La cultura e la conoscenza sono elementi determinanti per la formazione del senso comune, di quello che Le Monde definì una volta il "pensiero unico", basato sui valori della competizione e dell'affermazione individuale insieme ai modelli della notorietà e del "successo". Pensiero unico che l'intera gamma della comunicazione elettronica e cartacea ha costruito in anni e anni di lavoro sostenuto da leggi e interventi strutturali tendenti sempre a collegare la conoscenza, l'arte e tutta la vita culturale e formativa del paese alle logiche e alle leggi di un dio-mercato assurto a unico filtro regolatore e selezionatore della produzione e della diffusione della cultura.
Il rinnovamento della vita culturale all'insegna del pluralismo, della qualità e della creatività non è uno dei tanti punti necessari al progresso e al miglioramento del nostro paese, ma rappresenta un punto centrale e strategico di qualunque progetto di rinnovamento reale.

L’attacco di inedita gravità alla cultura e ai suoi lavoratori da parte dei governi Berlusconi non è stato un fatto accessorio e ininfluente, né determinato e motivato dalla crisi economica e dalla “necessità” di tagli, ma rientra esattamente nell’idea tutta strategica di demolizione della democrazia e delle conquiste dei lavoratori. Cultura e conoscenza sono infatti strumenti e momenti di formazione e di crescita, di consapevolezza critica, di conoscenza della realtà: elementi strategici fondamentali per la democrazia. Per questo hanno subito attacchi così violenti. Per questo sono state eliminate istituzioni determinanti per la vita culturale, molte altre ridotte allo stremo, il Fondo unico dello spettacolo – che serve a finanziare non solo istituzioni culturali pubbliche quali la Biennale di Venezia, non solo i festival e l’associazionismo culturale, ma tutta la produzione culturale, dal cinema al teatro, alla musica, alla danza, alla lirica, allo spettacolo viaggiante fino ai circhi – è stato ridotto a quasi la metà. Per questo il governo Monti e il governo Letta nulla hanno fatto e nulla stanno facendo per invertire la rotta, anzi.
Non è un caso infatti che il governo Monti abbia messo a dirigere la più grande industria culturale del nostro paese, e cioè la Rai, un gruppo di banchieri invece che di intellettuali ed esperti della comunicazione. Non è un caso che per il cinema e per lo spettacolo dal vivo non si siano volute – neanche durante i governi di centro-sinistra - nuove e necessarie "leggi di sistema" lasciando così questi importanti settori alle logiche del profitto e del mercato.    
Per uscire dalla crisi è invece necessario mettere al centro la cultura: l’investimento nella cultura da parte dello Stato produce, come è stato ampiamente dimostrato da serie e documentate analisi, un incremento del Pil di gran lunga maggiore dell’investimento effettuato e superiore a qualsiasi investimento in altri settori. Investire in cultura non è un costo ma una risorsa: sociale ed economica. Infine anche con la cultura e la conoscenza si combatte l'antipolitica, anche con la cultura e la conoscenza si costruisce una democrazia vera, e una vera riforma dello Stato che metta la partecipazione e la trasparenza al primo posto.    

Perché la vita culturale del nostro paese torni ad essere quel grande laboratorio intellettuale e creativo che è stato in questo ultimo dopoguerra oltre che in tanti secoli passati.

CULTURA

1. La cultura è un bene comune e un diritto inalienabile
La cultura per Rifondazione comunista è una risorsa sul piano economico per lo sviluppo del paese ma per noi ha un valore strategico principalmente per l’utile culturale e dunque sociale che produce. Cultura e conoscenza non fattori di “coesione sociale” ma strumenti e momenti di formazione e di crescita, di consapevolezza critica, di conoscenza della realtà: elemento strategico fondamentale per la democrazia. Da essa dipendono infatti i diritti di scelta del cittadino, la sua reale libertà e capacità di incidere nello sviluppo sociale del paese. La cultura ha quindi un valore in sé, a prescindere dall’utile economico che produce. Per questo riteniamo la cultura un bene comune, patrimonio di tutti, non privatizzabile ma ancora di più un diritto fondamentale, inalienabile, come la salute. A tutti va garantito il diritto di accesso alla produzione e alla fruizione della cultura, della produzione artistica e dei beni culturali.

2. La cultura è lavoro
Chi lavora nei beni culturali, nei settori creativi ed artistici, qualunque “mansione” svolga deve essere riconosciuto come “lavoratore” che ha e deve avere i diritti di tutti gli altri: rispetto del contratto nazionale di lavoro, ammortizzatori sociali, malattie professionali, infortuni sul lavoro, pensioni, maternità.
Il lavoro nella cultura è non solo precario ma per sua natura “intermittente”. Il periodo di apparente “non lavoro”, quello che emerge è solo il frutto di un lavoro molto più lungo e faticoso, sommerso e non riconosciuto: va invece definito come “lavoro” e come tale retribuito.
Sono calcolati in circa 300.000 i lavoratori impegnati nella produzione culturale. Diventano più del doppio se si considerano quelli della distribuzione e della commercializzazione. A questi vanno aggiunti i lavoratori dei beni culturali. Poi c’è l’indotto, incalcolato e incalcolabile: un’enormità di piccole imprese e piccoli artigiani che lavorano intorno e insieme alle istituzioni culturali (fondazioni lirico sinfoniche, teatri, studi cinematografici, conservatori, scuole di alta formazione professionale) o legati direttamente al territorio e alla produzione culturale.
I lavoratori iscritti all’Enpals sono circa 280.000: il 75 percento di loro non riesce ad avere una pensione. Le pensioni erogate non raggiungono di media i 13.000 euro l’anno, con un divario tra uomini e donne che arriva al 40 percento. Restano fuori ovviamente i lavoratori in nero e quelli obbligati alla “partita iva” che non riescono a versarsi i contributi, la maggior parte dei quali svolgono lavoro “creativo”: quel popolo di artisti o di archeologi o di restauratori, costretto all’ “autoimprenditorialità” e al quale però non è riconosciuta la possibilità di detrarre le spese sostenute per la professione.
Chi lavora nei beni culturali, nei settori creativi ed artistici, qualunque “mansione” svolga deve essere riconosciuto come “lavoratore” che ha e deve avere i diritti di tutti gli altri: rispetto del contratto nazionale di lavoro, ammortizzatori sociali, malattie professionali, infortuni sul lavoro, pensioni, maternità.
Nella cultura il lavoro non solo è precario, ma spesso in nero. Sempre intermittente, o meglio apparentemente intermittente perché quello che emerge, quando riesce ad emergere, è solo il frutto di un lavoro molto più lungo e faticoso, sommerso e non riconosciuto: va invece definito come “lavoro” e come tale retribuito.

3. Lo Stato deve investire in cultura. Agevolazioni fiscali per chi investe in cultura
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3 della Costituzione): per questo servono politiche pubbliche che garantiscano a tutti il diritto di accesso alla fruizione e alla produzione della cultura; politiche economiche e sociali che garantiscano l’accesso ai luoghi di produzione culturale.
In Italia si stanzia per tutta la cultura 1 miliardo e ottocentomila euro, pari allo 0,2 % del Pil, mentre la Francia stanzia 12 miliardi di euro l’anno, la Germania 8.6, la Gran Bretagna 5.3.
L’investimento dello Stato nella cultura deve essere pari almeno all’1 percento del Pil: solo l’intervento pubblico può infatti impedire che l’unico filtro regolatore della produzione culturale sia il mercato, solo l’intervento pubblico può creare le condizione perché la produzione culturale ed artistica sia realmente autonoma, indipendente e libera.
Il Fondo unico per lo spettacolo deve essere indicizzato e portato almeno a 600,00 euro. Istituzione di una tassa di scopo per tutti i soggetti che usano le opere culturali. Riduzione dell’iva al 4 percento per tutti i prodotti e le attività culturali. Qualunque soggetto (persona fisica o società) investa nella cultura deve poter usufruire di agevolazioni fiscali.

4. Leggi di tutela del lavoro artistico e creativo

Il diritto d’autore va tutelato normativamente come compenso economico del lavoro creativo ed artistico e come diritto morale a difesa dell’integrità e del destino della propria opera;va garantita la possibilità di scaricare gratuitamente opere audiovisive o musicali dalla rete ad esclusivo uso personale. Costituzione di un “fondo unico per il lavoro creativo” sul quale viene versato il 50 % dell’iva proveniente dai costi di connessione alla rete. Lotta alla pirateria per uso commerciale.

5. Leggi di sistema e risorse certe per tutte le attività culturali

- Sono necessarie leggi di sistema per tutti i settori culturali che garantiscano risorse certe e pluralismo dell’offerta culturale, sostegno alla produzione e distribuzione indipendente, normative antitrust, formazione professionale e del pubblico, sostegno all’associazionismo culturale.

- Costruzione in tutte le città, in tutti i quartieri e in tutte le periferie del paese di una rete di spazi pubblici della cultura: luoghi di incontro, partecipazione, produzione, sperimentazione, formazione e fruizione culturale.

- Rilancio di Cinecittà, del Centro sperimentale di cinematografia, di tutte le istituzioni culturali pubbliche e di tutte le scuole di alta formazione professionale.

- Riforma democratica e partecipata di tutte le istituzioni culturali pubbliche la cui gestione deve essere affidata alle forze sociali, culturali e professionali del settore. Il ruolo delle istituzioni culturali pubbliche deve prevedere tra l’altro: un rapporto stabile con il territorio; formazione professionale e del pubblico; rapporto con le scuole; valorizzazione del patrimonio artistico e culturale; ricerca e sperimentazione; documentazione anche audiovisiva, conservazione, catalogazione e valorizzazione delle attività svolte.    

a. Cinema

Sosteniamo una legge di sistema che preveda, tra l’altro:

- Creazione del Centro nazionale di cinematografia. È un ente pubblico che attua le politiche pubbliche di settore. Ha reale autonomia regolamentare, amministrativa, organizzativa, patrimoniale, finanziaria, contabile e di bilancio; è gestito dalle forze professionali, culturali e sociali del settore audiovisivo.
- Costituzione di un fondo per il cinema al quale affluiscono le risorse provenienti dalla fiscalità generale e dalla fiscalità di scopo (prelievo di una quota percentuale sul fatturato annuo di tutti i soggetti che “usano” l’opera cinematografica);
- Sostegno alla produzione e alla distribuzione indipendente, all’esercizio cinematografico d’essai; sostegno all’associazionismo e alla promozione del cinema italiano;
- Normativa antitrust (orizzontale e verticale) che liberi il mercato dalle concentrazioni nei settori della produzione, distribuzione ed esercizio
- Rilancio di Cinecittà e dell’Istituto luce quali poli pubblici fondamentali per tutto il settore;
- Riduzione dell’iva al 4% per tutti i prodotti e le attività cinematografiche.

b. Spettacolo dal vivo

Sosteniamo una legge di sistema per tutti i settori dello spettacolo dal vivo (teatro, musica, circo, artisti di strada,…) che preveda tra l’altro:

- Finanziamenti certi in base a leggi, regole e criteri pubblici e trasparenti;   sostegno alla produzione indipendente e alla pluralità dell’offerta;
- Trasparenza e rigore nella gestione delle istituzioni. Le nomine negli enti culturali devono essere fatte con bandi pubblici basati su progetti artistici, curricula, professionalità e competenza;
- Costruzione in tutte le città, in tutti i quartieri e in tutte le periferie del paese di una rete di spazi pubblici della cultura. Luoghi di incontro, partecipazione, produzione, sperimentazione, formazione e fruizione culturale;
- Prezzi economici per teatri, concerti, spettacoli e convenzioni con le scuole;
- Normative antitrust che contrastino i monopoli nei settori dello spettacolo dal vivo;
- Creazione di circuiti regionali per la circolazione delle produzioni culturali;
- Riduzione dell’iva al 4% per tutti i prodotti e le attività di spettacolo;
- Promozione e sostegno di tutte le forme di associazionismo culturale;

c. Beni culturali

“La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione" (art.  della Costituzione).
Nel nostro paese è in atto una vera e propria emergenza che riguarda l’ambiente, il paesaggio e il nostro patrimonio storico ed artistico: è necessario lanciare una grande campagna per riaffermare il valore pubblico del bene culturale e che riconosca al Paesaggio un valore culturale e identitario dell'intera Nazione che, come tale, deve essere  oggetto di tutela. Tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali ed artistici da parte dello Stato e delle strutture pubbliche. Riforma del Mibac e valorizzazione delle strutture periferiche e di base. Riconoscimento di tutte le professionalità del settore del restauro e dell’archeologia.


- La tutela del bene culturale è un valore prevalente e deve essere esercitata dallo Stato e dalle strutture pubbliche.

- Nel rispetto dei principi di tutela nazionale, vanno organizzate forme di programmazione condivisa e concertata Stato-Regioni-Enti locali.

- Deve essere favorita, con politiche economiche e sociali adeguate, la più ampia accessibilità al bene culturale da parte di tutti i cittadini.

- I soggetti privati possono concorrere alla valorizzazione e alla promozione del patrimonio culturale sulla base di standard qualitativi e di indirizzi dettati dai soggetti pubblici.

- Ristrutturazione del ministero dei Beni e delle attività culturali riducendo il numero delle strutture amministrativo-burocratiche centrali e valorizzando le strutture periferiche e di base.

- Il processo produttivo nei settori del restauro e dell’archeologia è costituito da più figure professionali le cui competenze spesso non sono riconosciute. Vanno quindi tutelati i percorsi formativi e garantito il riconoscimento di tutte le professionalità del settore insieme ad un adeguato trattamento economico.

SISTEMA DELLE COMUNICAZIONI

Per far uscire la Rai dalla crisi profonda e strutturale in cui è stata portata e per restituirle il ruolo centrale nel sistema misto delle comunicazioni, così come deciso dalla Corte costituzionale, occorre mettere in campo una grande riforma mobilitando e chiamando a discutere le forze sociali e culturali, l’associazionismo e i movimenti. Occorre elaborare un grande progetto culturale che renda il servizio pubblico radiotelevisivo all’altezza delle sfide tecnologiche di oggi e di domani, perché la Rai torni ad essere un’azienda democratica e autonoma, decentrata e partecipata, che dia voce a tutta la produzione indipendente diffusa su tutto il territorio nazionale, pluralista nella sua offerta culturale nel rispetto dei tanti “pubblici” e sganciata dalle logiche di mercato. Una Rai i cui vertici sono “nominati” dal Parlamento ma scelti – in base a curricula e progetti editoriali pubblici - tra personalità del mondo della cultura, dell’informazione, del lavoro, della produzione culturale e dell’associazionismo, che possano realmente garantire professionalità indipendenza e autonomia. Eliminazione della distinzione tra programmi finanziati dal canone e programmi finanziati dalla pubblicità. Tutta la programmazione Rai è “servizio pubblico” e quindi il principio ispiratore è la qualità e non l’audience.

1. Occorre una legge sul sistema delle comunicazioni che contenga una reale normativa antitrust per rompere il duopolio Rai-Mediaset nel settore televisivo e in quello cinematografico e riaprire il mercato ad una offerta televisiva pluralista, indipendente, diffusa su tutto il territorio e che risponda ai principi di “interesse generale”. Legge antitrust, per rompere gli attuali oligopoli e impedire la nascita di nuove posizioni dominanti lesive della concorrenza e del pluralismo. Chi fa televisione non può possedere testate giornalistiche né case di produzione e distribuzione cinematografica né essere proprietario di circuiti di sale.

2. Centralità del servizio pubblico radiotelevisivo. Riforma della Rai per garantirne una gestione democratica e partecipata, pluralista e decentrata. Nomina da parte del Parlamento dei membri del cda su curricula e progetti editoriali scelti tra personalità della cultura, del lavoro, dell’informazione, della produzione culturale. Direttore generale nominato dal cda. Assunzioni per concorso pubblico sia nelle reti che nelle testate.

3. L’etere è un bene pubblico: tutte le emittenti devono rispettare il principio di “interesse generale”.

4. Sostegno alle emittenti locali indipendenti legate al territorio e con gestione partecipata.

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