Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale
6/7 novembre 1999

Interventi

Alessandro Curzi della Direzione nazionale e direttore del quotidiano "Liberazione"

Il compagno Pietro Ingrao, ponendo la questione della mutazione dei ds da forza di sinistra a parte integrante del blocco di centro moderato, non ha fatto un'osservazione per la storia di domani, ma ha posto tutti noi, oggi, di fronte alla necessità di chiare scelte politiche. L'analisi, anche per un certo verso tranquillizzante, che ci aveva portato a parlare nel recente passato dell'Italia come d'un paese con due sinistre, è stata messa, a mio parere, in discussione.
La rapida deriva liberista della maggioranza del Pds ora Ds e le nuove teorie sull'uso della guerra (che sono alla base del giudizio ingraiano) richiedono risposte forti, non emotive né tantomeno settarie, ma lucide.
Fausto Bertinotti, nella sua relazione, ha ricordato, e ci ha ammonito, che non esiste per nessuno di noi che si senta parte del popolo della sinistra, possibilità di rifugio su sponde conservatrici, magari scomode ma in qualche modo sicure. I comunisti debbono saper affrontare in Italia, e non mi limiterei al nostro paese, lo scontro in campo aperto. Non è rinviabile, a parer mio, la ricerca d'una via che porti la pluralità delle sinistre socialiste e comuniste antiliberiste a forme sempre più strette di collaborazione. Questo, credo, è il compito di lavoro che i comunisti hanno di fronte nel partito e nel sindacato: patti di consultazione, d'intesa, iniziative comuni, tutto questo va tentato e non solo a livello di vertice ma impegnando l'intelligenza e la volontà della base. Delle basi, dovrei meglio dire. Farsi portatori d'un modello di società che rifiuti il pensiero unico è un compito ambizioso, ma non impossibile. Un compito comunque al quale non possiamo sottrarci, pena la sconfitta delle nostre idee.
Alla fine della mattinata, nella riunione con i segretari di federazione del partito dovremo affrontare la questione della difficile vita di "Liberazione". Il modello americano non tollera l'esistenza di un autonomo partito dei lavoratori e, tanto meno di giornali come "Liberazione" che ogni giorno contrastano le scelte liberiste. Il quotidiano politico di chiara tendenza, e qui non parlo solo di noi, ma penso al "manifesto" all’"Unità" e, se volete, alla stessa "Padania", non è compatibile con il pensiero unico che domina la comunicazione mass-mediatica. Io sono convinto che nelle prossime settimane, se non sapremo reagire in tempo, intrighi burocratici e pastoie legislative stringeranno ancora di più una morsa sul nostro giornale. Il blocco quasi assoluto della pubblicità, il non rispetto della legge per l’editoria costituiscono un cappio che tende a strangolarci. La battaglia per far vivere "Liberazione", per una voce contro il pensiero unico, è compito di tutto il Partito della Rifondazione comunista.

Pasquale D'Angelo Della federazione di Chieti

Nel partito c'è preoccupazione, anche da parte di quei non pochi compagni della maggioranza che avevano letto il passaggio all'opposizione come occasione per riconquistare autonomia e identità alternativa. L'indisponibilità ad una oggettiva verifica del fallimento della linea di maggioranza ha aggravato le cose sul piano elettorale, organizzativo e nella vita interna, dove vengono meno persino i termini per un confronto vero.
La maggioranza non è più in grado di esprimere una linea. Di conseguenza emergono le contraddizioni correntizie e l'adattamento dei nostri comportamenti alle "schermaglie" intercapitalistiche.
Nelle ultime due direzioni il segretario ha constatato l'arretramento del quadro politico-istituzionale e della situazione sociale, ma si continua a tacere sulle sponde offerte, nel tempo, ai caratteri e agli indirizzi economico-sociali arretrati del centrosinistra, non offrendo, invece, alla forza di contestazione un necessario e valido riferimento. Questa volta il segretario, dopo aver constatato anche la "stabilità ed organicità" delle scelte neocentriste, ha esplicitato ciò che cova realmente nella linea di maggioranza, quando ha finito per proporre una futura "lunga attraversata sull'idea base di un sistema di diritti fondamentali", accantonando di fatto l'originario percorso della rifondazione comunista.
Assumendo l'ottica dei "diritti" come idea base - e non semmai come uno degli elementi della transizione processuale verso l'alternativa - si ammette l'impraticabilità, intanto per l'oggi, dell'alternativa globale al capitalismo, sfumandola in un futuro lontano e imprecisato. Con questa maggioranza si va al ribaltamento delle posizioni originarie del Prc, in contrasto aperto con le motivazioni che l'hanno fatto nascere.

Andrea Ricci, Segretario regionale delle Marche

Dentro il Prc esiste una sensazione diffusa di malessere e d'incertezza che l'esito positivo della manifestazione del 16 ottobre non ha dissolto. Non basta l'opposizione al governo per rilanciare ruolo e funzione di massa del nostro partito.
Dentro il centrosinistra è in corso una spietata lotta per l’egemonia tra le sue diverse componenti. L'esito probabile è quello dell'approdo ad un sistema politico rigidamente bipolare di stampo americano. Un esito di questo tipo sarebbe catastrofico. Oggi non è in gioco soltanto la sopravvivenza politica del Prc e della sinistra antagonista, ma della sinistra in quanto tale. L'evoluzione moderata e neocentrista dei Ds conducono in tempi non lunghi verso questo esito. Una nuova identità comunista e la rifondazione di un partito comunista di massa vivono solo all'interno di un progetto politico che sappia indicare all'intera sinistra e alle masse popolari una reale prospettiva di alternativa. Per far questo non è sufficiente la nostra pura sopravvivenza organizzativa, come abbiamo già sperimentato nelle elezioni di giugno. Anzi anche noi rischiamo di essere travolti. L'obiettivo che sta di fronte a noi è la costruzione di un polo della sinistra, alternativo a quelli esistenti, articolato e plurale, in grado di prospettare un modello di società e di civiltà diverso dal neoliberismo e dalla globalizzazione capitalistica. Ma non basta solo aggregare ciò che esiste e resiste a sinistra.
Occorre anche mobilitare, creare, evocare nuove energie per evitare l'ulteriore dispersione di ciò che ancora resta dei popoli della sinistra. E questo è possibile solo a due condizioni. Con un lavoro di analisi teorica e di costruzione di un impianto culturale e programmatico all'altezza della sfida. E con un impegno concreto di azione di massa, un fare collettivo finalizzato alla costruzione di un nuovo ciclo di lotte sociali.
Fuori da un progetto politico di medio periodo, il dibattito intorno al tema delle alleanze elettorali rischia di essere sterile e paralizzante. Per le elezioni regionali sarebbe sbagliato e forse esiziale incamminarsi pregiudizialmente sulla strada di uno scontro frontale, tutto politico, contro il centrosinistra in una sorta di prova di forza finale e definitiva. I rapporti di forza da un lato, l'immaturità del nostro progetto dall'altro e infine la fluidità ancora esistente nelle situazioni politiche locali, non ce lo consentono. E allora l'unica strada giusta è quella dell'articolazione delle nostre posizioni, della valutazione caso per caso sulla base dei programmi e delle condizioni politiche.

Marco Ferrando, della Direzione nazionale

Si è scelto di accompagnare questo Cpn col simbolo evocativo dell’“apertura” e con l’annuncio di un “evento”. Ma, francamente, non si comprende “a chi” e “per cosa” si annuncia l’apertura e in cosa consiste l’evento. E’ vero: la crisi Ds ha raggiunto un punto straordinario di intensità critica. Dovremmo intervenire nel modo più attivo in questa crisi combinando una nostra intransigente alternatività all’apparato Ds e al centrosinistra con la più ampia ricerca di dialogo con gli spezzoni di classe della sua base di massa ai fini di un’egemonia alternativa. Ma le proposte che Bertinotti avanza contraddicono proprio questa esigenza. Un’aggregazione politico-culturale con il ristretto ceto intellettuale, un po’ elitario, dell’ingraismo non è infatti la migliore metafora della proiezione di massa. Si tratta inoltre di un’area culturalmente avversa all’idea di partito e politicamente tesa a ricomporre Prc e centrosinistra. Per questo colgo la connessione tra questa operazione e l’apertura al centrosinistra nelle regioni. Invece di fare un bilancio del fallimento politico dei governi regionali tra Prc e centrosinistra, costruiti dal ’95, si ricerca una loro moltiplicazione come in Sicilia e in Sardegna. Così soprattutto si avvia una direzione politica di marcia per l’accordo col centrosinistra in vista delle elezioni politiche, con rischi devastanti per il Prc. Non vale esibire l’opposizione a D’Alema come prova di radicalismo. Ci opponemmo anche a Dini nel ’95, avviando al contempo le coalizioni locali di governo. Lo sbocco fu il sostegno a Prodi e… a Dini per due anni. No, questo Cpn deve stabilire la chiarezza di una rotta. E deve essere convocata la conferenza programmatica del Prc, prima annunciata e poi smentita, sul programma fondamentale del partito. A otto anni dalla nostra nascita, quello sarebbe un vero evento.

Andrea Frattani Segretario della federazione di Prato

Credo si sia compiuto, almeno sotto il profilo culturale oltre che concreto, il processo di stabilizzazione del modello capitalistico italiano rispetto al contesto delle economie globali. Voglio dire che è assunto il paradigma della separazione netta fra la funzione finanziaria rispetto alla funzione produttiva. La riorganizzazione che ne consegue produce l’autonomizzazione delle lavorazioni, dei processi produttivi classici rispetto agli indirizzi strategici dettati dalla “funzione del capitale”. Un fenomeno che si accentua particolarmente nella Pmi e che caratterizza pesantemente la capacità di riorganizzazione e conseguente perdita di capacità competitiva dei sistemi d’area distrettuali. Conseguenze anche rispetto ai rapporti sociali e di classe come è chiaro, se si accoglie questa impostazione, che riproducono la perdita e caduta della capacità rivendicativa dei lavoratori e lo sbocco verso la c. d. condizione finanziarizzata del salario. Ciò fa scaturire una contraddizione evidente, tale che mentre si espandono in senso globale i processi produttivi (gli stessi fenomeni della delocalizzazione subiscono in questo senso un superamento rispetto al classico trasferimento di parti del processo), il sistema della distribuzione e dei consumi si stabilizza negli ambiti di partenza del capitale finanziario, in modo pressoché autarchico. In modo analogo lo stesso modello è preso a parametro nel sistema delle c. d. strutture di aziende erogatrici dei pubblici servizi negli enti locali, tali che vengono separate le funzioni di accumulo delle risorse (dati dai trasferimenti centrali e dalla contribuzione locale) rispetto alla funzione erogatrice dagli stessi (elemento della tariffazione), conseguendo di fatto la perdita della capacità di controllo in termini di qualità e di economicità rispetto all’utenza finale. Ritrovare quindi in un paese come il nostro, all’interno di questi processi, gli sbocchi possibili e in ogni caso vertenziali rispetto a questa fase capitalistica è necessario. Senza eccedere nel velleitarismo, richiamandosi al ruolo d’interlocuzione con tutte le culture critiche. In questo senso sta l’esigenza dell’apertura del partito alla società, con una capacità d’ascolto tutta particolare e nuova, che diventi di per se stessa una diversa modalità di stare dentro al partito. Rilanciare l’idea, l’iniziativa e, una prospettiva comunista, ridefinendo a partire dalle proprie soggettività una grande idea di libertà e di giustizia sociale oggi è possibile.

Stefano Vinti, Segretario regionale dell’Umbria - Direzione nazionale

La proposta politica formulata dal compagno Bertinotti e le iniziative annunciate che ne avviano il percorso sono condivisibili e di grande respiro politico e culturale. La constatazione della oggettiva impossibilità di essere in grado, da soli, di avviare un movimento per la costruzione dell’alternativa politica e sociale è l’elemento fondante per la definizione di un progetto politico in grado di contrastare la deriva moderata e neoliberista del governo D’Alema, nonché l’avvio della capacità di intercettare forze che rifiutano lo smottamento dei Ds verso il partito democratico. L’obiettivo della costruzione di un movimento per l’alternativa ci costringe a sviluppare una nuova propensione all’innovazione e alla sperimentazione, a ricercare nuove interlocuzione sociali e culturali, ad andare oltre noi stessi e a essere in grado di aggregare nuove forze. La costruzione di un movimento di massa, pluralista e duraturo per l’alternativa poggi su due caratteristiche: da un lato, il carattere processuale e dall’altro, l’assunzione piena della problematicità e dell’ansia della ricerca teorica e di una pratica sociale nuova. Occorre riconvertire il partito da luogo della rappresentanza a sempre più strumento del lavoro di massa, dell’inchiesta, del conflitto sociale, del “fare società”. Ripartire dalla lezione gramsciana e dai marxismi per una rifondazione teorica del moderno partito comunista di massa. Una ricerca che lavora, pertanto, ad un nuovo blocco sociale dell’alternativa, con un’attenzione diversa a tutti quei soggetti che subiscono gli effetti della modernizzazione capitalistica: piccoli esercenti, artigiani, lavoratori autonomi, interessati ad una politica economica e sociale “altra”. Condivido pienamente la proposta di aprire tavoli regionali di confronto programmatico, ponendo alla sinistra moderata la sfida della politica e dei contenuti. Strappare pezzi programmatici contro le tendenze liberiste, in controtendenza alle politiche nazionali, è un obiettivo difficile, ma che dobbiamo perseguire con la massima determinazione. L’esperienza di governo in Umbria dimostra la possibilità di praticare una politica riformatrice che rilancia la programmazione, gli investimenti sanitari sul territorio e per la prevenzione; l’aumento dell’offerta pubblica dei servizi sociali; la lotta per i diritti del lavoro e la trasparenza nei cantieri del terremoto, come dimostra l’azione del compagno Danilo Monelli nella Giunta regionale umbra.

Milziade Caprili, Coordinatore del Dip. Organizzazione - Direzione nazionale

L’apertura del partito ai movimenti, alle realtà vive, alle correnti critiche del paese non è una sorta di lusso, ma una componente essenziale, decisiva del nostro progetto. Anche, ma non solo, per questo giudico molto convincente l’impianto della relazione che Bertinotti ci ha presentato. Di noi vorrei però qui parlare. Di come tutto quanto ormai imponga anche a noi una vera e non più rinviabile innovazione, a cui peraltro stiamo concretamente lavorando. Una spiegazione dovrebbe essere data del fatto che in un periodo nel quale mostriamo qualche difficoltà di troppo, siamo in grado di portare ad una manifestazione 100 mila persone, quasi gli iscritti attuali di Rifondazione comunista. La riuscita della manifestazione sottolinea un credito che noi siamo in grado ancora di spendere nei confronti di pezzi rilevanti, non secondari di questo paese. Dobbiamo da una parte lavorare per spendere questo credito nella costruzione di un evento nuovo della sinistra di cui Bertinotti parlava. Evento che segnali un elemento di discontinuità anche con le concrete pratiche politiche del centrosinistra. Dall’altra dobbiamo lavorare per rendere più evidente che è possibile in un partito come il nostro utilizzare il contributo di quanti si iscrivono e con noi anche da non iscriti vogliono compiere un tragitto politico. A questo proposito nel corso della campagna del tesseramento, campagna del resto iniziata il 5 di novembre, abbiamo inviato a tutte le federazioni anche un questionario che domanda non solo la condizione sociale, l’età e tutte le notizie pure indispensabili per capire meglio la morfologia del partito, ma domanda anche un giudizio sul partito e domanda in quale campo di iniziativa voglia spendere il proprio lavoro questo o quel compagno, questa o quella compagna che si iscrivono a Rifondazione comunista. Certo, fatta questa inchiesta su noi stessi, dobbiamo avere poi la capacità politica, l’intelligenza organizzativa di utilizzare le propensioni al lavoro che tante compagne e tanti compagni dimostrano e che spesso cozzano contro pratiche politiche ed organizzative interne che risultano in ultima istanza un impedimento all’ulteriore sviluppo del partito.

Livio Maitan, della Direzione nazionale

Condividendo la valutazione sul 16 ottobre a larghe parti della relazione di Bertinotti vedo una stridente contraddizione tra quello che diciamo e pratiche ricorrenti nel partito. Esperienze di questi ultimi due mesi mi hanno fatto constatare non poche situazioni di conflittualità e di profondo disagio che producono fenomeni di disgregazione. Ci sono casi di violazione delle norme, per esempio, nella composizione degli organismi regionali e misure prese senza neppure convocare gli interessati che apprendono queste misure dai giornali locali. Insisto ancora perché una discussione sulle cause di queste situazioni si svolga negli organismi di direzione vedendo come sia possibile contrastarle. Fermo restando che le decisioni spettano agli organismi regionali, Direzione e Cpn dovrebbero esprimere un giudizio su certe ipotesi e certe esperienze. Per esempio, penso che il giudizio su Martinazzoli dovrebbe basarsi sulle sue prese di posizione socio-economiche e sulle riforme istituzionali e da questo punto di vista non ci sono indicazioni positive. In Sicilia non avremmo dovuto impegnarci in un’operazione segnata dal trasformismo deteriore di cui già si sono visti gli sbocchi negativi. Peggio ancora per la Sardegna, dove i nostri dirigenti hanno accettato un’alleanza persino con un avventuriero politico come Grauso, condannato per bancarotta fraudolenta. Per fortuna qualche segno più confortante è venuta ieri dalla riunione sull’inchiesta che ha dato indicazioni sul lavoro da compiere sui luoghi di lavoro, con tenacia, a lungo termine, sollevando, per esempio, temi cruciali come quello del controllo.

Claudio Bellotti, della Direzione nazionale

La crisi della concertazione è ormai aperta. Da un lato crescono nella Confindustria le voci di chi propone di abbandonare le trattative triangolari e passare a un’offensiva più aperta. Dall’altro c’è il crollo dell’autorità dei vertici sindacali fra i lavoratori. Questo significa che il governo perde il suo punto d’appoggio fondamentale. Da qui nascono le divisioni nei Ds e nel vertice della Cgil, che sono un’espressione distorta della delusione di massa verso il centrosinistra. Questi sono sviluppi importantissimi nei quali ci dobbiamo inserire, senza fare concessioni politiche ai dirigenti di queste forze. Se Sabbatini comincia a criticare la linea di Cofferati, per noi è il momento di approfondire la nostra critica, non di attenuarla, se vogliamo dialogare con i lavoratori che lo sostengono. Altrimenti continuiamo sulla strada dell’opposizione rinchiusa negli apparati sindacali e della diplomazia di vertice. Dietro alla crisi del centrosinistra ci sono processi sociali profondi. Non a caso l’ex segretario della Cgil, Trentin, dichiara che la flessibilità selvaggia e la precarizzazione rischiano di far esplodere un nuovo autunno caldo. E’ con questa prospettiva che dobbiamo orientarci, piuttosto che riporre le nostre speranze in elementi eterogenei della cosiddetta “sinistra diffusa”. Vedo in questo una tendenza a rendere indistinti i confini politici e organizzativi del partito, una tendenza pericolosa che rischia di indebolirci ulteriormente.

Francesco Forgione, Segretario regionale Sicilia Direzione nazionale

Come ci invitava il segretario nella sua relazione, la proposta complessiva avanzata al Cpn non ammette né "se" né "ma". La crisi della sinistra e la deriva moderata del centrosinistra riguarda anche noi e ci sfida sul terreno della innovazione e della rifondazione. Ma questa scelta ha senso se ha una ricaduta e una accelerazione sul territorio, se la consulta nazionale è la sintesi e la raccolta delle consulte locali e se il partito a tutti i livelli acquisisce insieme la propria centralità e la propria insufficienza, riformando se stesso per aprirsi a tutte le forze e i soggetti critici dell'esistente. Fondamentale è la piattaforma sociale anche per rilanciare un nuovo meridionalismo. Al sud la massa di risorse in arrivo accelererà i processi di modernizzazione senza cambiare il modello di sviluppo anzi, accentuerà tutti i processi di flessibilizzazione e precarietà. È sulla gestione di queste risorse che si gioca la ricomposizione delle vecchie classi dirigenti.
In questo quadro la vicenda politica siciliana apre per il partito un nuovo terreno di battaglia politica. Sfidare il centrosinistra sul programma e sulla questione morale per dare vita ad un governo nuovo, che contro ogni logica consociativa e di scambio col Polo, inneschi processi di rottura. È su questo che si è aperto lo scontro, fino al passaggio al Polo di pezzi del centro in opposizione all'accordo con noi proprio sulla discontinuità morale posta da noi e sui contenuti sociali del programma. Ma a questa sfida si risponde dando forza all'identità sociale e antimafia del partito. Non è un caso che l'unica manifestazione pubblica di rilancio dell'antimafia sociale, dopo la sentenza Andreotti, sia stata proposta da noi e accolta da tutti i soggetti del movimento e della società civile. Non c’è un prima e un dopo: innovazione, autonomia politica e programmatica, ricostruzione della sinistra alternativa e confronto con il centrosinistra sono tutte facce dello stesso progetto politico.

Alessandro Giardiello della Federazione di Milano

Con tutta probabilità si sta esaurendo miseramente la prima esperienza di governo presieduta da un esponente dell'ex Pci. La batosta elettorale, il calo della militanza, la rissosità dell'apparato Ds, mostrano la crisi strategica della politica di Botteghe Oscure. Non a caso la centralità dei Ds nella gestione delle politiche borghesi viene messa in discussione da esponenti di spicco della Confindustria (vedi dichiarazioni di Fossa e Marcegaglia) che sono alla ricerca di nuovi equilibri, spostando ancora più a destra l'asse politico del paese. Il. metodo concertativo, che in questi anni ha aperto la strada a un’offensiva senza precedenti della classe dominante si sta usurando, come mostra lo scontro D'Antoni-Cofferati, che rompe l'unita e la "solidarietà" che la burocrazia aveva mostrato in questi anni nella gestione della politica confederale.
Veltroni, vedendo vacillare le proprie basi d'appoggio, si sforza di interpretare le nuove esigenze padronali rilanciando la proposta di scioglimento dei Ds nel partito democratico, operazione che se si concludesse felicemente, ma che non è ancora affatto scontata, segnerebbe la mutazione della natura di classe dei Ds, trasformandoli definitivamente in un partito borghese liberale.
Dall'altra parte un pezzo dell'apparato Ds e della Cgil si prepara a dare battaglia con la presentazione di un documento di sinistra nelle prossime assisi congressuali.
Questo scontro inevitabilmente risveglierà aspettative sopite nella base operaia dei Ds e nel cosiddetto popolo di sinistra. Sta a noi intervenire in queste contraddizioni per offrire una via d'uscita alla crisi di prospettiva del riformismo, che nel contesto attuale di stagnazione economica assume le sembianze della terza via di carattere liberista.
Deve diventare fondamentale la nostra discussione sui "diritti fondamentali" che troverebbe un ambito adeguato con la convocazione di una Conferenza programmatica contro ogni tentazione di trasformare il nostro programma in un semplice elenco di diritti slegati fra loro, ma per rilanciare una prospettiva rivoluzionaria e anticapitalista.

Leonardo Masella, Segretario regionale dell’Emilia-Romagna Direzione nazionale

Apprezzo la franchezza con cui il compagno Curzi ha proposto lo scioglimento del Prc in un nuovo partito del lavoro e della sinistra, ma non sono per niente d'accordo con questa proposta, che, fra l'altro, rischia di frenare l'interlocuzione sia con aree e personalità della sinistra di alternativa che con la sinistra moderata. L'esistenza di un forte e autonomo partito comunista è stata la motivazione principale della nostra non adesione al Pds della Bolognina ed è la premessa indispensabile per una più forte interlocuzione unitaria a sinistra e per la costruzione di movimenti di massa per una alternativa al neoliberismo. Per esempio in Emilia Romagna l'autonoma iniziativa del Prc non ha rappresentato un ostacolo, ma anzi è stata la condizione indispensabile per la costruzione del vasto movimento di massa di sinistra critica, interna ed esterna al centrosinistra e ai Ds, che da un anno si batte contro i finanziamenti pubblici alle scuole private. Un vero movimento di massa, a proposito di movimenti, che ha avuto come perno politico ed organizzativo il Prc e che ha visto il protagonismo di una vasta sinistra critica e di alternativa messa assieme dall'iniziativa autonoma e unitaria del nostro partito. Un movimento che ha prodotto la grande manifestazione dei 50mila di Bologna del 27 febbraio e la campagna referendaria che abbiamo in piedi in questi giorni, con la quale in soli due mesi dal 1° settembre ad oggi, abbiamo gia fatto 380 tavolini e abbiamo già raccolto 20mila firme autenticate, nonostante la censura di tutti i mezzi di informazione.
Del resto in tutta Europa, tranne che per noi e per Izquierda Unida spagnola, le forze comuniste e a sinistra dell'internazionale socialista tengono e avanzano. Anche in Italia, l'ulteriore slittamento moderato del governo e dei Ds e l'aumento dello sfruttamento dei lavoratori e del malessere sociale producono un forte allargamento dello spazio politico e sociale per un partito comunista con basi di massa. Dipende solo da noi se saremo capaci di riempire questo spazio o se ci faremo marginalizzare ancora di più.

Enrico Milani Segretario della Federazione di Caserta

Stiamo attraversando, abbiamo il dovere di dirlo, una fase di grande difficoltà e sofferenza del nostro partito. Abbiamo sempre meno risposte da dare alle masse sfruttate ed oppresse, le quali, invece, solo in un vero e rifondato partito comunista possono trovare gli strumenti politici ed organizzativi per le loro lotte e per il loro orizzonte di liberazione. Stiamo assistendo impotenti all'avanzata del liberismo più sfrenato. In Italia, alla vecchia anomalia del più grande Pc occidentale, si è sostituita l'anomalia dei "post-comunisti" più "liberisti" persino degli ex-socialisti, più forcaioli persino della destra, più smantellatori dello stato sociale di qualunque ex-democristiano pentito. Di fronte a tutto ciò, dovremmo rilanciare con forza e con assoluta chiarezza la nostra iniziativa e la nostra proposta politica. Invece, agosto sta dimostrando che, ancora una volta, si "naviga a vista", continuando a deludere e a disattendere la "rinascita della speranza". Nonostante tutti i nostri sforzi, le nostre argomentazioni, le nostre dichiarazioni d'intenti, quando eravamo forti del nostro 8-quasi 9% di un partito vivo ed in salute, non siamo riusciti a spostare l'asse politico-governativo a sinistra neppure di un millimetro, anzi siamo stati noi ad essere talvolta risucchiati nel vortice del "piccolo cabotaggio" moderato. Era necessario, improcrastinabile, inevitabile - giunti a questo punto - uscire dalla maggioranza di governo. Scelta sacrosanta: ma la nostra politica successiva si è rivelata inadeguata, continuista e vischiosa. La proposta sulle prossime regionali, che la mia Federazione critica aspramente e radicalmente, elude un'obiezione semplice, di elementare buonsenso: ma quale capacità condizionante quale "efficacia", quale "incidenza" potrà mai avere il nostro partito, nelle condizioni quantitative e qualitative in cui versa attualmente, dentro un quadro politico-istituzionale ancor più "slargato a destra", espressione di una linea ferocemente liberista anche sul piano delle amministrazioni regionali e locali? Non giriamoci intorno: contro questo quadro noi dobbiamo rilanciare la nostra battaglia anche sul piano delle prossime scadenze elettorali regionali.

Italo Di Sabato, Segretario regionale Molise

Pare niente affatto rituale sostenere che i nodi stiano arrivando al pettine. La relazione di Bertinotti ci chiede di ragionare più sulla discontinuità che sulla persistenza, più sulle novità che sulle conferme, più sull'individuazione di nuovi terreni che sulla resistenza. Il nodo di fondo: è pronto il partito sul territorio, ad affrontare un serio e proficuo lavoro per la "rifondazione" e rompere con quelle logiche politicistiche tutte legate ad uno sfrenato elettoralismo e personalismo? Bisogna necessariamente fare un salto di qualità. Costruire un percorso fortemente sociale per contrapporsi alla riduzione della politica alla sola sfera istituzionale e, ancor più di governo. Le prossime elezioni regionali sono un vero banco di prova per il nostro partito, non solo in termini di consenso elettorale ma soprattutto in termini di costruzione di piattaforme locali, che sappiano realmente contrapporsi ai processi liberisti in atto. Contrapporre il locale al globale costituisce una necessità inderogabile e rappresenta un’alternativa strategia al processo di globalizzazione. Qui sta il nodo del dibattito: concetto di sviluppo e ruolo dei poteri forti. Due questioni strettamente intrecciate perché i poteri forti esprimono un'idea di sviluppo molto lontana da quello sostenibile. Oggi i poteri forti condizionano i governi specie se i governi vogliono a tutti i costi il loro consenso. È sull'idea di sviluppo che deve aprirsi il dibattito a sinistra, evitando il ripetersi di mere alleanze elettoralistiche per battere le "destre" e il rincorrersi in varie cariche assessoriali.

Antonio Cimmino della federazione di Napoli

Oggi, non si sta discutendo di una svolta "semplice" o di dare maggiore continuità alle nostre iniziative politiche. Oggi si sta discutendo "dell'identità" del nostro partito, della sua storia, del ruolo che deve avere in futuro. La nostra opposizione alle scelte neo-liberiste dell'attuale Governo D'Alema ci permette di mantenere la nostra identità storica rilanciando la fiducia di milioni di lavoratori, disoccupati e pensionati che vedono in noi l'unica forza politica capace di sostenere e difendere lo stato sociale.
C'è quindi, bisogno di una forte iniziativa politica a sinistra. A sinistra c'è una preoccupante tendenza alla divisione, alla frantumazione. Dobbiamo e proponiamo a tutte le forze della sinistra alternativa di riaprire un dialogo e un confronto politico e programmatico. A tutti coloro, forze politiche e sociali, associazioni organizzazioni, istituzioni e singoli cittadini che contestano il primato del mercato e che considerano criticamente la subalternità programmatica della sinistra di governo a quel primato come il pensiero unico proponiamo di dar vita a nuovi percorsi di confronto per elaborare un programma per una vera alternativa politica all'attuale sistema. Del tutto diversa, ma assolutamente necessaria è l'iniziativa da stabilire nei confronti dell'altra sinistra, nei confronti dei Democristiani di sinistra. La divergenza tra le due sinistre è di ordine strategico, la vicenda della fine dell'esperienza del Governo Prodi e della nascita del Governo D'Alema hanno accentuato le divergenze e il dissenso di fondo. Ma la crisi profonda della politica e una democrazia ammalata che caratterizzano, ormai, il nostro paese chiedono l'apertura di un confronto immediato con i compagni dei Democratici di Sinistra che sono fortemente critici verso il progetto politico dei Ds e verso il Governo D'Alema. È opportuno far evincere ancora di più le responsabilità politiche della sinistra moderata nel concorso a determinare questa grave crisi.
Proprio per questi motivi è urgente un confronto serio tra le forze di sinistra.

Pasquale Martino, Segretario della Federazione di Bari

La relazione del segretario dà respiro a un partito che è preoccupato. Un partito la cui vitalità è testimoniata dalla riuscita delle iniziative a più forte carattere identitario (le feste, la manifestazione nazionale); ma nelle campagne elettorali si è incrinata la convinzione dei compagni che il Prc incontri quasi spontaneamente i bisogni e le domande politiche. Qualcuno teme di non farcela. È bene che ognuno comprenda che il passaggio delle regionali è decisivo, perché una ripresa elettorale rilancerebbe il partito; il contrario sarebbe molto negativo. Le alleanze sono articolazioni necessarie di una strategia, ma l’obiettivo fondamentale per tutti è far crescere i consensi sul simbolo e sul programma del Prc.
La questione sta in questi termini: i Ds di Veltroni ripudiano, oltre al comunismo, anche il compito di una riforma della sinistra, che pure si erano dati alla nascita: non c'è sinistra da ripensare, basta la gestione della modernizzazione capitalistica. Il Prc ha dunque il compito di una rifondazione della sinistra vera, della quale, come dice Bertinotti, è forza non sufficiente, ma, in quanto soggetto che vuol essere sia partito sia comunista, imprescindibile. Proviamo a costruire un nuovo blocco sociale su un programma che fissi, oggi, i vincoli interni allo sviluppo capitalistico.

Gennaro Migliore Segretario della federazione di Napoli Direzione nazionale

La relazione del segretario segna una discontinuità con l'evoluzione politica del nostro dibattito e indica notevoli contributi sul terreno dell'analisi economica e sociale. Per rispondere a questa sollecitazione sento però la necessità di una accelerazione soggettiva adeguata, che peraltro ritengo difficile dato lo stato attuale del partito. Sul piano analitico è necessario collocare la nostra riflessione sulla funzione storica dei comunisti e del comunismo nell'ambito di un aggiornamento dei caratteri del moderno capitalismo. Un appuntamento aperto ai più vari contributi, che si ponga in relazione con "l'evento", che parli delle nuove centrali del potere e del consenso definisce la qualità dell'orizzonte sociale nel quale operiamo. In questo senso la ripresa dell'iniziativa, che anche a Napoli è evidente, serve se riesce a connettersi con soggetti sociali sempre più colpiti dalla azione concreta di questo governo e dalla modernizzazione in generale. Ma il problema dell’efficacia politica e della capacità di aprirsi non è solo un problema organizzativo è anche l'incapacità di non percepire noi stessi come protagonisti di un intellettuale collettivo, che superi il primato eticista dell'identità a favore di una elaborazione di pensiero complesso.
Ai giovani e a molte forze fuori da noi va consegnata una domanda di innovazione politica che riguarda la nostra autoriforma ed il percorso di costruzione delle sinistre alternative. In ogni caso il confronto con altri da noi non può avvenire sul terreno neutrale delle "pari dignità". Bisogna offrire una disponibilità e vere "cessioni di sovranità" della definizione delle decisioni a far uscire delle gabbie della nostra autoreferenzialità.

Graziella Mascia, Coordinatrice della segreteria nazionale

L’evento di cui ha parlato il segretario sta nella continuità della linea decisa dal precedente Cpn sul tema dell’efficacia della nostra azione politica. La stessa propone oggi una verifica del lavoro svolto sul piano della piattaforma sociale, quale strumento di iniziativa di movimento, e un ulteriore sforzo di progettazione sul partito, quale moderno e insostituibile strumento di lotta e organizzazione politica per contrastare i processi di americanizzazione in corso. Le iniziative politiche e di confronto programmatico avviato nelle singole regioni confermano la possibilità e la necessità di fare del prossimo appuntamento delle elezioni regionali un’occasione importante per ridare dignità alla politica e riportare al centro le questioni sociali nell’iniziativa unitaria, anche in contrasto con le logiche politiciste che caratterizzano il quadro nazionale. I diversi appuntamenti, determinati per iniziativa del nostro partito e di altri soggetti politici e culturali (dalla rivista del manifesto, all’Associazione per il rinnovamento della sinistra, alla sinistra sindacale della Cgil, alla sinistra dei Ds), dicono di un interessante sviluppo del dibattito a sinistra nel nostro paese, in un quadro che sempre più deve guardare all’Europa. La necessità e l’urgenza di un evento, di un fatto politico cioè che ridia credibilità e forza al progetto di una sinistra dell’alternativa, corrisponde ai bisogni del paese e delle classi sociali di riferimento. Esso è sollecitato dall’arroganza delle destre, dal forsennato attacco anticomunista, dallo sviluppo di un tentativo egemonico dei poteri economici e ora anche ecclesiastici (che tentano un affondo sul tema della famiglia e della scuola privata in controtendenza persino con i comportamenti concreti dei propri “utenti”). Ma l’evento oggi è richiesto anche dallo smottamento a sinistra, dalle abiure del segretario dei Ds alla storia dei comunisti e dalle politiche del governo D’Alema, che seminano sfiducia e distacco dalla politica nel popolo della sinistra. Non si tratta di ipotizzare nuove aggregazioni organizzative, né di definire a tavolino quale fatto politico predeterminare, ma di un processo per affermare nel paese un’idea di società, da mettere a punto con i contributi diversi (sociali e politici) che oggi sono tornati a parlarsi. Un impegno che deve articolarsi in tutto il paese e che può contemporaneamente svilupparsi insieme a una ricerca di più ampio respiro che prende in esame anche la storia dei comunisti di questi decenni.

Luca Cangemi, Deputato

Siamo di fronte ad una accelerazione qualitativa dei processi di americanizzazione; dati estremamente rilevanti (dalla crescita esponenziale del lavoro parasubordinato alla ristrutturazione dell’organizzazione del lavoro persino in settori come la scuola) ci parlano della precarietà come tratto generale del mondo del lavoro. Un numero sempre crescente di uomini e donne di questo paese ha una percezione di sé segnata un senso drammatico di solitudine. Le conseguenze sul piano della possibilità di una pratica alternativa sono enormi. Lo iato tra la manifestazione del 16 ottobre e la nostra iniziativa quotidiana indica anche questo: sul piano simbolico la manifestazione riesce a contrastare se non a rimuovere il senso di solitudine, offre uno spazio di agibilità al desiderio di partecipazione. U no spazio che invece con estrema difficoltà si trova nel luogo di lavoro o nel territorio. Si ripropone un elemento irrisolto: l’articolazione della nostra analisi e della nostra iniziativa, della nostra stessa linea. E’ dentro questo quadro che è necessario oggi riflettere sulla questione del governo regionale siciliano emersa nel dibattito. Il compagno Bertinotti ci ha offerto un terreno interessante di discussione, su “Liberazione”, proponendo una lettura della crisi siciliana a partire da una analogia storica con il “milazzismo”. Una proposta feconda perché ci permette di connettere la vicenda politica ai processi dentro la società, anche se alla verifica l’ipotesi di analogia si precisa in una netta diversità di segno: il governo Milazzo fu espressione di forze sociali diversissime, alcune assai arretrate, ma che per un complesso di motivi si ponevano in contrasto con la parte vincente delle classi dominanti dell’epoca ed a partire da questo tentavano un rapporto con la sinistra. Le attuali forze neodemocristiane in Sicilia sono altro: espressione di ceti politici, apparati, pezzi di potere reale in fase di ricollocazione che ben lungi dall’avere interessi divergenti con gruppi dominanti, o anche una semplice propensione diversa, intendono all’intero di essi ritagliarsi uno spazio ed individuano nella partecipazione alla funzione di governo (nella Regione o nei comuni e nelle province) l’unico possibile strumento. Solo così riusciamo a dare un senso a manifestazioni di degrado estremo (una maggioranza in cui ci sono dieci assessori ed undici franchi tiratori, personaggi che nelle stesse ore trattano alla regione con la sinistra e con An e Fi nei comuni), solo con questa analisi delle forze reali possiamo affrontare la fase nuova e difficile che si apre in Sicilia.

Andrea Canonico, della Federazione di Avellino

La situazione italiana caratterizzata da profondo disagio economico e da precarizzazione emarginazione della forza lavoro, in particolare giovanile, apre una crisi sempre più evidente a livello sociale, politica e delle istituzioni. La politica del governo D’Alema, i suoi riferimenti culturali ed ideologici, non hanno ormai più nessi riconoscibili né col patrimonio del movimento operaio e comunista né con la tradizione riformista socialdemocratica. Un governo per il quale, a fianco della salvaguardia del sistema capitalistico, non c’è posto per politiche di redistribuzione del reddito, di difesa della democrazia, di sviluppo sociale, essendo esso traghettatore, nel popolo della sinistra, dei valori storicamente patrimonio della destra: come ad esempio la campagna per la “guerra umanitaria”, la flessibilità, la deregolamentazione del lavoro per indurre occupazione precaria, la subalternità dei bisogni alle esigenze di una organizzazione del territorio subalterna al mercato (vedi Bassolino con Bagnoli a Napoli). E’ di oggi il più prezioso regalo del governo D’Alema alla chiesa, cioè la legge della parità scolastica, che rende la scuola privata equivalente alla pubblica e la finanzia. Questo governo, assoggettando l’istruzione al mercato, diventa regressivo rispetto ai principi laici, liberali, pluralisti. Con tale centro sinistra non si può avere alcun livello di mediazione né tattica (elezioni elettorali) né strategica e contro cui vanno organizzati fronti di lotta popolari dal basso. Nella scuola è prioritario, per Rifondazione comunista accordare il massimo sostegno politico ai Cobas, a cui, in questi giorni questo governo storicamente regressivo e politicamente repressivo, cerca di negare l’elementare diritto di assemblea sul posto di lavoro. In ciò le centrali sindacali Cgil, Cisl, Uil, Snals, diventano oggettivamente l’agente governativo incuneato tra le masse, capace solo di strappare “consensi” alle politiche neoliberiste di “sua maestà” in tale scenario non è pensabile attivare accordi elettorali tattici con questo centro sinistra, antipopolare e antisociale, ma semmai è necessario ricostruire la critica di massa al capitalismo e sviluppare un ampio fronte di aggregazione sociale antagonista dal basso e non certamente dar luogo a consulte con intellettuali borghesi che nulla hanno a che fare con la rifondazione di un partito comunista.

Michele Bonforte

Il confronto con il centro sinistra ed il tentativo di aprirlo, ci sarà al di là delle diverse propensioni. Le elezioni regionali impongono a tutto il partito un patto da cui non si può prescindere. Certo vi sarà una articolazione fra le diverse regioni, ma difficilmente il punto del confronto con la sinistra moderata potrà essere eluso. Corriamo invece il rischio che gli altri punti essenziali, indicati da Bertinotti, vivano una minore capacità di concretizzazione. La costruzione della sinistra alternativa come processo di una intera fase politica rischia di non avere conseguenze operative, in parte significativa delle federazioni. Lo stesso si può dire sulla necessità di riforma del partito, di sperimentazione di pratiche che rompono con l’isolamento e l’autoreferenzialità. C’è rassegnazione e disimpegno ma anche una attitudine, una tendenza politica presente nel partito, che vede come pericolo il confronto con la sinistra critica, con la militanza sociale. Una “idolatria” del partito si erge contro il confronto e l’allargamento della sinistra del partito. Diverse tribune con operazioni di archeologia ideologica, si attacca la riflessione presente nella sinistra sociale come forma attuale dell’anarchismo ottocentesco. E’ dunque forte il rischio di una discussione umanistica nel Cpn che poi isola intere parti del partito dalla pratica concreta della costruzione della sinistra alternativa e dell’innovazione nell’organizzazione del partito. Accade da tempo, lo diceva, che i giovani compagni si iscrivono per poi abbandonare l’anno seguente. Questo partito che spesso non sa gestire le differenze interne, come potrà confrontarsi con le differenze esterne? Allora sulla linea politica e sul partito occorre una discussione chiara, capace di far confrontare le diverse posizioni per poi misurarsi con l’efficace di una iniziativa concretizzata e non solo declamata.

Anna Ceprano della Direzione nazionale

Il problema centrale ritengo stia essenzialmente nell’identità del nostro partito. Nell’ultimo anno abbiamo cambiato orientamento ben quattro volte: prima con il governo Prodi, poi la rottura con questo, poi la dichiarazione di incompatibilità col centro sinistra rispetto alla posizione di quest’ultimo sulla guerra, infine, la più recente svolta sulle regionali che altro non sono che le prove generali per le politiche del 2001. Quale dialogo possiamo aprire con un governo che sta portando a compimento la demolizione dello stato sociale già iniziato dal governo Amato? Quale dialogo aprire con chi cinguetta con Fossa? Non continuiamo a parlare di necessità di azione del partito, questo presuppone un programma, una piattaforma che ci apra a bisogni veri e reali e ci riporti alla lotta vera. Dobbiamo costruirci un’identità forte che non ceda a compromessi elettorali col centrosinistra, ora allargato, che è comunque espressione sul piano regionale di un governo nazionale che si fa fatica a defluire in un altro modo se non di destra, viste le politiche antipopolari e repressive che ha fatto proprie. Perché la nostra azione di comunisti abbia efficacia dobbiamo costruire una battaglia di classe al fianco dei lavoratori e dei precari ma dobbiamo pure finalmente assumere il concetto che pure il disoccupato è - soggetto sociale - differenziandoci sul terreno pratico e politico da questo governo e da questo stato che non lo riconosce tale ignorandone i diritti e i bisogni proponendo l’introduzione di un salario, garantito quando garantito non è il lavoro. E’ indispensabile andare al più presto alla costruzione della conferenza politico-programmatica che inverta la rotta. I convegni con altre sinistre servono solo a parole, non dobbiamo essere altro: ridare fiducia e coscienza alle masse significa non più condurre ma passare al contrattacco.

Bruno Casati, Segretario della Federazione di Milano - Direzione nazionale

Il Partito è come sospeso. Lo si può cogliere dal rilievo che la crisi della sinistra di gestione non trasferisce la propria delusione verso la sinistra di alternativa, ma verso l’esercito di riserva dell’astensione, in cui si incontra con quanti, a sinistra, sono preda della rassegnazione. A tutti costoro va ridata fiducia. Con la percezione che il doppio disincanto non è addebitabile ad errori di breve periodo ma è, soprattutto, il portato dei processi devastanti di questo fine secolo, in cui: l’economia sovrasta la società e abbatte la politica, il mercato sovrasta l’economia, le transnazionali sovrastano il mercato. Nell’insieme, tutto ciò cambia la morfologia e la coscienza di sé dei soggetti in campo. Bisogna allora alzare il tiro e allargare quel campo. Colloco qui il mio consenso per la ricerca dell’allargamento e, quindi, per la Consulta: per riconquistare una credibilità ed un appeal perduti e avviare il percorso dell’alternativa. Già tentando il salto dal programma sociale a elementi di un programma fondamentale. Faccio l’esempio (del salto) sul solo terreno dell’energia ove tutti parlano di privatizzazioni, ma nessuno dice per che politica energetica si debba o non si debba privatizzare; e che industria debba attrezzarsi in rapporto a quella politica; e che operai e ingegneri in rapporto a quell’industria; e che formazione per questi operai; e, infine, che partito è utile per questi soggetti che, se ne colgono la politica, possono dare a questo partito un ritorno in consenso. E questo partito non sia un generico partito del lavoro ma il partito della Rifondazione comunista. Punto e a capo. O fai così o sei infilzato in contropiede dall’altra politica, come quella che a Milano pratica il sindaco con il patto per il lavoro, che parla ai soggetti deboli nel silenzio di una sinistra che non offre nemmeno la speranza (e i contenuti) del futuro. Poi c’è il voto Regionale. Importante. Se si va anche un po’ avanti, forse si gira la boa della crisi. Però facendo politica, senza alleantismi da ultima spiaggia o speculari isolazionismi. Sulla base del nostro progetto si tratta perciò di lavorare per indirizzi e coalizione. E, ai fini del partito, è forse più importante il lavoro per l’accordo che, paradossalmente, l’accordo in sé. Se poi c’è l’accordo, bene. Se si vince (difficilissimo in Lombardia) ancora meglio.

Giuseppe Letizia della Federazione di Caserta

Molto spesso ci troviamo ad affrontare il tema della frammentazione di classe e della disoccupazione strutturale di massa in termini puramente descrittivi, senza far corrispondere alle nostre analisi un programma apertamente orientato alla ricomposizione di classe, alla conquista egemonica delle masse politicamente attive. La piattaforma presentata dalla direzione del partito mi pare non si ponga quest’obiettivo, centrata com’è sull’affermazione di diritti generali, a volte generici. Come interpretare altrimenti l’assoluta assenza di legame tra le 35 ore e le questioni più generali della flessibilità e del salario, anche alla luce del nostro atteggiamento sul contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici? E la questione del pacchetto di servizi primari gratuiti, il cosiddetto salario sociale? Mi soffermo su questo punto in quanto disoccupato io stesso, membro di un comitato di disoccupati. Ritengo questa proposta inadeguata. Credo invece che vada rilanciata e chiarita la proposta del salario garantito a tutti i disoccupati, che non vuol dire “sussidio di sopravvivenza”. Proponiamo il salario garantito legato ad un contratto nazionale, come rivendicazione unificante del mondo del lavoro e del non lavoro, oggi drammaticamente separati. I dati sul lavoro nero in particolare a sud (30% nell’industria e 67% nell’edilizia) mostrano quanto l’offensiva padronale sia alimentata e alimenti l’estrema e oggettiva ricattabilità delle masse di disoccupati e come questo sia sempre più funzionale al peggioramento delle condizioni di lavoro. Salario garantito quindi come misura concreta contro il lavoro nero e per restituire forza, attraverso l’unità contrattuale, al movimento operaio. Salario garantito come strumento di ricomposizione di classe, elemento transitorio e indispensabile della lotta più in generale sul e per il lavoro.

Raffaello Renzacci della Federazione di Torino

Sabato 13 novembre si terrà a Torino l’assemblea regionale per costruire la sinistra sindacale. E’ la prima assemblea del percorso deciso al seminario nazionale del 15-16 ottobre, che vedrà confrontarsi militanti della Cgil nella ricerca di un’alternativa alla linea di Cofferati. La sinistra sindacale dovrà insieme misurarsi sulla costruzione di esperienze contrattuali in controtendenza e sulla elaborazione di un progetto sindacale alternativo a quello della concertazione. Come militanti del Prc siamo impegnati a costruire in Cgil un evento che permetta al prossimo congresso della Cgil di presentare agli iscritti uno schieramento alternativo che renda credibile la possibilità di una Cgil radicalmente diversa da quella attuale. Questo atto di rottura politica è tanto più necessario perché non ci troviamo alla semplice deriva moderata del movimento sindacale ma al progressivo esaurimento dell’idea stessa di sindacato generale. D’Antoni, con la politica sindacale dei doppi regimi, ha già scelto questa prospettiva. Se denunciamo la progressiva subalternità della Cgil al quadro di governo, non possiamo non vedere che sul piano locale la situazione è spesso più compromessa. In molte realtà locali il confine tra amministrazioni e sindacato è molto precario. Ad esempio sono diversi i dirigenti sindacali passati negli ultimi anni alla gestione dei poteri locali è una tendenza significativa. La rottura della concertazione liberista non è un obiettivo che si pone solo sul terreno nazionale. La costruzione di una proposta alternativa ci impone una battaglia nel movimento sindacale a tutti i livelli ma anche una battaglia altrettanto chiara sul terreno del governo, nazionale e locale. Dobbiamo costruire piattaforme territoriali che raccolgano tutti soggetti sociali in rottura con le politiche liberiste, in una prospettiva che non sia quella di spingere verso un centrosinistra un po’ più rosso, ma quella di farne esplodere le contraddizioni.

Aldo Lombardi, Segretario della Federazione di La Spezia

1. La globalizzazione in atto è quella per cui la concertazione in poche mani del potere economico ha persino superato la fase della competizione del conflitto tra Stati. E’ un cemento compatto di enormi poteri economici che svuota e travolge l’idea di Stato. E se il governo D’Alema ha scelto la strada della privatizzazione totale, della massima flessibilità, dell’eliminazione di ogni regola nel più totale disprezzo di ogni diritto sociale, è perché è uno degli attori principali di questa coerente e “organica” politica neoliberista. La politica del governo italiano non è che il modello di questa autodistruzione dello Stato, che affossa ogni diritto e ogni regola, anche i più elementari, su cui quello stesso Stato era nato e si era sviluppato.
2. Ci troviamo così di fronte a una monocultura mondiale, dove economia e politica coincidono, perché questa si subordina alla prima, e dove l’idea che deve accomunare l’uomo all’altro uomo non è più quella del diritto (alla vita, al lavoro, alla dignità, alla salute, al sapere, alla sicurezza della vecchiaia), ma quella del potere e del desiderio di possesso della merce. Ecco perché la nostra battaglia deve essere fondamentalmente culturale, un’alternativa di cultura, una riproposizione di valori che devono legare gli uomini, cosicché l’idea di socialismo o di comunismo non è qualcosa che si aggiunge alle nostre rivendicazioni ma ne è la sostanza. E se è necessario ripensare a tutte le esperienze del marxismo (o dei marxismi) di questo secolo, è per cercare di rafforzare la nostra alternativa, non per gettar via l’acqua sporca col bambino.
3. Che cosa dobbiamo fare? Portare decisamente avanti la nostra piattaforma sociale dei diritti, costruendo, come dice Bertinotti, «un nuovo sistema di rigidità» contro flessibilità, precarietà, deregolamentazioni; ma, se posso usare un’immagine, non facendo entrare questi diritti, e i soggetti che devono appropriarsene, dalla finestra, da dove possono uscire svolazzando così come sono entrati, ma dalla porta, sapendo dove possono andare a posarsi. Penso abbia un po’ questa “pretesa” il progetto-Spezia che la federazione ha elaborato e che avrà come punto centrale la manifestazione del 23 novembre con la partecipazione del compagno Bertinotti.

Domenico Jervolino, della Federazione di Napoli

Il nostro partito vive una fase di sofferenza, che è bene affrontare esplicitamente. C’è un divario, come ha anche osservato la relazione, fra il nostro messaggio e la nostra pratica quotidiana. La rifondazione comunista è un progetto ambizioso che esige un bilancio critico delle esperienze del passato da cui proveniamo (pci, nuova sinistra, con lo sfondo della storia del novecento). E anche un bilancio critico della nostra breve storia che ha visto la coabitazione difficile di culture diverse e due scissioni. Tutto questo è mancato, forse per la preoccupazione di evitare temi difficili e laceranti, ma nel lungo periodo la rimozione è dannosa. E’ meglio gestire apertamente contraddizioni e differenze. La rifondazione comunista è soprattutto un progetto che richiede grande creatività e capacità di innovazione (che altra cosa dal cosiddetto nuovismo) per il futuro, perché essa è intrecciata ad almeno altre due rifondazioni, quella del senso dell’agire politico e quella di cosa significhi essere di sinistra oggi. Senza questo intreccio daremmo vita a subculture di comunismo di destra che sono concettualmente una contraddizione in termini ma di fatto sono esistite, che abbiamo conosciute da vicino e soprattutto rispetto a cui nessuno è vaccinato. Intendo dire che la costruzione di un nuovo partito comunista di massa è una conquista difficile e non un possesso di cui qualcuno può avere l’esclusiva, essa è il frutto di un lavoro culturale, sociale e politico, che deve essere posto all’ordine del giorno delle nostre organizzazioni. Anche per questo abbiamo bisogno di guardare fuori, di evitare ogni sorta di chiusura, di presunzione di autosufficienza. Partito comunista rifondato e sinistra alternativa, plurale non solo non sono in opposizione fra di loro ma possono e debbono aiutarsi reciprocamente a crescere, essendo entrambi non dei dati già esistenti e compiuti, ma dei processi da far vivere nella prassi, incominciando però da subito a porne le premesse.

Roberto Musacchio, della Direzione nazionale

La relazione di Bertinotti, che condivido, conferma ed amplifica quell’idea di cambio di fase di cui parlammo al Cpn di luglio. C’è il rischio di una vera desertificazione accompagnata da forme spinte di americanizzazione. Qui il senso e la necessità dell’evento. Cioè di una capacità insieme di apertura, di ricostruzione di un campo di forze, di rifondazione dell’idea di comunismo che crei un fatto politico all’altezza dei compiti. Certo bisogna misurarsi con la realtà in cui si situa questa proposta politica. Penso ad esempio a come far fronte alla difficoltà di far crescere una opposizione adeguata alla finanziaria. Al di là dei limiti sindacali c’è proprio una complicazione estrema a ricostruire nessi tra il disagio e la mobilitazione contro le politiche che lo creano. Qui tutta la valenza della nostra piattaforma sociale che è proprio lo strumento di cui ci dotiamo per contribuire a ridare legami, obiettivi e prospettive. Penso ad esempio a come tutto il capitolo che va dal lavoro minimo al salario sociale può parlare a chi soffre e lotta contro la disoccupazione e la precarietà. La ricostruzione di movimenti, sul territorio, ma anche riconnessi verticalmente, è decisiva per ridare linfa alla sinistra antagonista. Penso all’esperienza francese dove DAAttacc al movimento dei disoccupati, queste esperienze sono importantissime. Ma questa costruzione richiede un partito capace di essere promotore di movimento e creatore di società, soggetto di trasformazione. Un partito non permanentemente in discussione, ad esempio, su “dentro o fuori dalle giunte”, ma che discute sul che fare per cambiare. Questo è anche il senso della proposta per le elezioni regionali che non può vivere “a tavolino” ma in pratiche reali che cercano di individuare e praticare spazi di inversione di tendenza.

Sergio Facchini, Federazione di Trieste

Le dichiarazioni sul comunismo di Veltroni hanno certamente una funzione tattica: il mantenimento del potere in cambio della definitiva rinuncia all’identità. Ma il segretario dei Ds ha preteso di cancellare anche gli elementi di socialismo presenti nella Costituzione. Ora, questa deriva neoliberista è tutt’altro che scontata per gran parte degli stessi aderenti al partito della Quercia: ne fa fede la militanza di molti in movimenti di resistenza alle iniziative del governo, ad esempio nelle associazioni sorte per la difesa della scuola pubblica. Per questo ritengo che sia insufficiente l’iniziativa del partito verso quanti, nel Pds, oggi sono in crisi e rischiano domani di ritirarsi nell’isolamento. Quest’intervento, concordo con la relazione del segretario, non può essere di tipo nostalgico e acritico: deve riguardare caratteri e prospettive del comunismo oggi e mirare alla costituzione di un’alternativa plurale di sinistra alla politica delle destre e del governo. Tra gli interlocutori con i quali misurarsi, metto in primo piano la Cgil, entro la quale bisogna operare per la nascita di una sinistra sindacale con lo spirito paritario indicato perla prospettiva della Consulta politica. Nell’immediato iniziative concrete di lotta sono realizzabili solo con l’approvazione senza distorsioni della legge per la rappresentanza sindacale, che rafforzi le Rsu, e con l’azione diretta del partito attraverso la pratica dell’inchiesta e la formazione dei comitati di scopo.

Saverio Ferrari, della Segreteria della Federazione di Milano

Sono convinto che la proposta, qui avanzata, di “apertura alla società”, di un rapporto permanente con un arco ampio di soggetti, realtà ed organismi sia sociali che politici, rappresenti in realtà una proposta per costruire il progetto di Rifondazione comunista. In questo senso va oltre il contingente, lo stato di necessità, l’essere un puro fatto tattico momentaneo. E’ una concezione di rapporti, un atteggiamento permanente, ha il significato di una disponibilità continua in nome di una propria parzialità. Stiamo parlando di un rapporto solo con un ceto politico? Qualcuno ha giustamente rilevato che questi interlocutori (dalla sinistra Ds ai pezzi vari di una futura sinistra sindacale, fino ai promotori della rivista “La Sinistra”) non rappresentino ad oggi i soggetti adeguati per un’alternativa. Nell’immediato è certamente assai modesto il rapporto tra essi e la possibilità di una ripresa di movimenti e di conflitto sociale. Ma ciò che va colto è in primo luogo il fatto di una riaggregazione, pur nella forma di una “consulta”, che muove nella direzione di dislocare più forze di sinistra alternativa su più campi intervento. Penso alle convergenze già oggi possibili in difesa, per l’allargamento e la qualificazione dello “Stato sociale”; contro le guerre per la pace; in difesa di una concezione della democrazia. Penso alla rifondazione di un pensiero comunista. Ciò rafforza oggettivamente e predispone le possibilità stesse di una ripresa dell’iniziativa sociale. Ovviamente una “consulta” non può significare né il rinvio né l’inibizione ad una nostra ricerca per definire un nostro “programma fondamentale” ed il nostro modello di società. Se non si avvierà infatti nel contempo una nostra originale riflessione, in questo campo, il rischio assi concreto sarà quello di essere risucchiati in operazioni indistinte ed eclettiche. “Aprirsi” significa anche, in conclusione, rendere più forte, autonomo ed attrezzato il nostro partito anche sotto il profilo ideologico. Ciò non è affatto in contrasto con la capacità di ascoltare, recepire, mettere in discussione le proprie convinzioni.

Franco Grisolia, della Direzione nazionale

Al centro del nostro dibattito è il problema dei rapporti con il centrosinistra, a partire dalla questione delle elezioni e delle giunte regionali. Anche le altre questioni trattate dalla relazione non possono essere viste se non in riferimento a questo elemento centrale. Il necessario dibattito di bilancio sulla storia del movimento operaio non può, ad esempio, dimenticare che il movimento socialista è nato a partire dall’affermazione della sua indipendenza, elettorale e governativa, dal liberal-progressisti, come fondamento dell’indipendenza di classe. Che non si tratti di una questione teorica lo dimostrano le conseguenze negative di ogni esperienza di collaborazione, compresa quella che ci ha riguardato. Perché noi possiamo denunciare nei comizi che i pensionati pagano più tasse e i grandi ricchi meno, dimenticandoci che abbiamo votato la legge che ha provocato quel risultato; o denunciare lo sviluppo massiccio del lavoro precario, dimenticando che abbiamo votato quel “pacchetto Treu” che ha allargato a dismisura tale precarietà. Ma si ricordano bene la generale contradditorietà della nostra politica quelle centinaia di migliaia di elettorali che ci hanno abbandonato verso l’astensione traendo, in modo sbagliato, il bilancio del fallimento della nostra politica di alleanza e pressione verso il centrosinistra. E invece di trarre oggi come partito il bilancio di tutto ciò, si ripropone, a partire dalle elezioni regionali e oltre, lo stesso approccio. Né può salvarci l’escamotage messianico e un po’ bizzarro dell’attesa di un “evento” imprecisato. E’ necessaria invece una svolta vera che dia al partito il ruolo di “cuore dell’opposizione”, punto di riferimento politico per il tentativo di ripresa di un antagonismo di massa.

Vincenzo Pillai, Federazione di Cagliari

La proposta di aprire il confronto con i partiti di centrosinistra in vista delle elezioni regionali, prestando massima attenzione ai contenuti programmatici e alla credibilità dei personaggi politici coinvolti e, al contempo, di promuovere “la consulta” con le forze antagoniste disposte a impegnarsi nella lotta contro questo governo e più in generale contro la globalizzazione e il pensiero unico, mi sembra pienamente condivisibile. I problemi maggiori sorgono al momento della gestione di questa proposta. La Sardegna fornisce un esempio positivo e uno negativo e ne parlo unicamente perché può essere utile ai compagni delle altre regioni conoscerli. Siamo entrati in giunta nell’ultimo anno della scorsa legislatura sulla scia di un forte impegno del partito attraverso la marcia per il lavoro e con il progetto di un piano per il lavoro sul quale abbiamo costretto tutte le altre forze a misurarsi, facendo così di Rifondazione comunista il soggetto politico riconosciuto sia di un’azione concreta per la lotta alla disoccupazione sia di un rinnovamento della giunta di centrosinistra. Un anno di lavoro non è stato sufficiente per recuperare quanto la giunta non ha fatto nei quattro anni precedenti e le elezioni di quest’anno hanno registrato una situazione di stallo. Si è sviluppata una difficile discussione su come procedere; A mio avviso durante la lunga trattativa per la giunta si sono persi di vista i due criteri guida di cui dicevo all’inizio fino al punto di scartare la proposta, che alcuni di noi avanzavano (come minor male) di un appoggio esterno alla giunta; si è chiuso un accordo, comprendente Grauso (al di fuori quindi delle indicazioni nazionali del partito), che oltre a non farci onore e a creare malessere nel partito, non ha neppure retto alla prova del voto in consiglio regionale. Ora dobbiamo riprendere con coraggio l’iniziativa per ricostruire unità, ruolo, immagine del partito e le alleanze giuste per contrastare le scelte neoliberiste del governo.

Paolo Cacciari, Consigliere regionale del Veneto

Se l’"apertura" e l’"evento" servono ad andare nella direzione del sociale e del reale, allora sono d'accordo. Condivido l'esigenza di sperimentare forti innovazioni della forma organizzata del partito di massa. Modelli, modalità, comportamenti e cultura politica. La domanda giusta è: di che partito abbiamo bisogno oggi? Un partito che sappia navigare nel mezzo di questa modernizzazione iper-neo-liberista. C'è chi pensa che un partito sia tale solo se e fino a quando conta nelle istituzioni. Io penso invece che la prima legittimazione, un partito comunista la debba trovare nei suoi legami diretti, non delegati, extraistituzionali, con le forze sociali reali. Un partito che sappia riconoscere e suscitare le contraddizioni di classe, di genere, di generazione, ambientali, che il capitalismo genera in misura sempre più rilevante. Ma la "coscienza di classe" non si produce per inoculazione dall'esterno. Non esiste più un partito sovraordinatore che giudica e guida. Il sociale, quindi, come prima militanza comunista, come preliminare impegno delle persone che si dichiarano comuniste. Sogno circoli e federazioni che organizzano la partecipazione dei compagni e delle compagne alla vita sociale, sindacale, culturale, democratica a partire dai luoghi di lavoro. Un partito capace di mappare i luoghi della conflittualità e i movimenti molecolari di cui è attraversato il territorio: comitati, gruppi, associazioni, reti di autodifesa della salute, degli immigrati, degli inquilini, dei lavoratori... Tra questi luoghi di pratica vera della critica e del conflitto vanno inserite a pieno diritto anche molte delle esperienze di autogestione e autorganizzazione del lavoro cooperativo e autonomo giovanile nei servizi culturali, nell'istruzione, nella cura, nella conservazione del patrimonio storico e naturale... Tutte queste soggettività hanno raggiunto una compiuta coscienza di classe? Prospettano una società comunista? No di certo. Non tutte almeno. Ciò non significa che non si debba stabilire con loro forme stabili di collaborazione, patti pubblici, aggregazioni per far valere anche sul terreno istituzionale le ragioni e le necessita di un'alternativa di società. Non credo che ciò voglia dire eclettismo movimentista contro ortodossia dottrinaria. Evitiamo abiure e presupponenze che ci precludono possibili indirizzi e campi di ricerca della rifondazione. Sarei felice se l’"apertura" e l’"evento" dovessero servire anche a tirare fuori dal "gorgo" virtuale della società politica i vari spezzoni del glorioso comunismo italiano per trascinarli nel gorgo reale in cui stanno letteralmente affogando ampi settori della popolazione.

Elena Majorana della Federazione di Catania

In Sicilia la decisione di contribuire al tentativo di dar vita ad una nuova giunta di centro-sinistra ha determinato disagio nel partito e rischia di penalizzare l'azione politica. Lo scandalo delle tangenti per la costruzione dell'osp. Garibaldi di Catania aveva portato all'incriminazione di Firrarello, Castiglione e Cusumano (Udr, o giù di lì) e per la prima volta compariva nelle cronache siciliane, attraverso il coinvolgimento del suo socio Ing. Ursino, il nome di Mario Ciancio (editore che controlla tutta l'informazione isolana, nonché sostenitore di Bianco). Questo intreccio fra interessi politici, imprenditoriali e mafiosi prova il rinsaldarsi e il ricostituirsi su basi tutte ancora da indagare del potere isolano ad egemonia democristiana. Processo certamente favorito dalle concrete politiche economiche e sociali della Giunta Capodicasa, attuale in stretto rapporto col governo D'Alema. In questo quadro l'impossibilità di dar vita ad un Capodicasa bis era largamente prevedibile, non si tratta di uno smacco dovuto all'avidità di forze residuali, ma dell'esito scontato delle capacità di rinsaldarsi del blocco di potete Dc, in un momento che anche sul piano nazionale vede il governo D'Alema sottoposto al ricatto degli ex Dc (colpisce la contemporaneità fra l'assoluzione di Andreotti e la caduta di Capodicasa). L'insistere su questa strada preoccupa molti/e compagni/e che non ritengono il milazzismo una esperienza storica a cui rifarsi, e l'Udeur una forza populista ma non reazionaria.

Mirko Lombardi, Consigliere regionale Lombardia

Non basta condividere la relazione del segretario, impegnativa per la linea che propone: bisogna praticarla. Solo così possiamo verificarne l'efficacia e mettere a fuoco con precisione le difficoltà dentro e fuori il partito. Siamo di fronte ad una accelerazione fortissima della deriva moderata: ciò rende comprensibile pessimismo e stanchezza, ma ci devono muovere i segnali di contraddizione e di incompiuta egemonia del processo di americanizzazione dentro i quali sono possibili spazi, a volte anche grandi, di iniziativa politica nostra. Con un partito aperto. Sì, aperto senza né se, né ma, né però! Aperto a tutti coloro che, anche parzialmente, anche contraddittoriamente, manifestano una critica alle politiche neoliberiste.
Sono d'accordo con la proposta sulle elezioni regionali. Mi pare uno sviluppo conseguente alla linea generale e per nulla in contraddizione con la severissima critica ed opposizione al governo D'Alema.
Ma anche qui è necessaria chiarezza. Chi non è d'accordo lo dica senza nascondersi dietro pregiudiziali che chiunque coglie come muri sempre alla fine di un confronto. D'altronde la vera autonomia politica vive non dandosi ragione l’un l'altro, ma nel confronto politico con altri, nella dialettica e, se necessario, nello scontro fra posizioni diverse, tenendo ben presente che la forza delle nostre idee e delle nostre opzioni programmatiche sta anche nel consenso di movimento che riusciamo a costruire intorno ad esso.

Tiziano Di Clemente della Federazione di Isernia

È ormai evidente la natura di classe del"centrosinistra" quale rappresentante degli interessi di industriali e banchieri, sebbene l'alta borghesia italiana sia ancora alla ricerca di un referente stabile in questa fase transitoria. Autonomia significa perciò che il Prc entra definitivamente nell'ottica di organizzare la lotta di classe contro la feroce offensiva capitalistica mossa dal centrosinistra (da Prodi a D'Alema ad altri suoi futuri premier). Non dunque l'accordo politico-elettorale con esso che ha gia portato il Prc ad una corresponsabilizzazione in politiche confindustriali. Ciò deve essere assunto dai comunisti come principale antidoto anche per frenare la destra. Unità, per i comunisti, dovrebbe significare processo di costruzione di un fronte unico tra le masse popolari (lavoratori, disoccupati, pensionati, studenti eccetera), mediante la messa a punto di una piattaforma aggregante e unificante, che parta dai loro concreti bisogni immediati, legata alla prospettiva anticapitalistica da un programma di medio-termine. Ma per la maggioranza del gruppo dirigente l'unità si riduce scleroticamente ed in sostanza ai soliti accordi con gli apparati del centrosinistra o alla moltiplicazione di assessori in giunte che in definitiva gestiscono gli interessi delle imprenditorie locali, con la conseguente separazione del Prc dalle reali esigenze della sua base sociale. Ciò, non solo ha innestato pericolosi processi che definirei di "cretinismo istituzionale" e di "settarismo-opportunista", ma ha anche prodotto l'incapacità di intercettare il disagio sociale che nasce dalle nefandezze del capitalismo. La verifica dei vari governi locali del centrosinistra, evidenzia come il Prc, messo in una gabbia borghese, si espone allo snaturamento della sua ragione comunista e perde la stessa forza elettorale: nel Molise, la mia regione, dopo 5 anni di governo insieme all'Ulivo si è passati dall'8,5% al 3% circa.

Claudio Grassi Tesoriere – Segreteria nazionale

Nell'ultimo Cpn abbiamo articolato il nostro lavoro attorno a 4 questioni: 1) Sinistra moderata, 2) Sinistra alternativa, 3) Questione sociale, 4) Partito. Ritengo che le proposte avanzate dal Segretario siano un loro sviluppo naturale. 1) Sinistra moderata. L'accelerazione della deriva centrista dei Ds rende impraticabile qualsiasi ipotesi di accordo per le elezioni nazionali. Ma la valutazione non può fermarsi a questo. Per la prima volta i Ds svolgono un Congresso con una mozione della sinistra. Permane uno spiraglio di dialogo in vista delle prossime elezioni regionali. Non è positivo per noi poter lanciare una offensiva sui programmi, sfidandoli fino all'ultimo con una proposta unitaria, anche se poi saremo costretti ad andare da soli? Io credo di sì. E mi sembrano fuori dalla realtà i timori di omologazione e di scarso radicalismo. Rottura del governo Prodi, forte mobilitazione contro la guerra, presenza di un nostro candidato alternativo in 4 collegi su 5 nelle prossime elezioni: dov'e il deficit di radicalità? 2) Sinistra di alternativa. Un anno fa li avevamo tutti contro; oggi c'è un dialogo con alcune soggettività tra cui l'Associazione per il rinnovamento della sinistra, Il Manifesto. Una Consulta per mettere a confronto posizioni e culture diverse non può che essere positiva. 3) Questione sociale. Il dato più interessante è l'avvio della costituzione di un'ampia sinistra sindacale nella Cgil. Sulla questione sociale avverto una debolezza dell'iniziativa del partito. È insufficiente il lavoro svolto attorno alla petizione sui salari. Dove è stata fatta con serietà sono state raccolte migliaia di firme. Il lavoratore dipendente, che resta il soggetto centrale di qualsiasi ipotesi di trasformazione della società per la contraddizione concreta che vive, deve essere di più al centro della nostra iniziativa. 4) Il Partito. Visto che da questa tribuna sono state avanzate ipotesi di partiti genericamente di sinistra o del lavoro, è bene sottolineare che il Partito della Rifondazione comunista non intende né cambiare origine sociale, né diluirsi in indistinte aggregazioni. Anzi, maggiore forza e radicamento sono le condizioni per rendere credibile una ipotesi di sinistra alternativa. Questo significa non essere disponibili all'innovazione? Nient'affatto. Questo significa che non posso disfarmi dello strumento partito, anche se è in crisi, se prima non ho non solo nella fantasia, ma nella realtà un modello organizzativo più efficace e funzionale. Come diceva Berlinguer, un partito conservatore e rivoluzionaria, cioè che sa essere rivoluzionario conservando il meglio di se e della propria storia.

Monica Macchioni della Federazione di Modena

La relazione del compagno Bertinotti, ampia, complessa, articolata, offre molti spunti di riflessione. Concentrerò la mia attenzione sugli aspetti che maggiormente, secondo la mia modesta analisi, necessitano di una puntualizzazione: il partito e le sfide, le prospettive politiche che ci attendono. Senza nasconderci le difficoltà politiche ed economiche alle quali l'ultima scissione, da noi fortemente sottovalutata, ed il crollo elettorale ci hanno portato, urge aprire una riflessione sul senso della costruzione di un partito comunista di massa oggi, di fronte ad un'atomizzazione sociale crescente, responsabile della perdita di coscienza dei lavoratori di essere classe.
Ha senso, in un contesto sociale così eterogeneo e mutato parlare di partito comunista di massa? Secondo me sì. Ovviamente, con tale formula non si vuole riproporre in blocco un modello precostituito fine a se stesso, ma si vuole rilanciare l'importanza di uno strumento indispensabile per l'organizzazione ed il protagonismo di coloro che sentiamo il dovere e l'ambizione di rappresentare e tutelare.
In questo Cpn si è parlato dell'apertura del nostro partito all'esterno, di un'apertura senza "se" e senza "ma". Ben venga il confronto con interlocutori esterni, ben venga la costruzione di comitati di scopo, di piattaforme comuni, positiva l'organizzazione di assise e convegni: ma sempre tenendo ben presente che tutto questo ha senso se contemporaneamente si progetta non il superamento della forma partito, ma un lavoro di elaborazione dello stesso, in modo da andare verso un partito forte e strutturato, radicato nella società, attento anche a far pesare la propria presenza attraverso circoli territoriali, di lavoro, di studio, in grado di creare strutture di vita associativa e di lotta.

Giovanni Russo Spena, Presidente dei senatori del Prc - Direzione nazionale

Vi è, in settori del partito, una ricerca affannosa dell’"identità perduta" che finisce con l'essere una scorciatoia organicista e conservatrice, secondinternazionalista, sul piano della concezione del partito e moderata sul piano del rapporto diplomatico con il centrosinistra.
Io sento che la crescita del nostro partito come partito comunista militante e sociale deve assolutamente rovesciare questo paradigma: bisogna darsi il "passo lungo" di chi legge dentro e contro i codici di un processo di modernizzazione che produce precarizzazioni devastanti, una rivoluzione industriale reazionaria, una "rivoluzione passiva" conservatrice nella riorganizzazione dei poteri politici istituzionali. Non può farcela un partito comunista che non ricostruisca i nessi sociali, le arterie della società; che non sappia "fare società" (centri sociali, case del popolo, camere del lavoro territoriali); non può farcela un partito comunista che non si metta organicamente in relazione programmatica e di iniziativa con le altre culture critiche, antiliberiste, gettando le basi per la costituzione di un vero e proprio "popolo delle sinistre alternative", in cui il nostro partito cresca, essendone il cuore e non una costola marginale.

Matteo Malerba Segretario della Federazione di Vibo Valentia

Questo Cpn cade mentre risuonano nelle orecchie le parole del segretario Ds Walter Veltroni: «il comunismo è incompatibile con la libertà». Parole pesanti che mortificano e falsano la storia dei comunisti, fatta di sacrifici e morti per la giustizia sociale, la democrazia e la libertà. Queste dichiarazioni mi fanno tornare alla mente il comizio, in occasione delle elezioni del 1996, a Vibo Valentia con il nostro segretario Fausto Bertinotti. Quel giorno il nostro servizio d'ordine bloccò e non fece salire sul palco l’orda di democristiani che accompagnavano Veltroni in giro con il pullman dell'Ulivo, democristiani che tanto male hanno fatto alle popolazioni calabresi e vibonesi e che oggi, divisi in tante sigle, gestiscono le politiche antipopolari e liberiste del governo D'Alema.
Veltroni restò intruppato dietro il palco con i nemici dei lavoratori e dei comunisti, posto naturale visto le dichiarazioni odierne. Ritorna in mente con rabbia quell'episodio, per il solo fatto che oggi si pensi sia possibile fare alleanze di governo nelle regioni con questo centrosinistra aggravato, specie al sud, da un personale politico inaffidabile, artefice delle politiche trasformiste e dei ribaltoni. Fa rabbia perché il 16 ottobre a Roma ci siamo andati con lo stesso spirito del 1996: ribadire chi son i nemici dei lavoratori, e nonostante le difficoltà, continuare a lavorare per la costruzione di un progetto autonomo di classe che passa sicuramente attraverso la crescita di una nuova generazione di comunisti intorno ad una piattaforma strategica legata ad obiettivi immediati di tutela sociale e salariale.

Marco Gelmini, responsabile nazionale energia

Condivido la proposta che è stata avanzata da Fausto Bertinotti; cioè di un partito che parte dalla consapevolezza di non essere, da solo, sufficiente. Della necessità di far vivere la nostra piattaforma (necessariamente approfondita ed articolata) trovando contributi ed alleanze anche su singoli punti. Vorrei partire da qui toccando 3 punti.
1) Il 26 novembre i delegati di 11 tra le 21 centrali Enel che il governo ha deciso di vendere, hanno proclamato uno sciopero nazionale. In questo c'è il lavoro che da tempo stiamo svolgendo per la nascita di un comitato di lotta per avere le garanzie per il lavoro, per un piano industriale, per il mantenimento di un servizio essenziale che resti pubblico noi ci siamo in questa lotta ma occorre mettere a disposizione tutte le nostre forze per coordinare questo lavoro ed approfondire la questione energetica.
2) Venerdì scorso abbiamo svolto il secondo seminario nazionale sull'inchiesta lavoro. Sono oltre mille i compagni che hanno lavorato e stanno lavorando sull'inchiesta. Vi è un ampio numero di esperienze concrete che pongono l'inchiesta al centro del lavoro di massa; questo non significa che le strutture organizzative e dirigenti del partito siano diventate un elemento propulsivo. Vi è una situazione diversificata a partire dalle stesse strutture nazionali, nonostante l'inchiesta sia stata al centro (forse l'unico tema) della proposta congressuale. In alcune situazioni sono le federazioni o i regionali ad essere punto di riferimento del lavoro d'inchiesta, più spesso il lavoro si sviluppa per iniziativa di circoli aziendali o territoriali o di gruppi di compagne/i a fronte di indifferenza e passività delle strutture più centrali (quando non incontra ostilità o differenza). C'è cioè una sorta di separazione tra l'inchiesta ed il lavoro politico/la politica "comunemente detta". L'inchiesta doveva e deve essere una sorta di salutare scossone al nostro modo di lavorare con delle positive e necessarie ricadute anche sulla selezione dei gruppi dirigenti e sulla definizione della linea politica.
3) Sul partito: mi pare non rinviabile il rinnovamento della nostra pratica politica e dell'organizzazione, in linea con quanto proposto nella relazione di Bertinotti.

Alessandro Leoni, della Segreteria regionale della Toscana

È ormai consuetudine del gruppo dirigente, praticamente, in ogni occasione, parlare del diffuso malessere del partito. Il rischio che vedo è la nascita di un manierismo della critica tale da costituire una specie di rituale attraverso il quale esorcizzare l'assunzione di precise responsabilità. Il Cpn ultimo scorso aveva fornito una scaletta d'impegni prioritari, a breve scadenza, sulla quale era naturale attendersi un primo bilancio, una verifica di come si fosse proceduto, di quali risultati fossero stati ottenuti e conseguentemente un’interrogazione sui motivi delle inadempienze o difficoltà incontrate e sulle eventuali responsabilità maturate. Niente di tutto ciò! Così procedendo il partito non maturerà né uno stile di lavoro corretto, né tanto meno, costruirà una cultura politica adeguata alle necessità, impellenti, tanto più evidenziate dal fatto che la nostra analisi, sull'involuzione neoliberista del ''centro sinistra" conosce una fin troppo macroscopica conferma. La scadenza delle elezioni regionali che, a mio giudizio, segnerà, malgrado tutto, un apprezzabile recupero elettorale, dovrà anche registrare l'avvio di una seria valutazione, verifica della stato politico ed organizzativo del Prc con la altrettanto consequenziale valutazione del gruppo dirigente, tutto compreso, del partito.

Roberto Pucci, Segretario della Federazione della Versilia

Probabilmente la vera novità non sta tanto nella nostra "apertura" che di fatto è sempre esistita verso un certo mondo politico sociale, ma piuttosto nel fatto che solo oggi in questo mondo si manifestano segnali di resistenza alla deriva culturale oltre che politica della cosiddetta sinistra di governo, che proprio per restare al governo ha rinunciato ad essere sinistra. Nel sindacato, nei Ds, nella società cresce una opposizione alla liquidazione del passato come nuova premessa per poter vendere a prezzi stracciati quel che resta nel presente dello stato sociale, della Costituzione delle garanzie per i più deboli. Segnale importante è il controvertice di Firenze del 21-22 novembre promosso dalle forze antagoniste contro il summit dell'Ulivo mondiale, quello della guerra, delle globalizzazione, delle flessibilità. Possiamo essere decisivi in questa fase se riusciremo a favorire l'aggregazione di chi si oppone al dilagante pensiero unico. Niente timori, niente pausa di contaminazioni, un partito comunista può anche rimanere schiacciato in un angolo, ma dagli eventi, dalle forze, delle forze dell'avversario, non per scelte proprie, altrimenti si imprigiona, si consuma, crede di vivere alimentandosi nel compiacimento di se stesso, invece vegeta osservando ed elencando le nefandezze degli altri, non incide non partecipa al cambiamento della società. Entriamo nelle contraddizioni di questa società come comunisti, con il nostro nome e la nostra storia, che critichiamo, che ripensiamo ma che è servita a contrastare l'altra storia, quella dell'occidente capitalista, del Vietnam, del Cile, della Cia, di tangentopoli, del colonialismo e via via elencando.

Roberto Sconciaforni, Segretario della Federazione di Bologna

La sconfitta elettorale subita dal nostro partito il 13 giugno ha reso necessario l'avvio di un'ampia riflessione sulle cause di quella sconfitta e su come rilanciare l'attività e le iniziative del nostro partito. I quattro punti fissati nel Cpn di luglio (rapporto con la sinistra moderata, rapporto con la sinistra alternativa, iniziative sociali, partito) rappresentano sicuramente i punti principali attorno ai quali ripartire.
La potente offensiva, internazionale e nazionale, dei processi neoliberisti rende sicuramente difficile l'azione del nostro partito: tuttavia il forte malessere sociale che nasce dai processi di ristrutturazione liberista, la deriva moderata e centrista del governo D'Alema, il ripudio politico e culturale della storia del movimento operaio e comunista operato dal segretario dei Ds Veltroni, aprono oggettivamente ampi spazi all'iniziativa e alla lotta per l'egemonia del nostro partito. Il punto è saper cogliere queste potenzialità. Io credo che la ricostruzione di un movimento di classe non possa prescindere dalla rinnovata centralità e dal protagonismo delle classi lavoratrici. Da qui la necessita, da parte nostra, di mettere al centro le battaglie sul salario, sull’occupazione, sulla sicurezza nei posti di lavoro, sui lavori atipici e formalmente autonomi. Inoltre la necessità di rilanciare il conflitto sul lavoro implica un grande sforzo, politico, organizzativo e finanziario, per radicare il Prc nel territorio e nei luoghi della produzione (dalle fabbriche alle imprese di servizi, dalle scuole alla pubblica amministrazione).
Le tesi liquidatorie sulla forma partito, che esprimono la rinuncia a organizzare politicamente le masse, vanno quindi respinte. Solo con un forte partito comunista, organizzato e radicato, possiamo pensare di rapportarci in maniera più intensa con tutte le soggettività critiche verso gli attuali processo neoliberisti, senza rischiare di perdere la nostra autonomia cedendo quote di sovranità, ma individuando quei temi politici, economici e sociali su cui è possibile costruire comuni mobilitazioni di lotta.

Francesco Ricci, della Direzione nazionale

L'Evento è come la Fenice di Metastasio,: che ci sia ciascun lo dice, dove sia (e cosa sia) nessun lo sa. Forse è solo l'ultima di tante più o meno felici formule impiegate per adornare una pratica non entusiasmante. Rimpiazza l'usurata "svolta riformatrice" (delle politiche dei governi borghesi), della quale conserva oltre all'aurea immaginifica la concretizzazione nella ossessiva ricerca di accordi di governo col centrosinistra. Come quelli già stretti in Sicilia e Sardegna, con esiti non proprio da Evento, o come quelli previsti.in Lombardia, dove si annuncia l'Avvento di Martinazzoli, già ministro di Giustizia di Craxi, già segretario della Dc, già sindaco di una giunta anti-operaia. Un Martinazzoli che certo cita Marx e la necessità di "cambiare il mondo", ma il fatto che voglia farlo con uomini come Tognoli e Formentini non è proprio rassicurante. L'Apertura alla cosiddetta sinistra critica e l’opposizione al governo D'Alema (ma non ai governi locali che ne applicano la finanziaria) non confliggono con la marcia di riavvicinamento a un eventuale governo di centro-sinistra nel 2001, ma ne sono la premessa. Le diverse anime della "sinistra critica" sono accomunate dalla "critica" (quella sì reale) alla nostra rottura col governo Prodi e sollecitano (vedi Grandi) un nostro rientro, che costituirebbe - oggi come nel 2001 - la scomparsa definitiva del Prc come potenziale asse di un polo di classe. Cosa nascerà dalla Consulta? Non è un mistero che si pensa (e qualcuno lo dice) alla gestazione di un "partito del lavoro" che potrebbe nascere sullo sfondo di una scomposizione dei Ds e di un approdo della loro maggioranza al "partito democratico". Dunque sia negli sbocchi immediati che in quelli futuri è rimossa la rifondazione di un progetto comunista e di un partito che ne sia lo strumento. Non a caso si è respinta la richiesta di convocare persino entro l'anno 2000 la sempre annunciata Conferenza sul programma fondamentale del Prc.

Dichiarazione di voto di Livio Maitan

A nome anche di altri compagni e compagne dichiaro di astenermi. Concordo con molte parti della mozione proposta, in particolare con l'ultima parte e con l'impostazione di apertura, al di là di specifiche valutazioni. Tuttavia, se è positiva la decisione di convocare un convegno sul partito, non sono state accolte le considerazioni avanzate nel dibattito su criteri e forme di funzionamento e su diffuse situazioni di sfaldamento, anzi nella replica del segretario sono state esplicitamente criticate. In secondo luogo, il fatto che non si siano espresse valutazioni critiche su esperienze come quella della Sicilia e della Sardegna conferma che su questo terreno esistono divergenze. Le regionali costituiscono un banco di prova anche in vista delle politiche. Da parte del centrosinistra non si intravede neanche localmente nessuna inversione di tendenza rispetto alle politiche neoliberiste, premessa necessaria di eventuali accordi. 

Enzo Jorfida del Dipartimento nazionale Organizzazione

La manifestazione del 16 ottobre è stata preparata nei 20 giorni precedenti e cioè in contemporanea allo sviluppo dell'iniziativa dei circoli per la raccolta delle firme a sostegno della petizione del partito. Una manifestazione grande, che ha risentito degli sviluppi negativi della politica economica del governo (aumento dei prezzi e delle tariffe). Altro che partito in crisi e allo sbando! Aumentano i profitti, i disoccupati, i precari, i poveri.
Diminuiscono il potere di acquisto di salari e pensioni, i lavoratori tutelati e i diritti! Occorre però rilanciare con forza l'iniziativa di massa del Partito nelle federazioni e nei comuni riprendendo con forza e fare i banchetti per la raccolta delle firme. Siamo alla fine dell'anno e i dati ci dicono di risultati estremamente positivi, negli oltre 160 circoli di luogo di lavoro, riferiti al tesseramento 1999. Il segretario ci ha proposto di aprire il partito. Ed è proprio dai luoghi di lavoro che occorre ripartire per costruire una più avanzata politica delle alleanze fra i comunisti e i settori critici. Il rinvio della legge sulle 35 ore, sulle rappresentanze sindacali, la deregolamentazione dei diritti sulla salute e sugli orari di lavoro (notturni), la perdita del potere di acquisto sono terreni fertili per estendere l'influenza, l'egemonia dei comunisti sui lavoratori oggi non comunisti. Ma occorre anche esaltare il ruolo autonomo del Partito nei luoghi di lavoro per diminuire le tendenze all'appartenenza ai vari sindacati. Il segretario ci ha proposto di iniziare a pensare su un corpo di idee per rilanciare teoria e prassi del comunismo, oggi! Ebbene perché, ad esempio, non iniziamo a lavorare con i circoli aziendali per organizzare conferenze di luogo di lavoro per discutere con i lavoratori cosa produrre (merce servizi) come produrre e dove produrre?

Antonio Moscato della Federazione di Lecce

Nella relazione, ho apprezzato l'accenno alla necessità di un'autocritica del gruppo dirigente (senza scaricare sulla base la responsabilità di non aver saputo "applicare la linea"), e il richiamo a quella fatta con severità da Di Vittorio dopo la sconfitta della Fiom-Cgil alla Fiat nel 1955. E noi, che abbiamo accumulato diversi insuccessi dal 1996 ad oggi, dobbiamo farla con lo stesso spirito. Ad esempio siamo investiti di riflesso dalla scandalosa campagna sulle "colpe del comunismo" che anche se ha come principale bersaglio gli ex comunisti Ds, per spingerli a buttare ancora qualche bambino (tenendosi l'acqua sporca), ci costringe a giocare di rimessa. Ci troviamo anzi con una parte del partito che si arrocca in difesa anche dell'indifendibile (offuscando non solo la nostra immagine, ma il nostro progetto, inquinato da chi esalta Milosevic o la Cina di piazza Tien Anmen). Perché è possibile ciò? Perché non abbiamo saputo fare quella discussione approfondita sulle ragioni del crollo del "socialismo reale", che ci eravamo impegnati a fare. Non lo abbiamo fatto per timore di urtare suscettibilità e "nostalgie", o forse di mettere a confronto le analisi di chi aveva colto quella crisi con grande anticipo e chi si era illuso fino all'ultimo (e la colpa non è solo di Cossutta). Più passe il tempo e più si rafforzano posizioni irrazionali che non capiscono che quella società era estranea al socialismo da decenni, e non era alternativa all'imperialismo. Non si trattava di "votare" su questo, ma di far circolare un patrimonio di analisi di cui non eravamo certo privi. Mi è piaciuto l'accenno al Prc con testa antiistituzionalista e pancia istituzionalista: ma è sempre più visibile solo quest'ultima. Anche per questo siamo sfuggiti a quella discussione: abbiamo compagni esperti nel contrattare assessorati (ce li danno anche quando non abbiamo un solo consigliere, per tenerci buoni) ma incapaci di fare una relazione sul contesto internazionale, che pure pesa tanto sulla nostra azione. Nei nostri Cpf c’è un grave deficit di discussione politica.