di A. Fab.

«L'accordo c'è e fra poco verrà comunicato». La sfortunata previsione di Enrico Letta - di cinque giorni fa - sta diventando la condanna della nuova legge elettorale. Domani è il giorno in cui i tre partiti che compongono la maggioranza di governo avrebbero dovuto annunciare l'intesa sul sistema di voto destinato a cancellare il Porcellum (magari per trasformarlo in un Porcellum 2). Invece non c'è nessuna intesa e il «fra poco» di Letta va dilatato di qualche settimana o mese. Nulla infatti può spingere Alfano, Bersani e Casini a chiudere in pochi giorni la pratica della legge elettorale che è rimasta aperta praticamente dal giorno successivo alle elezioni, se non la fretta di andare al voto a fine novembre.

Ma Berlusconi non ne ha alcuna intenzione dunque anche se un accordo di massima sui capisaldi della nuova legge ci sarebbe è meglio aspettare. Col tempo ci sarà modo di tornare a dividersi.
Nel frattempo il presidente della Repubblica ha esaurito le formule. Dopo aver parlato della nuova legge elettorale come un'esigenza «ineludibile» e poi «indiscutibile», solo a luglio ha mandato quattro avvisi ai partiti - «non è rinviabile», 9 luglio; «serve un confronto conclusivo», 11 luglio; «fare rapidamente», 20 luglio; «rapida convergenza», 30 luglio - e un altro il 10 agosto, dalle ferie: «Basta rinvii». Tutto inutile, al momento. Anche perché una volta trovato un terreno comune tra i plenipotenziari dei partiti - i soliti Verdini, Migliavacca e Cesa - si è scoperto che tanto plenipotenziari non erano, visto che il sistema uninominale proporzionale con un terzo di liste bloccate ha molti e trasversali oppositori. I tifosi delle preferenze, con qualche buon argomento, sono tornati a farsi sentire. Nel Pd e soprattutto nel Pdl, dove gli ex An minacciano apertamente Alfano di non seguire la linea del partito. Del resto, anche Napolitano in uno dei suoi appelli ha detto che andrebbe bene anche una riforma approvata a maggioranza piuttosto che niente. E alla camera, lo ha ricordato ieri il presidente Fini, ci saranno anche voti segreti: un colpo di coda delle preferenze non è impossibile.
Intanto, domani è assai difficile che i relatori Bianco (Pd) e Malan (Pdl) riusciranno a stendere il testo base con il quale lanciare la corsa della riforma elettorale. Carlo Vizzini, presidente della commissione affari costituzionali del senato all'interno della quale è stato insediato il comitato ristretto di 11 senatori (al tempo in cui si pronosticava un'intesa in 10 giorni, cioè due mesi fa), ha detto che se non si fanno passi in avanti convocherà il plenum della commissione: in pratica si riparte da zero. È vero, come dice il senatore Quaglieriello del Pdl, che i progetti di legge non mancano, anzi sono una quarantina, ma questo è esattamente il segno del caos. Tanto che ad assistere a questo gioco del rinvio non può non venire in mente che un accordo vero c'è, sotto banco: tenersi il Porcellum.
Intanto la temperatura tra i presunti alleati è salita ulteriormente, così non facilitando la stesura di accordi. Motivo, neanche a dirlo, la giustizia. Appena il ministro Patroni Griffi ha provato a spingere l'acceleratore sul disegno di legge anticorruzione che attende nei cassetti del senato, ecco l'avvertimento del capogruppo Pdl Gasparri: «Sulla legge com'è uscita dalla camera il governo non avrà la nostra fiducia».

 

da il manifesto

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