Direzione del 22 settembre 2008 – Documento respinto

La recente crisi del Caucaso, che il compromesso raggiunto a Mosca dai rappresentanti dell'Ue congela solo temporaneamente, ripropone il tema dell'Europa, che deve decidere se intende finalmente guadagnare una propria autonomia politica, e giocare un ruolo nella regione e nel mondo.
Non vi è dubbio che siamo di fronte a un conflitto regionale la cui portata coinvolge direttamente due potenze sullo scacchiere geopolitico mondiale, in ragione della precipua natura della globalizzazione e dei suoi effetti sulle relazioni interstatuali.
La globalizzazione neoliberista ha determinato dunque una moltiplicazione di conflitti e di crisi, che mette in pericolo la sicurezza e la pace mondiale.
Per questo motivo la nostra prima valutazione è relativa alla condanna di ogni azione militare, da qualsiasi parte essa venga, in quanto essa è il prodotto della volontà di ridefinire i rapporti di forza a livello planetario, a danno delle popolazioni civili direttamente coinvolte nelle aree di crisi, in spregio della legalità internazionale, più volte violata nel corso dei decenni precedenti da entità statuali (Usa, Russia), da strutture sovranazionali (Ue, Nato), e i cui effetti sono stati certamente quelli di indebolire le funzioni delle Nazioni Unite, troppe volte risultate impotenti o complici di queste stesse violazioni.
La vicenda caucasica rappresenta tuttavia uno specifico fenomeno di questa crisi della globalizzazione. Essa conferma che le dinamiche interne a determinati organismi internazionali, tra cui il G8, producono contraddizioni e rischi crescenti, nonché logiche di spartizione oligarchiche.
Essa riguarda il riacutizzarsi delle spinte nazionaliste in quell'area, dove la Russia di Putin all'indomani del crollo dell'Urss e della successiva fase "eltziniana" intende riproporsi come potenza egemone politicamente, e come dominus economico, a partire dal controllo delle risorse energetiche presenti nella regione.
Va altresì evidenziato che da anni Washington lavora per far arretrare la Russia dalla sua zona di influenza, e per allargare la presenza della Nato intorno alle sue frontiere, con l'inclusione di paesi dell'ex Urss, al fine di guadagnare forza e alleati in una regione ricca di idrocarburi e strategicamente decisiva nei rapporti con Asia e Medio-Oriente.
E' vero che il casus belli in sud Ossezia si è determinato a seguito dell'attacco dell'esercito georgiano a Tskhinvali, ma la risposta militare della Russia è andata ben oltre le funzioni di mantenimento della sicurezza in quella regione e ha innescato un processo politico che riconosce le due regioni di Abkhazia e Ossezia come un vero e proprio atto di ostilità nei confronti della comunità internazionale. Del resto, la Russia è protagonista da molti anni di violenze contro la popolazione cecena e di violazione, in quel caso, della legalità internazionale, e dei diritti dei popoli, che dimostrano l'assoluta discrezionalità delle scelte del governo Medvedev.
La stessa scelta russa di riconoscere l'indipendenza dei territori di Abkhazia e Ossezia, contestata dall'UE e dagli Usa, è la conseguenza della decisione degli stessi stati europei di riconoscere l'indipendenza del Kossovo, che aveva determinato un pericoloso precedente.
Siamo convinti che fosse un tragico errore e una rottura della legalità internazionale quello di riconoscere il Kossovo, e quindi siamo altrettanto contrari al riconoscimento delle due regioni caucasiche.
Gli Stati Uniti sono entrati in maniera prepotente nella crisi, fornendo appoggio diretto e indiretto, sia politico che militare, al governo georgiano. Tale comportamento costituisce una minaccia per la pace nella regione e a livello mondiale, ed è funzionale alle strategie di allargamento verso est della Nato, e alle mire espansionistiche dettate dalla dottrina neoconservatrice di Bush, che amplificano i rischi delle politiche del multilateralismo aggressivo proposto dalla precedente amministrazione democratica. E' bene sottolineare, infatti, che questa crisi internazionale sarebbe stata ancora più pericolosa, se la Georgia avesse già ottenuto di essere membro della Nato.
Intendiamo dunque condannare sia l'attacco georgiano che la reazione russa, entrambe figlie di una rinascente violenza nazionalista che va contrastata.
Condanniamo con assoluta fermezza l'attacco alle popolazioni civili operata dall'esercito russo e da quello georgiano, che hanno costituito una pesante violazione della legge internazionale umanitaria (uso delle cluster bombs, i crimini contro le popolazioni civili), con l'avvio di un'inchiesta approfondita sui crimini di guerra e su tutte le violazioni.
Esprimiamo una intensa solidarietà alle vittime della guerra e richiediamo che si concretizzi il sostegno umanitario promesso dall'UE e dall'Italia.
Evidenziamo l'ennesimo fallimento del Consiglio di Sicurezza dell'Onu nell'affrontare questa crisi, che ha impedito l'avvio di una seria soluzione politica a partire dall'immediata apertura di una conferenza internazionale di pace, per garantire la sicurezza e la stabilità dell'area, con un approccio che parta dalla cooperazione in materia energetica e dal disarmo.
Auspichiamo che l'Osce, dopo aver prolungato la presenza degli osservatori militari nella regione per implementare i principi degli accordi di cessate il fuoco, avvii un'immediata e indipendente inchiesta sugli eventi determinatisi durante la crisi.
Ribadiamo la nostra richiesta al Governo italiano di non cooperare militarmente rispettando la legge 185 sul commercio delle armi, con quei paesi che sono coinvolti in conflitti armati.
Esprimiamo profonda preoccupazione per il fatto che, oltre al conflitto nel sud Caucaso, lo scontro politico con la Russia da parte degli Usa determina un escalation degli armamenti, a partire dallo scudo missilistico da installare in alcuni paesi europei, e l'allargamento della Nato anche nel Mar Baltico, che costituisce una minaccia per la pace e un'azione volutamente agita per dividere l'Unione Europea. Come abbiamo già fatto con le manifestazioni a Praga, confermiamo il nostro impegno, con il Partito della Sinistra Europea e il Gue, a rafforzare la campagna contro lo scudo antimissile e contro il riarmo degli Usa da est a ovest, contrastando in particolare il rafforzamento strategico delle basi americane in Europa e in Italia, oggi simboleggiato dal progetto del "Dal Molin".
Esprimiamo la nostra contrarietà all'allargamento dei confini della Nato, e lavoriamo per una politica autonoma dell'Ue.
E' necessario che vi sia un nuovo dialogo sulle questioni della sicurezza tra tutti i paesi europei nell'ambito degli organismi legittimati a farlo, come l'Osce.
Analogamente a quanto espresso nei documenti ufficiali del Partito della Sinistra europea, confermiamo il nostro impegno affinché vi sia un superamento della Nato, in favore di un sistema di sicurezza europeo indipendente.
Oggi più che mai la sicurezza in Europa deve essere basata sui principi della difesa, del disarmo, della non attivazione di strumenti di offesa, di soluzione politica dei conflitti nell'ambito del sistema Osce, che siano conformi alle leggi internazionali, e ai principi di un sistema della Nazioni Unite riformato e democratizzato. Tale sistema di sicurezza deve garantire un accesso incondizionato alle risorse energetiche, deve garantire l'ambiente e i diritti umani e di cittadinanza.
Di fronte ad avvenimenti di questo tipo, si conferma ancora una volta il valore strategico del Partito della Sinistra europea, che lega la ricerca di un'alternativa fondata sulla pace e la giustizia sociale, alla costruzione di un possibile ruolo alternativo dell'Europa.

Elettra Deiana
Graziella Mascia
Gennaro Migliore
Roberto Musacchio
Patrizia Sentinelli
respinto con 26 voti favorevoli, 31 contrari, 1 astenuto

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