Riunione della Direzione nazionale del Partito della Rifondazione Comunista
del 20 aprile 2000

Le conclusioni di Bertinotti

Care compagne e cari compagni, in conclusione di questa nostra riunione propongo di convocare il Comitato politico nazionale del partito per i giorni 6 e 7 maggio al fine di discutere la nuova situazione politica e le scelte che dobbiamo compiere. Rispetto all’ultima riunione del Comitato politico nazionale noi abbiamo avuto modo, in almeno tre riunioni della nostra Direzione nazionale, di approfondire l’analisi della situazione, di precisare sempre di più le nostre scelte e il nostro comportamento. Questa discussione e i suoi positivi risultati ci hanno fornito la guida per l’azione che abbiamo condotto in questa campagna elettorale. Naturalmente durante quest’ultima non abbiamo potuto convocare la Direzione nazionale, e neppure la Segreteria, a dimostrazione che non è stata operata alcuna supplenza. Non sarebbe stato davvero possibile, data l’intensità del lavoro che abbiamo dovuto compiere, e in effetti non era strettamente necessario farlo visto che la nostra impostazione per affrontare questa scadenza era già stata sufficientemente decisa. Penso infatti che ci sono periodi, e quello elettorale è certamente uno di questi, anche se non il solo, in cui il partito deve spendere tutte le sue energie nell’azione esterna. E’ un dovere farlo. La discussione che avevamo fatto ci ha permesso di compiere delle scelte giuste che sono alla base del risultato positivo che abbiamo raggiunto. Ma voglio entrare più nel dettaglio, tenendo conto di alcune obiezioni che sono giunte nella nostra discussione. Voglio allora ricordare che non è vero che motivammo la scelta di costruire un’alleanza con la lista Martinazzoli, sulla base della previsione di una sua vittoria. Le ragioni che ci hanno spinto a stringere un’alleanza con Martinazzoli in Lombardia, come con Bassolino in Campania, sono state altre, e cioè il tentativo di introdurre elementi di diversità programmatica rispetto al centrosinistra, e di produrre così una dinamizzazione al suo interno. Il risultato generale raggiunto in Lombardia, anche se vede la lista Martinazzoli perdente, non tradisce affatto quell’obiettivo e, al contempo, il nostro risultato particolare è il migliore su scala nazionale. D’altro canto non possiamo misurare la qualità delle nostre scelte sotto il solo profilo della vittoria o della sconfitta nella scadenza immediata, ma con un’ottica di più lungo periodo. Proprio per questo dobbiamo continuare la nostra discussione, sia in sede analitica che propositiva, disaggregando i singoli temi, valutando le varie campagne che abbiamo condotto e gli obiettivi che abbiamo avanzato, dalla questione delle pensioni a quella del salario sociale e del livello delle retribuzioni, dal tema dell’ambiente a quello dello stato sociale. Dobbiamo riproporre il tema della costruzione della sinistra di alternativa e dei movimenti, tenendo anche conto della situazione locale e della nuova condizione in cui lo stesso centrosinistra si trova, in particolare nelle regioni dove è stato sconfitto. Dobbiamo produrre una riflessione sull’azione del partito e allo stesso tempo, dell’iniziativa dei nostri compagni entro il movimento sindacale nel suo complesso. Dobbiamo vedere i limiti che ci sono stati, ad esempio penso anch’io che la scarsa presenza delle donne in questa campagna elettorale sia indicativa di una nostra difficoltà che dobbiamo deciderci a superare. Infine credo che sia da accogliere pienamente l’esigenza di aprire una ampia discussione sull’azione del nostro partito al Sud. La discussione odierna ha messo in luce delle conferme rispetto alla relazione iniziale, ma anche delle contestazioni. Queste non si riferiscono al giudizio sul risultato ottenuto dal partito, sulla cui positività non vi sono divergenze, ma, come nel caso degli interventi svolti dai compagni della minoranza congressuale, riguardano un bilancio più complessivo che coinvolge naturalmente anche il giudizio su forze esterne a noi. Trovo che nei ragionamenti di questi compagni ci sia una sollecitazione giusta, ma un’analisi e quindi una conclusione sbagliate. Questi compagni pretendono una totale lontananza dal centrosinistra, ma intanto non vedono la distanza che già noi abbiamo concretamente manifestato da esso. Noi non abbiamo fatto un'alleanza con il centrosinistra, ma stabilito accordi programmatici regione per regione. L’esito del voto, lo ripeto, non può essere l’unico elemento per giudicare la qualità della nostra scelta. Possiamo infatti pensare che era sbagliato costruire un’alleanza rosso-verde a Venezia, esperienza che mi rammarico di non essere riusciti a valorizzare maggiormente? Ora dobbiamo puntare alla rottura dell’involucro del centrosinistra e quindi diventa ancora più importante la nostra capacità di articolare l’interlocuzione critica con le forze che lo compongono anche a livello locale. Bisogna infatti evitare assolutamente di fare derivare dalla scelta dell’opposizione al governo centrale, quella di una totale separazione a livello locale. Questo errore ci porterebbe al totale isolamento, per di più in una situazione che ci offre possibilità di crescita e di influenza che dobbiamo sapere cogliere. Si è detto nella nostra discussione che Berlusconi, suo malgrado, sarebbe stato uno straordinario evocatore di movimenti. Ma assolutizzare questa considerazione è del tutto sbagliato. Infatti la sinistra plurale francese è al governo anche perché in quel paese si sono manifestate straordinarie lotte di massa contro il governo Juppé che hanno sostenuto la sua avanzata, ma continua ad essere al governo proprio perché è continuata una positiva interlocuzione con quei movimenti. L’esperienza francese rompe proprio un vecchio schema, in base al quale i movimenti si svilupperebbero solo in presenza e contro una destra nitidamente individuabile: nel caso francese invece crescono i movimenti e si può così rafforzare l’egemonia delle sinistre sulla società. Il processo della rifondazione comunista, quale parte determinante della costruzione di una sinistra di alternativa, non può quindi interrogarsi solo sul rapporto tra sé e la società. Questa semplificazione è oggi del tutto impedita da due fattori: la crisi irreversibile del centrosinistra, come formula vincente per le forze che lo compongono, e la crisi più generale della politica, ovvero del suo rapporto con la società. In questa situazione il nostro compito consiste nell’affrontare contemporaneamente la crisi del centrosinistra e quella della politica, e quindi procedere nella costruzione dell’alternativa. Possiamo dire che, anche grazie a questo risultato elettorale, noi abbiamo fatto oggi un passo importante in tutte queste direzioni. Bene, ma quale è allora il nesso, il difficile passaggio che ci aspetta in questa crisi di governo? Deve essere assolutamente coerente con il nostro comportamento e il positivo risultato che abbiamo raggiunto. Se il Prc lasciasse in qualche modo intendere la possibilità di collocarsi all’interno del centrosinistra, disperderemmo tutte le nostre possibilità di crescita. Non possiamo quindi dire al Presidente della Repubblica, dal quale dobbiamo recarci tra meno di un’ora, che noi siamo disposti a sostenere un governo di discontinuità con quelli precedenti. Sarebbe un atteggiamento del tutto incomprensibile e d’altro canto non vi sono le condizioni perché una tale discontinuità si realizzi nei fatti. Dobbiamo quindi insistere nel riproporre una decisa svolta a sinistra delle politiche governative, in base ai contenuti che più volte abbiamo ribadito e a cui ho fatto cenno nella relazione iniziale, senza assolutamente entrare nel problema della leadership di governo e della sua composizione. Intanto constatiamo che il centrosinistra continua a rifiutare questa apertura a sinistra, che tuttavia riproponiamo con ostinazione, e invece avanza programmi e candidature dalle caratteristiche opposte. Di fronte a questo noi non invochiamo le elezioni anticipate, non certo perché le temiamo o le riteniamo impossibili, ma semplicemente perché se le chiedessimo avremmo anche il dovere di indicare per il dopo una coerente politica di alleanze. Nello stesso tempo non possiamo banalmente renderci disponibili ad appoggiare un governo purché operi un qualche cambiamento, perché saremmo risucchiati in una logica inevitabilmente subalterna. O il cambiamento avviene nei fatti, e indipendentemente dalla ricerca di alleanze contingenti, oppure non è possibile fare finta di non vedere i processi reali sotto il fiume delle parole e delle promesse. Ci aiuta, nel mantenere fermo questo comportamento, anche un’analisi più ravvicinata del voto. Dai primi elementi che ci giungono in base agli studi sui flussi elettorali, su cui bisognerà presto tornare con maggiori elementi analitici, l’astensionismo continua ad essere il problema principale, che ci colpisce in modo particolare e rispetto al quale non riusciamo ancora ad agire in modo apprezzabile. Noi abbiamo certamente recuperato voti dall’interno delle forze del centrosinistra, se si guarda alla Lombardia ciò avviene non solo dai Ds, ma anche dai popolari, ma abbiamo solo lambito l’astensionismo. Certamente abbiamo conquistato al voto alcuni esponenti attivi dell’astensionismo, e ciò è molto importante, ma non sufficiente per intervenire sulla larga platea degli astensionisti. La ragione è semplice: per rimuovere le cause di fondo del processo astensionista, dobbiamo intervenire direttamente sulla crisi del rapporto generale tra politica e società. Abbiamo affermato che dobbiamo costruire una sinistra plurale, in alternativa al centrosinistra, in cui proseguire il confronto fra quelle che essenzialmente abbiamo definito come le due sinistre. La sfida con le forze della sinistra moderata richiede un confronto di lunga durata e riguarda anche la ricerca di un nuovo programma di governo. Come si può ben capire questo percorso può anche passare attraverso fasi di sconfitta, come quella attuale. Questo percorso va distinto, anche se i momenti e le occasioni di intreccio sono probabili ed evidenti, con quello della costruzione di una sinistra di alternativa, in cui siamo impegnati anche attraverso il lavoro di costruzione della Consulta delle forze antiliberiste. In questo quadro dobbiamo sapere aprire una discussione sui modi di essere del nostro partito che sia vera, anche dura, e rispettosa di ognuno. Nella relazione ho fatto a questo riguardo una battuta. Qualcuno ci ha ironizzato sopra. Apprezzo l’ironia, ma vorrei che dietro la battuta si vedesse il problema vero. Il nostro partito è certamente democratico, se a questa parola si dà un senso un po’ banale, quello, per dirla in parole povere, per cui ognuno può fare quello che vuole. Ma lo è meno se a questa parola diamo un significato alto, come dovremmo, e cioè intendiamo l’effettiva e complessa partecipazione alla formazione delle decisioni e alla loro attuazione da parte dell’intero corpo del partito. Non si può però in nessun caso prendere a scusante la liceità della presenza al nostro interno di minoranze congressuali o di diverse aree, per così dire, di sensibilità politica, al fine di sottrarsi ad un’analisi critica dei comportamenti. Ognuno, a partire dalle proprie convinzioni e collocazioni, deve sapersi porre dal punto di vista delle istanze generali del partito. Proprio per questo il gruppo dirigente può e deve assumersi la responsabilità di tratteggiare quella mappa critica di cui ho già parlato. Altrimenti oscilliamo tra reticenze o complicità e accuse feroci e distruttrici. I compagni della minoranza congressuale hanno richiesto un supplemento di indagine su alcuni fatti e comportamenti che avevo criticamente richiamato nella relazione. Facciamolo, ma poi discutiamo veramente e a fondo. Ad esempio, se è vero che in alcuni casi il volume di spesa prodotto per la campagna elettorale di un singolo candidato è superiore a quello dell’intera struttura locale del partito, bisogna discuterne e prendere delle decisioni. Non si può dire in questi casi che vince il principio della democrazia, perché esso come ho detto è già ampiamente in atto nel nostro partito, ma in ogni caso esso convive sempre con una certa dose di dirigismo. Allora bisogna discutere il segno e la qualità di questa direzione. Se uno viene candidato in una certa federazione, è sempre e comunque il partito che lo decide, ma lo stesso partito, se lo ritiene, può anche dire di no. Quindi c’è sempre un elemento di decisione che viene attivato. Nel nostro partito si verificano spesso occlusioni nel rapporto con l’esterno, che sono determinate da logiche lobbistiche e di piccolo gruppo, che vanno assolutamente eliminate. E’ possibile farlo o è inevitabile subire la conseguenza della loro presenza. E’ certamente possibile, ma questo richiede l’esercizio di un tasso di autorità e di un’iniziativa dall’alto. Senza quest’ultima non sarebbe stato possibile quel processo, che considero molto positivo, di rinnovamento e di ringiovanimento dei gruppi dirigenti, che è in atto e che ha dato ottima prova in alcune importanti federazioni. Bisogna compiere scelte innovative e coraggiose e questo deve avvenire anche dall’alto. Voglio infine concludere con una nota non lieta, ma che spero origini qualche ripensamento. Speravo che la nostra indicazione di astensione sui referendum potesse essere unanime, proprio per il carattere delicato che essa assume nei nostri rapporti con il sindacato e per gli aspetti decisivi che riguardano la sopravvivenza stessa della presenza istituzionale del nostro partito. Proprio per questa ragione dobbiamo evitare l’effetto di trascinamento che la partecipazione al voto su un referendum può avere sull’altro, consapevoli dell’esperienza passata, ove il referendum elettorale non passò per mancanza di quorum, ma vide la maggioranza dei voti espressi favorevole al maggioritario. Questa unanimità non c’è stata. Non mi limito, come ho fatto altre volte, a prenderne semplicemente atto, ma considero questa scelta fatta dalla minoranza congressuale un atto politico grave, che indebolisce l’efficacia politica della nostra iniziativa, che tenta strumentalmente di strizzare l’occhio a settori del sindacato, che è di nocumento a tutto il nostro partito.

Liberazione del 22 aprile 2000Liberazione del 22 aprile 2000