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di Gianluigi Pegolo

Sul carattere “costituente”  del governo Monti, non dovrebbero esservi dubbi...

Alla luce dei provvedimenti fin qui assunti e di quelli annunciati si sta attuando una vera e propria rivoluzione nei rapporti sociali nel paese, all’insegna dell’assoluta centralità della borghesia e dei poteri forti, con un ruolo ancillare delle principali forze politiche. Quello che tuttavia non era scontato, anche in ragione delle diversità presenti nelle forze politiche che sostengono il governo, era che questa vocazione costituente si estendesse anche all’impianto costituzionale. E invece, dopo l’annuncio di queste ore dell’intesa fra Pd, PDL e terzo polo sulle riforme istituzionali, la possibilità che si metta mano anche all’impalcatura istituzionale del paese diventa una possibilità concreta. Come nel caso dei provvedimenti sociali non c’è che da essere allarmati. Le notizie sono molto frammentarie, ma indicano un percorso abbastanza chiaro: riduzione del numero dei parlamentari (sembrerebbe da 630 a 500 deputati e da 315 a 250 senatori), rafforzamento dei poteri del presidente del consiglio (con nomina e revoca dei ministri e, secondo alcuni, anche

con la possibilità di richiesta di scioglimento delle camere), superamento del bicameralismo perfetto (con attribuzione di compiti differenziati alle due camere), sfiducia costruttiva, modifica dell’art. 117 della Costituzione che definisce compiti e poteri dei diversi livelli di governo. Alla fine di questo percorso da attuarsi con celerità: varo della nuova legge elettorale. Anche se le notizie sono così scarne e la natura dei provvedimenti cui si pensa in parte nebulosa, alcuni elementi sono già chiari. Facendo leva sulla retorica dei costi della politica si punta a ridurre con il n

umero dei parlamentari il pluralismo politico. Chiunque, infatti, può capire che per dimezzare i costi del Parlamento sarebbe possibile tagliare radicalmente stipendi e spese, anziché il numero dei parlamentari. In secondo luogo, si vuole rafforzare il peso del capo del governo riducendo simmetricamente quello del Parlamento, producendo per questa via una centralizzazione dei poteri. Sugli altri provvedimenti si vedrà, ma anche qui gravano insidie, da come s’intende differenziare le funzioni delle due camere a cosa s’intenda fare sulla ripartizione delle  competenze fra stato e regioni. A grandi linee, quindi, la grande intesa partorisce quello che ci si poteva attendere: un’ulteriore torsione in senso centralista e antidemocratico, cui seguirà la classica “ciliegina

sulla torta” della riforma della legge elettorale, della quale molto si parla, ma sulla cui natura regna una grande incertezza. Anche in merito a questa qualcosa tuttavia emerge. Sarà una legge che, tutti ribadiscono, “tenderà comunque al bipolarismo”, col che si capisce che s’intende in ogni caso rafforzare il peso delle forze maggiori a scapito di quelle minori. La “terza repubblica” aperta dal governo Monti si annuncia così come un’ulteriore involuzione della già pessima seconda repubblica, chiusa dal governo Berlusconi. Controriforma sociale e riduzione della democrazia, questi i suoi connotati. Motivi in più per condurre una decisa opposizione.

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