Riunione Direzione del 31 luglio 2006

Relazione di Franco Giordano

Siamo alla vigilia della pausa estiva e questa convocazione può apparire inconsueta, ma è sicuramente necessaria per dar vita ad un confronto fra di noi, per tracciare un bilancio dei primi mesi di governo e per verificare lo stato delle relazioni con i movimenti protagonisti delle lotte sociali in atto nel nostro paese.

Per quanto riguarda un primo bilancio delle attività di governo, va detto che nonostante la maggioranza risicata al Senato, si è avuta una buona tenuta complessiva e lo dimostrano tre importanti provvedimenti adottati:
- Decreto Bersani, che oltre a colpire importanti e consolidate rendite di posizione, ha anche segnato l’inizio di un percorso nuovo che sarà necessario riprendere in occasione della prossima finanziaria, quando si dovranno intensificare le iniziative di lotta all’evasione ed elusione fiscale per accelerare il processo di risanamento del debito pubblico e per rilanciare politiche di redistribuzione del reddito;
- Indulto, ottenuto grazie ad un eccellente lavoro dei nostri gruppi parlamentari di Camera e Senato che hanno dato vita ad un ampio dibattito interno, oltre che a dichiarazioni di voto ed interventi in aula di notevole spessore. Così abbiamo tracciato la strada del garantismo respingendo con forza gli attacchi regressivi e conservatori, talvolta reazionari, di alcune forze politiche di maggioranza oltre che di opposizione, pur andando contro il sentire comune di gran parte dell’opinione pubblica italiana.

- Missioni militari, con un netto mutamento della politica estera del nostro paese, voluto con forza dal movimento pacifista e reso evidente dal ritiro totale delle truppe dall’Iraq e dalla contemporanea revisione degli obiettivi e della natura della missione in Afghanistan. E, diversamente da quanto fatto da Zapatero che ad un pronto ritiro dei militari dall’Iraq ha triplicato le truppe spagnole presenti in Afghanistan cedendo alle imposizioni della Nato, noi ci siamo opposti all’invio di ulteriori uomini e mezzi così come richiesto dallo stesso segretario generale della Nato. La conferenza di Roma, a causa di una forte opposizione degli Usa, anche se ha prodotto in Libano una semplice tregua di 48 ore e non l’immediato ed incondizionato cessate il fuoco come da noi richiesto, ha fatto emergere una nuova soggettività politica del nostro paese. Inoltre, va detto che le forze di interposizione di cui noi chiediamo l’invio dovranno garantire da subito il cessate il fuoco sia in Libano che a Gaza ed in Cisgiordania, non per stabilizzare l’occupazione militare israeliana, ma per ottenere la fine delle violenze nell’area e riattivare il processo di pace tramite un dialogo fra tutti i soggetti coinvolti direttamente e indirettamente nel conflitto. Tuttora è stata violata la tregua con il verificarsi di un orribile massacro: Israele deve rispondere al mondo intero delle sue azioni e gli Usa non possono continuare ad avallare la sua posizione a tutela dei propri interessi, destabilizzando tutta l’area. Da oggi in poi qualunque decisione dovrà essere concordata, anche il ritiro unilaterale da Gaza non ha prodotto alcun effetto. Il sogno dei killer di Rabin si sta avverando: si sta affermando la guerra perpetua con la conseguente interruzione di ogni trattativa di pace. Noi dobbiamo continuare nella ricerca del dialogo e nella richiesta del cessate il fuoco immediato.

Quello che è mancato in questi primi mesi, invece, è stato il collante con il nostro popolo, un confronto diretto con esso. Rifondazione, però, astenendosi in Consiglio dei Ministri sul voto al Dpef, non solo ha mantenuto aperto il dialogo con il governo, ma ha anche ottenuto un ampio consenso delle forze sociali e sindacali ed ha avviato con esse un percorso di confronto indispensabile per la definizione delle politiche economiche e sociali del paese. Se fino ad ora non si è avuto tempo a sufficienza per attivare un processo partecipativo vero e proprio, da domani questa dovrà essere una priorità non solo di Rifondazione, ma di tutto il governo, perché non potrà non esserci concertazione su materie quali: pensioni, sanità, pubblico impiego ed enti locali. Ora dobbiamo lavorare con determinazione alla definizione di una nuova politica economica, che parta della legge finanziaria e che oltre al risanamento dei conti pubblici, miri anche alla redistribuzione del reddito a favore di quei ceti duramente penalizzati dal disastro sociale creato dal governo Berlusconi. Essa dovrà essere il frutto delle nuove relazioni fra esecutivo e società e porterà ad una netta definizione del blocco sociale di riferimento di questo governo. La battaglia potrà essere vinta solo con il dialogo con i sindacati e resta un obiettivo alla nostra portata. La domanda da porsi è: chi pagherà il risanamento? Secondo noi dovrà essere colpita l’evasione e l’elusione fiscale, la rendita finanziaria e la grandissima rendita patrimoniale, senza tagli al welfare e senza politiche dei due tempi a danno dei ceti più deboli.

Ma nonostante i risultati ottenuti, il nostro lavoro è stato seriamente minacciato dall’atteggiamento di alcuni compagni che hanno speculato su una posizione di privilegio e, ricorrendo al voto contrario o alla minaccia dello stesso, hanno violato la democrazia della nostra comunità politica andando contro il mandato ottenuto dalla direzione. Ciò è avvenuto senza aprire un dialogo interno, ma giocando una partita tutta politica nelle aule parlamentari, finalizzata alla creazione di una soggettività autonoma che ha minato la stabilità del partito oltre che del governo. Questa nuova soggettività politica si era già delineata precedentemente e si è cercato di riaffermarla anche dopo la discussione sul decreto di rifinanziamento delle missioni, quando i compagni dissidenti insieme ad altre minoranze di altri partiti, hanno richiesto ufficialmente un incontro al governo per rivedere il contenuto della mediazione da noi ottenuta e per discutere del Dpef. Ma la linea politica del partito può essere cambiata nei circoli o in sede di conferenza di organizzazione e non nelle sedi istituzionali, tanto meno con un voto difforme rispetto a quello indicato dal partito in seguito ad un percorso democratico.

Non ricorreremo a sanzioni disciplinari, pur essendoci le condizioni per farlo. Resta fermo il fatto che non sarà ammissibile una reiterazione di questo comportamento, perché non è in discussione il diritto al dissenso, ma ciò che non è ammissibile è che venga violato il vincolo politico nato dalle decisioni prese dal partito, specie se sono posti in essere comportamenti che possono determinare la caduta del governo, così come sostenuto da Pietro Ingrao in una recente intervista.

Eravamo in una fase positiva del consenso, ma non siamo riusciti a valorizzare fino in fondo né il compromesso raggiunto sull’Afghanistan, né il generale mutamento della politica estera del governo, così come riconosciuto dai media e dalla stessa comunità internazionale, perché quando abbiamo provato a contrastare gli attacchi dell’opposizione, ci siamo trovati in condizione di dover difenderci anche da quelli delle minoranze interne che ci hanno accusato addirittura di “inciucio” con le destre, cosa francamente inaccettabile.

Così si è prodotto un canale contrattuale autonomo che ha minato quello di tutto il partito, generando nuovamente una sorta di diffidenza nei confronti del Prc, subito accusato di inaffidabilità dai partiti dell’Unione e dall’opinione pubblica. A questo punto, i media hanno voluto descrivere il gruppo dirigente come un gruppo in crisi, lacerato al suo interno ed incapace di tenere salde le redini del partito.

Ed invece ci tengo a dirlo con grande forza: il consenso popolare e quello interno nei nostri confronti si sono allargati ed il gruppo dirigente si è ricompattato ed ha acquisito un nuovo vigore, proprio in questa fase difficile per tutto il partito.

In più, noi volevamo che la fiducia non fosse posta neanche al Senato su una questione così importante come la politica estera, ma per garantire l’autosufficienza del governo ed evitare un eventuale allargamento della maggioranza, siamo stati costretti ad accettarla, facendo il gioco di una parte minoritaria del centro-sinistra: infatti, questa parte della maggioranza ha potuto votare la fiducia garantendo il sostegno al governo, ma allo stesso tempo ha potuto continuare a dichiararsi contrario al provvedimento, solo per motivi di mera opportunità politica e di affermazione della propria identità.

Così è cambiata anche la gerarchia delle nostre priorità in quanto, appena ottenuto il compromesso sulla politica estera e raggiunto l’apice della nostra forza contrattuale, non abbiamo avuto la forza di reggere il confronto politico sul Dpef perché indeboliti dalle rivendicazioni di questa nuova soggettività politica altra, costituitasi internamente al partito.

Non condividiamo neanche la decisone di dimettersi presa da Paolo Cacciari, per due ragioni fondamentali: la prima è data dal fatto che si è trattato di una scelta individuale svincolata da quella della nostra collettività politica, la seconda determinata dal fatto che Paolo ha espressamente dichiarato che si era di fronte alla migliore mediazione possibile ed al miglior disegno di legge possibile: dunque, cos’altro avremmo potuto fare?

Quindi è fondamentale investire con determinazione sul Partito della Sinistra Europea: il 23 si avrà un’iniziativa di massa ed il 24 lanceremo il percorso verso la conferenza d’organizzazione, in cui tutto il partito sarà coinvolto nella definizione delle modalità di partecipazione a questo nuovo grande progetto politico. Le resistenze interne ed esterne riscontrate sono evidentemente finalizzate a contrastare questo processo di rinnovamento politico-culturale: per questo dobbiamo investire con grande determinazione sulla nuova soggettività politica e sull’autonomia del nostro partito.

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