base si è costruito e su questa base non è possibile alcun reale rinnovamento. Costruire il gruppo dirigente a partire dal lavoro concreto di direzione politica sui territori, dalla costruzione concreta di movimento, pratiche di lotta, esperienze, sulla base della fiducia che questi compagni e compagne acquisiscono nel lavoro politico quotidiano e non per appartenenza a questa o quell’area politica, è un presupposto fondamentale per cambiare sul serio e nel modo migliore. Come lo è misurare ogni dirigente sulla capacità di far avanzare la linea politica e il lavoro del partito, e non sulla base delle proprie fedeltà a questo o quel dirigente o gruppo. La crisi della rappresentanza vive anche dentro di noi, la democrazia partecipativa è la risposta, anche per noi. 19 La riorganizzazione del partito Come abbiamo detto la principale risorsa che oggi ha Rifondazione Comunista è la generosa militanza di migliaia di compagne e di compagni. Proponiamo di mettere a valore questa militanza su alcune direttrici principali, su progetti di lavoro nazionali: a) Il Partito nel sociale Il lavoro di ricostruzione di una politica comunista passa attraverso la capacità di rispondere concretamente ai drammi sociali che nella crisi esplodono con l’allargarsi della sfera delle povertà. È quello che abbiamo chiamato il partito sociale inteso come costruzione di pratiche di solidarietà e mutualismo tese a costruire reti di solidarietà sociale in un panorama desertificato dalla crisi, che vede crescere isolamento e atomizzazione sociale. Dobbiamo generalizzare queste pratiche sociali a ogni circolo ed evitare che diventino il patrimonio solo di alcuni settori del partito. Dove siamo riusciti a sviluppare queste pratiche i risultati si sono visti, sul terreno della militanza e del consenso come su quello fondamentale di presentare una nostra immagine di partito comunista impegnato concretamente nella soluzione dei problemi degli strati popolari. Queste pratiche sociali devono intrecciarsi a livello locale come a livello nazionale a una forte battaglia per la difesa e il rilancio del welfare e della funzione sociale degli Enti Locali. Accanto al mutualismo, necessario anche per fronteggiare in forma solidale il ridimensionamento dell’offerta di servizi pubblici, si deve quindi praticare una vertenzialità locale nei confronti degli enti locali per salvaguardare le poste di bilancio destinate al sociale, per sostenere le fasce a reddito medio basso, anche rafforzando la progressività dei prelievi fiscali, per operare una selezione della spesa mirata alla salvaguardia dei diritti e del reddito. Parimenti queste pratiche sociali devono puntare alla costruzione progressiva di altraeconomia, capace di mostrare alternative possibili e concrete al neoliberismo e alla sua globalizzazione, anteponendo il valore d’uso dei beni al valore di scambio delle merci (e delle relazioni). È questo il senso delle crescenti esperienze di economie solidali locali basate sulla cooperazione che sono cresciute in America Latina e il loro inserimento nelle Costituzioni in paesi come Equador e Bolivia. b) La comunicazione Dobbiamo fare i conti con un sistema mediatico informativo che ha rimosso il conflitto e la questione sociale e non semplicemente la nostra possibilità di accesso in esso. Dal punto di vista dei metodi e degli strumenti, l’informazione e la comunicazione politiche vivono una fase di trasformazione importante, soprattutto legata alle nuove tecnologie, che ha diretta influenza anche sulle dinamiche organizzative. Una buona organizzazione passa per una buona comunicazione. Su questo abbiamo marcato una buona dose di inadeguatezza. Questo implica la necessità di progettare e sviluppare propri metodi e strumenti, a partire da quelli che abbiamo, come Liberazione, potenziando le reti sociali e sfruttando il web per favorire un circuito virtuoso “reale-virtuale-reale” capace di aumentare il nostro grado di velocità, penetrazione, capillarità, interazione, ed anche egemonia. Una rete nella rete utilizzando al meglio quella che è la nostra forza, ovvero la nostra capacità militante e i nostri saperi. La comunicazione non è semplicemente un’appendice del lavoro e della battaglia politica. E’ un terreno strategico della lotta politica, della battaglia delle idee. Per questo va costruito in modo ragionato e con il coinvolgimento di tutti i compagni, valorizzando le competenze in materia presenti a tutti i livelli. Occorre pertanto dotarsi di un vero e proprio piano per la comunicazione e l’informazione che coinvolga tutto il partito, dal nazionale ai circoli, per dare organicità e coerenza fra la nostra proposta politica e la nostra capacità di comunicarla all’interno e all’esterno, ma anche per favorire uno scambio immediato di buone pratiche e per facilitare una partecipazione ampia alle diverse iniziative di Partito, dalle campagne alle manifestazioni. Circoli, federazioni, regionali e nazionale devono essere in rete fra loro a livello reale e virtuale, attraverso un portale che ospiti gli spazi delle diverse strutture rendendo possibile uno scambio immediato di informazioni, riducendo i tempi di organizzazione e condivisione dei contenuti. Una piattaforma informatica in grado di permettere anche consultazioni on line su questioni importanti, di fare inchiesta sociale e attività virale, di offrire servizi originali per produrre materiale informativo, nazionale e territoriale, anche in mancanza di conoscenze specifiche nel settore. In questa direzione, ogni Circolo deve essere dotato di un sito aggiornato che presenti il proprio lavoro e metta in rete i materiali nazionali e Liberazione on line. c) L’autofinanziamento Per anni il nostro partito ha goduto di significativi finanziamenti pubblici. Non è più così e indipendentemente dalla nostra presenza in Parlamento non lo sarà più nelle misure in cui lo abbiamo conosciuto. d) La formazione La critica del pensiero dominante al fine di avanzare una proposta di alternativa ed esercitare egemonia, passa anche attraverso una ritrovata capacità comune di analisi e proposta. e) Un partito internazionalista L’internazionalismo del nostro Partito deve essere rilanciato. Fare parte di un movimento generale di cambiamento deve essere costante del nostro agire politico, non semplicemente di un settore. A tal fine, accanto al lavoro politico per la costruzione di un movimento per la pace e contro la guerra, contro le basi militari, e quello congiunto con la Sinistra Europea, contro il Ttip, il nuovo trattato di libero commercio Ue-Usa, crediamo sia utile dotarci di campagne permanenti di solidarietà internazionalista: il sostegno alla lotta del popolo palestinese alla sua autodeterminazione, per la fine dell’occupazione israeliana e dell’apartheid, attraverso l’adesione e la partecipazione alla campagna internazionale di boicottaggio, disinvestimento, sanzioni; il sostegno alla causa curda e al processo di pace e rilancio della campagna internazionale per la liberazione di Abdullah Ocalan; la solidarietà al popolo Sahrawi e al suo diritto a scegliere del proprio destino attraverso un referendum secondo quanto già disposto dalle Nazioni Unite. f) Un partito antifascista In un quadro di crisi come quello attuale si assiste con non poca preoccupazione al ritorno sempre più frequente nei territori di manifestazioni promosse da associazioni o partiti d’ispirazione neo-fascista, che se ancora non rappresentano un pericolo dal punto di vista della consistenza numerica, per i linguaggi e le strategie usate s’insinuano nel corpo sociale devastato dalla crisi. Fanno riferimento a temi cari alla Lega Nord, con l'evidente proposito di occupare spazi lasciati liberi da questa (sicurezza, campagne contro i Rom, gli immigrati e lo ius soli), recuperano slogan contro gli omosessuali o contro l'aborto e l'autodeterminazione delle donne, o ripescano argomenti propri del fascismo "sociale" di Salò, mascherandosi anche all'interno delle lotte portate avanti dai lavoratori. La strategia sottesa a questi linguaggi è da una parte quella di porsi come tutori della legalità e dell'ordine contro quello che viene definito il disordine sociale e morale del tempo presente, anche stimolando e solleticando le reazioni più "di pancia" delle persone, dall'altra paradossalmente quella di presentarsi come i nuovi "rivoluzionari", con critiche e attacchi ad esempio ai meccanismi della finanza internazionale che peraltro non mettono mai in discussione il capitalismo che a questi meccanismi sottende. g) Un partito antirazzista La società italiana oggi è multiculturale e meticcia, ma lo ignora. I cinque milioni di uomini e donne migranti presenti stabilmente, i 900.000 minori a scuola, le tante realtà produttive fondate sulla loro presenza ne sono concreta testimonianza. La legislazione attualmente in vigore in Italia ha tutte le caratteristiche della legislazione speciale, che tende ad aumentare e a riprodurre all’infinito le divisioni tra immigrati ed autoctoni. Emblematica di questa legislazione è la legge Bossi-Fini, realizzata per frantumare il mercato del lavoro e le norme sul reato di clandestinità. Compito del nostro partito è acquisire gli elementi di tale mutazione per proposte che coinvolgano migranti e autoctoni. In primo luogo occorre aprire i nostri circoli a questo nuovo proletariato, trasformandoli in uno spazio d’incontro in cui far maturare la costruzione di percorsi di lotta. In secondo luogo occorre rilanciare una forte battaglia per l’abrogazione della Bossi-Fini, per la cittadinanza, il diritto al voto da cui sono esclusi quasi 2,5 milioni di persone, per lo sganciamento del contratto di lavoro dal permesso di soggiorno. Occorre rovesciare l’indirizzo della legislazione, superando le politiche securitarie gestite dalle questure e puntando sulle politiche d’inclusione sociale, abbandonando le politiche repressive – a partire dalla chiusura dei Cie – per investire su un welfare inclusivo, sul diritto all’abitare, sul sostegno scolastico. Occorre favorire i processi d’ingresso e permanenza regolare, con permessi per ricerca occupazione, accoglienza e percorsi di autonomizzazione riservati soprattutto a soggetti vulnerabili e a richiedenti asilo. Le stragi degli ultimi mesi sono destinate a ripetersi se non si garantiranno corridoi umanitari d’ingresso per chi arriva da paesi in guerra e se, insieme all’Ue, non si garantirà una procedura di asilo che permetta a chi arriva di fermarsi nel Paese dove trova maggiori opportunità di inserimento. In conclusione La necessità di una svolta nel nostro percorso politico è dovuta a fattori oggettivi, la crisi economica che sta vivendo il capitalismo e in particolare il nostro paese, e soggettivi, la situazione di estrema difficoltà che vive la nostra organizzazione. Rifondazione Comunista è davanti ad un passaggio cruciale della sua storia. Le recenti e ripetute sconfitte elettorali, le scissioni e la conseguente dispersione di forze, ne hanno ridimensionati ruolo e presenza organizzata. Dobbiamo con coraggio prendere atto di una situazione di estrema debolezza, senza illuderci di trovare facili scorciatoie o capri espiatori, per uscire dalla condizione di debolezza e difficoltà in cui siamo. La partita non è finita ma è appena cominciata, le ragioni di Rifondazione Comunista sono più valide che mai. Siamo chiamati a un difficile compito, quello di far sì che il patrimonio d’idee, passioni, valori che hanno distinto l’esperienza di Rifondazione Comunista non sia disperso e che le sue energie e forze militanti siano pienamente messe a disposizione per la ricostruzione della sinistra di classe e di trasformazione nel nostro paese, per contribuire alle lotte che in tutta Europa si stanno sviluppando contro la grande coalizione dell’austerità e delle banche oggi dominante. Un compito complesso e con un esito non affatto scontato. Fabio Amato, Maurizio Acerbo, Fabio Alberti, Veronica Albertini, Beatriz Paula Amadio, Marco Amagliani, Roberto Antonaz, Elena Antonelli, Patrizia Arnaboldi, Imma Barbarossa, Tiziana Bartimmo, Anna Belligero, Ketty Bertuccelli, Maria Lucia Bisetti, Ugo Boghetta, Salvatore Bonadonna, Danilo Borrelli, Antonietta Bottini, Antonella Bozzi, Bianca Bracci Torsi, Stefania Brai, Irene Bregola, Alberto Burgio, Maria Campese, Luca Cangemi, Carmela Cantone, Giovanna Capelli, Mimmo Caporusso, Renato Cardazzo, Ornella Carnevale, Silvana Cesani, Nicola Cesaria, Mauro Cimaschi, Maddalena Cirigliano, Pino Commodari, Michele Conia, Anna Rita Coppa, Nicola Corbino, Stefano Cristiano, Nicola Culeddu, Francesco D'Agresta, Tonino D'Alessandro, Anna D'Ascenzio, Amanda De Menna, Silvia Di Giacomo, Monica Donini, Erminia Emprin, Roberta Fantozzi, Maria Cristina Ferraguti, Paolo Ferrero, Enrico Flamini, Eleonora Forenza, Chiara Fornoni, Roberta Forte, Loredana Fraleone, Alessandro Fucito, Diletta Gasparo, Marco Gelmini, Gabriele Gesso, Rosita Gigantino, Matteo Giordano, Rossella Giordano, Yassir Goretz, Manuela Grano, Claudio Grassi, Dino Greco, Damiano Guagliardi, Tonia Guerra, Igor Kocjancic, Francesco La Bernarda, Nicola Limoncino, Simona Lobina, Ezio Locatelli, Gianluca Lombardi, Marina Loro Piana, Annalisa Magri, Nando Mainardi, Ramon Mantovani, Loredana Marino, Antonio Marotta, Maria Merlini, Pier Paolo Montalto, Cristiana Morsolin, Alfio Nicotra, Claudia Nigro, Simone Oggionni, Sergio Olivieri, Alba Paolini, Nello Patta, Gianluigi Pegolo, Armando Petrini, Francesco Piobbichi, Licia Rasori, Rosa Rinaldi, Augusto Rocchi, Elena Roma, Giovanni Russo Spena, Ada Salerno, Linda Santilli, Rita Scapinelli, Gianluca Schiavon, Roberto Sconciaforni, Monica Sgherri, Bruno Steri, Damiano Stufara, Raffaele Tecce, Giovanna Ticca, Danielle Vangieri e Stefano Alberione, Giuseppe Benassi, Stefania Brunini, Gennaro Cortese, Frank Ferlisi, Cesare Mangianti, Adriana Miniati, Donatella Mungo, Patrizia Poselli. |