Cinema Nuovo Olimpia - Roma, 20 maggio 2013

Vorrei iniziare questa mia introduzione con alcune osservazioni di carattere generale, strettamente correlate anche se apparentemente non legate al tema del convegno.
La prima riguarda il quadro “culturale” generale nel quale ci muoviamo. Lo sintetizzo così, ovviamente e per forza di cose banalizzandolo e semplificando una realtà invece assai complessa: una ormai generalizzata sfiducia e “insofferenza” nei confronti della politica e delle istituzioni che produce rifiuto senza la forza di proposte di cambiamento. Le conseguenze sono da un lato una disperazione ed esasperazione generalizzata vissuta in totale solitudine data l’assenza di soggetti, politici e sindacali, legittimati alla rappresentanza, nei quali riconoscersi e con i quali battersi per uscire dalla propria condizione e dall’altro – da parte di chi invece continua in qualche modo a lottare collettivamente – una sorta di riappropriazione di ciò che è considerato un diritto, ma in forme in qualche modo “privatistiche”, non generalizzabili e non prefiguranti una nuova e diversa forma di Stato. Il risultato è un senso comune diffuso frutto della sconfitta culturale e sociale di tutti questi anni, incapace di elaborare un nuovo modello di società.

Credo che esattamente questo sia il punto oggi. Credo cioè che è compito nostro – delle forze politiche e della cultura – andare contro questo senso comune per riaffermare con forza il ruolo fondamentale dello Stato e del “pubblico”, ragionando insieme su come riformare uno Stato e una democrazia che non funzionano più, senza cadere in soluzioni di privatizzazione mascherata o in forme di accentramento delle decisioni in poche mani e di contrazione del pluralismo visto e vissuto come ostacolo al governo delle cose. Credo che dobbiamo lavorare a ripensare le forme reali (e non telematiche) di partecipazione alla formazione delle decisioni e alla gestione delle istituzioni, rafforzando e non indebolendo il “pubblico”, incrementando e non riducendo l’intervento dello Stato. Si abolisce per esempio – in forza di questo senso comune - il finanziamento pubblico ai partiti regalando la possibilità dell’agire politico – cioè di esercitare la democrazia - solo a chi ha i mezzi per farlo, e quindi a difesa dei propri interessi. È finito per diventare senso comune cioè anche la privatizzazione della politica.
E arrivo subito ai nostri settori e al tema del convegno. Io credo che mai come oggi si senta parlare di cultura da parte di tutti i soggetti politici e della necessità che la cultura diventi una priorità per il governo nazionale e per i governi locali, come volano dell’economia e come strumento di crescita collettiva. Ma mai come oggi c’è invece una assenza totale di politiche per la cultura e di proposte politiche per la cultura. Al massimo si garantiscono in televisioni facili dimissioni in caso di ulteriori tagli. Ma cosa e dove si pensa di poter ancora tagliare? La situazione della scuola, dell’università della ricerca, delle istituzioni culturali, dei teatri, delle sale cinematografiche, delle manifestazioni culturali, dell’associazionismo, dell’editoria, e di tutto ciò che produce e diffonde cultura e conoscenza è allo stremo e non c’è davvero più nulla da tagliare. Delle singole situazioni parleranno i diversi interventi. Io voglio solo indicare alcuni punti per noi dirimenti ma anche sottolineare che per noi questo vuole essere il primo di una serie di incontri finalizzati alla creazione di una rete permanente tra associazioni, forze politiche, sociali e sindacali, spazi occupati, per discutere ed elaborare insieme proposte e riforme. Non abbiamo ricette, pensiamo che anche il nostro modo di lavorare debba essere ripensato e che alcune soluzioni debbano essere ricercate ed elaborate insieme a chi vive direttamente i problemi che si vogliono risolvere. Abbiamo però dei nostri punti fermi, e non potrebbe essere altrimenti.

1. Noi pensiamo che siano non solo necessarie, ma determinanti politiche pubbliche per la cultura. Noi pensiamo che non si esce dalla crisi generale se non con investimenti pubblici, e in particolare che l’investimento in cultura e conoscenza sia uno degli assi portanti anche per la ripresa economica. Ma pensiamo anche e soprattutto che la cultura sia uno dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e che quindi tale diritto può e deve essere garantito solo dallo Stato.
Pensiamo che occorrano leggi di sistema che garantiscano innanzitutto ai diversi settori risorse certe e norme specifiche ma pensiamo anche che uno dei fondamenti di queste leggi di sistema per tutti i settori sia la garanzia di luoghi pubblici della e per la cultura.

2. Per luoghi pubblici intendiamo intanto la salvaguardia e il rafforzamento di quelli già esistenti: sale teatrali e cinematografiche, sale per concerti, biblioteche, librerie, sedi di associazionismo, di archivi e di tutto quanto è produzione, diffusione e fruizione della cultura. Di fronte alla vera e propria strage di questi spazi, alla loro trasformazione in sale da gioco, centri commerciali e quant’altro, noi proponiamo una legge – di livello nazionale e locale – di pochissime righe che impedisca il cambio di destinazione d’uso di tutti i luoghi della cultura. E proponiamo che laddove il privato non sia più in grado di sostenere economicamente uno di questi luoghi, intervenga l’ente locale acquisendone la proprietà e garantendo finanziamenti certi per l’attività culturale. Chiediamo che la gestione di questi luoghi sia affidata in maniera pubblica e trasparente alle forze culturali, sociali e professionali del territorio sulla base di progetti di lavoro culturale stabile e permanente. Diciamo per esempio nelle nostre proposte di riforma dello spettacolo dal vivo che i soggetti stabili ad iniziativa pubblica devono diventare “residenze” : essere affidate a direzioni artistiche in base a concorsi pubblici basati su curricula e progetti culturali triennali che prevedano il rapporto stabile con il territorio, formazione professionale e dei pubblici, rapporto con le scuole, ricerca e sperimentazione, documentazione, conservazione e valorizzazione delle attività svolte, oltre ovviamente ma oggi non tanto, al rispetto del contratto nazionale di lavoro..
Diciamo però anche in modo chiaro e forte che siamo contrari a qualsiasi forma mascherata di privatizzazione come la trasformazione di luoghi e istituzioni pubbliche in fondazioni. E poiché la definizione “bene comune” ormai non tutela più il bene collettivo, facciamo nostra la proposta di Lidia Menapace che propone di chiamarli, a scanso di equivoci, “beni pubblici”.

3. Ma per luoghi della cultura pensiamo alla creazione di spazi realmente pubblici in ogni in ogni quartiere di ogni città o paese, nei quali sia data – in particolare ai giovani - la possibilità di produrre, ricercare e sperimentare, esprimersi e creare e nei quali sia possibile accedere alla produzione e alla fruizione culturale. Luoghi del territorio e non sul territorio. È questa una proposta che come Rifondazione stiamo portando avanti da diversi anni, che è presente in tutte le nostre proposte di legge (nazionali e locali). La cultura per noi è strumento e momento di formazione e di crescita, di consapevolezza critica, di conoscenza della realtà, per modificarla. Va “vissuta” in tutte le sue forme nel proprio quartiere, secondo le proprie possibilità e la propria vita, in modo permanente e non in notti bianche concesse una volta l’anno. Le associazioni di settore hanno oggi elaborato proposte analoghe anche se con finalità in parte diverse (“I presidi culturali”) che saranno illustrate dal Movem.

4. Infine Cinecittà. Qui ne parleranno i rappresentanti delle Rsu che hanno portato avanti, molto spesso in solitudine, una battaglia difficilissima quanto decisiva per la salvaguardia non dei posti di lavoro ma della dignità e professionalità del loro lavoro, dignità e professionalità legati strettamente al ruolo culturale di una struttura produttiva pubblica come quella di Cinecittà. Contro ogni tentativo di cementificazione. Come Prc abbiamo detto diverse volte e pubblicamente che Cinecittà deve tornare ad essere un’istituzione a maggioranza pubblica sostenuta da finanziamenti certi per poter svolgere il suo ruolo istituzionale di volano della produzione cinematografica di qualità, con un progetto pubblico di investimento nelle attività, nei servizi, nella ricerca e nella formazione e che punti sulla ripresa delle attività delle imprese artigiane e sulla valorizzazione di una manodopera interna altamente specializzata. Siamo contrari alla sua trasformazione in sede di festival o quant’altro perché sarebbe il modo più “pulito” per far passare proprio la cementificazione e lo snaturamento della sua missione.
Finisco ribadendo il nostro impegno per l’elaborazione e la messa a punto insieme ai lavoratori di Cinecittà e del cinema, di un progetto articolato per il rilancio di questa istituzione pubblica determinante per la produzione e creazione cinematografica.

Stefania Brai
Roma, 20 maggio 2013

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