di Antonio Cipriani

Il capo della polizia, Antonio Manganelli, il manager dello Stato più pagato con i suoi 621.253,75 euro l'anno, si è scusato per le violenze della Diaz. Con i suoi 50mila euro al mese e più guadagna in una settimana quello che guadagna un ricercatore se gli va bene, ma tanto bene, in un anno.

Premessa per dire che per mantenere un tenore di vita del genere si sarebbe scusato persino per il cattivo sapore del caffè di Gaspare Pisciotta. All'epoca dei fatti era il vicecapo della polizia, non un passante. Così viene da pensare che le sue scuse, undici anni dopo le efferatezze di Genova, sono tardive e patetiche.

Come sembrano forzate anche le non-scuse ma quasi di Gianni De Gennaro. Scusarsi, dopo aver detto più volte che alla Diaz tutto era stato fatto secondo i principi della gestione dell'ordine pubblico, non poteva. Avrebbe dovuto, ma non l'ha fatto. Si è però dispiaciuto, con un po' di ritardo e non si sa quanto spontaneamente dei torti subiti dagli inermi cittadini. Già, ma a testa alta e in difesa delle sfavillanti carriere che tutto il gruppo ha fatto ha mostrato solidarietà umana per quelli che si sono beccati la condanna.

Ma ci sono gli assenti. Che non si sono scusati, e avrebbero dovuto. Perché all'epoca dei fatti se De Gennaro e Manganelli erano ai vertici della polizia, non dimentichiamo che il ministro di riferimento era Claudio Scajola, il peggior ministro degli Interni che sia mai apparso sulla scena repubblicana (a parte Cossiga durante il caso Moro).

Tutto a sua insaputa? Oppure qualche summit l'hanno pur fatto per decidere come intervenire e come dare una lezione a chi osava protestare, appendere mutande ai reticolati, sbeffeggiare Silvio Berlusconi, il grande uomo di stato che nella sua Italia doveva mostrare il petto?

La mano politica è rimasta nascosta. Ma come si può dimenticare, a parte l'Insaputo, il ministro della Giustizia, l'indimenticabile padano Roberto Castelli che nei giorni del G8 andò in visita a Bolzaneto e si complimentò persino per la mensa ottima e abbondante. Sarebbe passato distrattamente anche in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale con il suo spiccato senso dell'humor e lo sguardo attento. Castelli. quest'uomo è stato ministro.

E Gianfranco Fini, come ha segnalato un nostro solerte lettore. Ce lo vogliamo dimenticare? All'epoca andava a braccetto con Berlusconi al punto che da vicepremier era presente nella sala operativa di Genova. A fare che cosa? Non si sa, ma si sa soltanto quello che abbiamo visto. Non si è scusato neanche ora che è uscito dal berlusconismo prima del crollo dell'impero. Con lui, ad assistere in sala operativa, c'era il solerte futuro deputato di An Filippo Ascierto.

Lunga sarebbe la lista degli ignavi. Prima (a Napoli con ministro Enzo Bianco le forze dell'ordine fecero le prove generali). Durante, abbiamo visto. Dopo. Già, perché il dopo è stato dedicato a Santa Nega. A partire da Claudio Scajola, comprensibile perché a sua insaputa; per arrivare a Giuseppe Pisanu, Giuliano Amato e Roberto Maroni. Tutti ministri dell'Interno che col cavolo spesero una parola per la verità, diedero una mano, scoperchiarono la pentola esplosiva e fascisteggiante della polizia. Sarebbe stato un bel gesto, anticipare le sentenze. Chiedere scusa prima di essere costretti. In una democrazia si fa così. Non in Italia.

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