di Marco Travaglio

Come dice Crozza, l’appello del Pd al “voto utile” è molto pericoloso. Perché gli elettori potrebbero domandarsi: utile a chi? E per fare cosa? Perché anche B. si appella al voto utile, diffidando gli elettori dal votare per tutti tranne il suo e, bontà sua, il Pd. E perché il voto è sempre utile o al massimo dannoso, ma mai inutile. Inutile è solo il non-voto. Sappiamo bene cosa intendono Bersani e Berlusconi per “voto utile”, riconoscendosi vicendevolmente come unici veri avversari: non votate per gli altri, sennò fate vincere l’altro. Una concezione davvero curiosa della democrazia, specie da parte di due leader che da 15 mesi governano insieme e si scoprono avversari solo in campagna elettorale.

Chi vuole sostenere le battaglie per la legalità, il lavoro e l’ambiente trova utilissimo votare Rivoluzione Civile di Ingroia. Chi vuol mandare in Parlamento una pattuglia di giovani guastatori senza soldi contro il sistema consociativo trova utilissimo votare 5 Stelle. Chi ama i tecnici e la vecchia Dc trova utilissimo votare Agenda Monti. Chi ancora crede alla Padania trova utilissimo votare Lega. E così via. Ma il voto utile, per il Pd, nasconde una parola che i furbetti del Nazareno non vogliono pronunciare, convinti che tutto sia loro dovuto: “Desistenza”. Siccome nei sondaggi Ingroia è dato al 5-6%, dunque supererà il 4% necessario per entrare alla Camera, ma l’8% per il Senato dovrebbe scavalcarlo solo in alcune regioni (Campania e Sicilia in primis), Bersani spera che ritiri le sue liste almeno nelle tre regioni decisive per conquistare la maggioranza al Senato: Lombardia, Campania e Sicilia. Così ha fatto chiedere a Ingroia la desistenza, anche se pubblicamente lo nega e pretende che Ingroia gliela regali sua sponte. Ora, la desistenza è già stata sperimentata con successo dall’Ulivo con Bertinotti nel '96, in vista dell’appoggio esterno di Rifondazione al governo Prodi. Nel 2001 ci fu il bis, ma solo col Prc, mentre Di Pietro fu tenuto fuori con una mossa talmente astuta che regalò la vittoria a B. In ogni caso la desistenza era fra due alleati che, dopo il voto, si impegnavano a governare insieme. Dunque erano entrambi interessati alla vittoria della coalizione. Ora invece, per la prima volta nella storia, il Pd vorrebbe la desistenza (per giunta spontanea e gratuita) di un partito con cui non ha alcuna intenzione di governare, ritenendolo un pericoloso nemico giustizialista, populista, estremista e antinapolitanista. Bersani bolla come “cancro della democrazia” quelli che chiama “partiti personali”: e non ce l’ha con Agenda Monti, suo ex e futuro alleato, ma con Rivoluzione Civile che, lungi dall’essere un partito personale, riunisce almeno sei fra partiti e movimenti (Idv, Pdci, Prc, Arancioni, Cambiare si può, Alba). In compenso Bersani e persino Fassina annunciano che dopo le elezioni governeranno con Monti, Fini, Casini e famiglia anche se avessero la maggioranza in entrambe le Camere. E, per precauzione, lo scavalcano a destra rinunciando alla patrimoniale, prevista persino nell’Agenda Monti. Intanto Monti, per gratitudine, in Lombardia appoggia Albertini per far perdere Ambrosoli, sostenuto invece da Ingroia. E Ingroia dovrebbe suicidarsi ritirando le liste in tre regioni chiave, di cui due gli consentirebbero la presenza al Senato? E in cambio di cosa? Dei voti che occorrono al Pd per governare con Monti, portare in Parlamento qualche impresentabile (tranne i 4 fulminati ieri) e cacciare Ingroia all’opposizione? In attesa di capire a cosa sia utile il voto al Pd, e se non sia più utile che Pd e Sel si coalizzino con Monti prima delle elezioni, cosicché gli elettori possano esprimersi sull’ammucchiata Monti-Zemolo-Casini-Fini-Bersani-Vendola prossima ventura, sorge spontanea una domanda: ma se il Pd vuol continuare a governare con Monti, perché la desistenza non la chiede a Monti?

 

Il Fatto Quotidiano

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