Care compagne, cari compagni,

L’analisi della fase politica attuale non può prescindere da alcune considerazioni conseguenti ai tragici fatti di Parigi.
Evitando di farsi prendere dalla tentazione di analizzare come sia potuto accadere che più attentatori possano colpire il centro nevralgico di una capitale europea senza che nessuna intelligence abbia sospettato nulla, ma sarebbe dietrologia,
sulle dirette conseguenze dei fatti vi è invece abbastanza certezza.
Ad appena 72 ore di distanza dalla tragedia parigina, iniziano a delinearsi le prime conseguenze, sia a livello mondiale, che europeo e nazionale.


L’aviazione francese ha colpito Raqqa, la “capitale” dello pseudo stato islamico in Siria. Almeno 30 raid hanno colpito la città, che ospita il quartier generale dell’ISIS. Secondo quanto riferito dalle “fonti ufficiali” sarebbero stati colpiti “obiettivi sensibili”, quale un centro di addestramento, uno di reclutamento e gli “uffici governativi”. Viene da chiedersi come mai non abbiano colpito prima questi obiettivi, visto che Obama e soci sostengono di combattere ISIS da più di un anno.
Ma a parte i bombardamenti, ci sono anche altre novità all’orizzonte. Hollande ha in mente di mantenere per ben 3 mesi lo stato di emergenza, e intende approvare leggi speciali, una sorta di “patriot act” (la legge speciale varata da George W. Bush all’indomani dell’11 Settembre) in salsa francese. Controllare i cittadini, invadere la loro privacy, non richiederà più particolari autorizzazioni.
E anche in Italia, il dipartimento anti terrorismo ha chiesto a Renzi nuovi strumenti per indagare più efficacemente. Sostengono che non si tratti di leggi speciali, ma si tratta sicuramente di leggi che renderanno più facile violare la privacy delle persone, senza particolari permessi o motivazioni. Inoltre ci saranno probabilmente altre misure liberticide.
In cambio della sicurezza, dunque, dobbiamo cedere la nostra libertà e le leggi democratiche.
Ma non è finita qui. Da più parti, è arrivata la proposta di dispiegare un “esercito europeo”. In Italia ne parla un articolo di Huffington Post, dove l’autore, David Sassoli, vicepresidente parlamento europeo, annuncia la “necessità” di costituire e impiegare un esercito europeo!
Si legge nell’articolo:“L’esercito europeo è ormai una necessità strategica, politica ed economica e significherebbe, fra l’altro, dotare la politica estera di strumenti efficienti di deterrenza e intervento.”
Tutto ciò accompagnato da un bombardamento mass mediatico che ne spiega l’assoluta necessità. In una sorta di Truman show in cui a noi, inconsapevoli spettatori, è stato detto che i nostri militari hanno già partecipato a missioni di pace, come se la pace si seminasse con i carri armati e i mitra invece che con la comprensione e il rispetto.
Non ci viene detto che le azioni militari che hanno insanguinato il Medio Oriente sono state tutte guerre miranti ad accaparrare idrocarburi indispensabili per far muovere la mostruosa macchina capitalista occidentale che necessita di crescenti dosi d’energia.
E’ noto che, se tutti gli abitanti del mondo fossero europei, avremmo bisogno di tre pianeti, se fossero tutti americani addirittura sei. Finché questa insostenibilità andrà avanti si calpesteranno sempre i diritti di qualcuno e sempre più saranno necessarie le guerre.
Il coro mediatico, per giustificare nuove guerre, ci vuole far credere che alcuni ventenni disadattati che vivono nelle periferie occidentali e alcune dozzine di uomini barbuti che urlano nel deserto possano essere credibili antagonisti di Paesi che posseggono arsenali atomici in grado di far saltare il pianeta decine di volte. Come è successo con Saddam, Gheddafi, Bin Laden e i talebani; gli odierni nemici dell’Isis sono strumentali ai grandi interessi dei potentati economici nostrani. Tanto a pagare le conseguenze dell’odio innescato è la donna e l’uomo comune di Parigi, Beirut, Bagdad, Kabul e Gaza.
La religione è solo un pretesto. L’unico vero dio è il denaro.
Questi fatti sono avvenuti per motivi politici, e hanno conseguenze politiche. Avere un’opinione è bene in tempi di pace, ma è assolutamente essenziale in tempi di crisi.
Il giorno prima degli attacchi a Parigi, due attentatori suicidi si sono fatti esplodere in un sobborgo a maggioranza sciita nella periferia meridionale di Beirut, uccidendo 43 innocenti. Le agenzie di stampa come la Reuters hanno riferito di un attacco contro “una roccaforte di Hezbollah”.
L’umanità delle vittime è scomparsa, i morti sono stati brutalmente ridotti a rappresentare un partito che magari neanche appoggiavano: non erano persone, erano Hezbollah, come se l’obiettivo dell’attacco fosse stata una fortezza, anziché un quartiere pieno di famiglie.
Ribadire l’umanità delle vittime è un atto politico, e quando la tragedia viene intrecciata al conflitto tra civiltà o viene spacciata come scusa per strumentalizzare quelli che sono già vittime, è un atto politico estremamente necessario.
C’è la politicizzazione che si butta sulla morte per scopi politici limitati, ma c’è anche un tipo di politica che rifiuta ogni copione preconfezionato, che non sia la richiesta di liberazione; che ribadisce la natura politica della tragedia, non per fargli assumere questa o quella piega narrativa, e nemmeno per dare una patina di destra o di sinistra alle immagini del massacro, ma perché la politica è un modo per venirne fuori.
L’atrocità impone solidarietà. Comprensione assoluta per le vittime, per tutte le vittime. Dire chiaramente di avere un’opinione, non il ghigno saccente di qualcuno che aveva ragione da sempre, ma una solidarietà totale di fronte alla devastazione. Lottare contro quelli che attaccano i caffè e i concerti, quelli che bombardano le città con caccia a reazione e con il proprio corpo, quelli che abbandonano i migranti al freddo lasciandoli fuori delle proprie frontiere, e quelli che li hanno costretti ad andarsene. Combattere: la battaglia comune a tutti quelli che soffrono, contro tutte le sofferenze questa è la nostra politica!
Invece la politica europea ed italiana in particolare è impegnata esclusivamente alla affannosa ricerca di una identità che non riesce ad avere almeno per tre motivazioni:
Crisi economica gravissima fronteggiata con misure che tendono a peggiorarla, profonda crisi morale e crisi politica all’interno degli stessi partiti.
E se questi temi vengono declinati ad una latitudine più bassa, al sud Italia, assumono un carattere ancore più forte e determinante.
La Sicilia ne è l’esempio più illuminante.
Un governo regionale che ha già cambiato 50 assessori in meno di tre anni, un Governatore travolto da scandali di ogni tipo (formazione, sanità) che governa con maggioranze variabili sostenuto da un partito democratico completamente allo sbando, in profonda crisi di identità, molto più che nel resto del territorio nazionale, basti pensare che in queste ore si deciderà la nomina del presidente del gruppo parlamentare con due soli candidati entrambi provenienti (dopo vari pellegrinaggi) dall’ UDC.
In assenza quindi di qualsiasi idea di politica regionale, la Sicilia è allo sbando, sfigurata da emergenze oramai divenute quotidianità.
E’ appena il caso di accennare alla viabilità isolana, resa oramai insostenibile da crolli per mancata manutenzione e incapacità di trovare soluzioni.
Da una crisi occupazionale senza precedenti, la ripresa in Sicilia non solo non si vede, ma sembra molto di là da venire. I dati economici del primo trimestre del 2015 sono disarmanti. La guerra che falcidia le aziende continua. Ben 4 mila le imprese che hanno chiuso i battenti nei primi tre mesi dell'anno, con due record: nell'agricoltura ne sono saltate 1.270, nell'artigianato ne sono scomparse 1.100 e a sua volta la città che registra l'andamento peggiore in questa categoria è Palermo, con ben 230 imprese artigiane sparite nel nulla. ".
La Sicilia è la regione europea con il più basso tasso di occupazione (42,4%) delle persone tra i 20 e i 64 anni. Tra Bolzano, l'area in Italia con il tasso di occupati più alto (76,1%, grazie all'alto tasso anche tra le donne, il 69.4%) e la Sicilia, c'è una differenza di oltre trenta punti.
Il dato è legato anche alla scarsissima occupazione femminile con appena il 29,6% delle donne che lavorano tra i 20 e i 64 anni in Sicilia.
Per non parlare della sanità….. la regione è oramai fanalino di coda in Italia con le peggiori performance dei più importanti parametri di valutazione.
Ospedali fatiscenti, organici sotto dotati, liste d’attesa insopportabili,e soprattutto impossibilità di accesso ai servizi. Situazione questa che non fa altro che accentuare il divario tra ricchi e poveri, tra chi può permettersi prestazioni sanitarie rapide efficienti e ad alto costo dai privati, e chi è costretto a subire i ritardi e le mancanze di un servizio sanitario regionale sempre più residuale ed incapace di ottemperare ai bisogni.
Tutto questo in un quadro di desolante degrado morale che in questa terra non risparmia nemmeno un fondamentale potere dello stato quale è la magistratura.
Se questa è l’analisi non rimane che chiedersi il che fare.
Può un partito piccolo e con qualche elemento di crisi anche al suo interno determinare un cambiamento di rotta in questa tragica situazione?
Io credo di si, credo fermamente che continua ad esistere un ruolo, importante se non determinante, per noi comunisti.
Ma questo ruolo possiamo esercitarlo solo se in primis riusciamo ad affermare e soprattutto a far comprendere la nostra diversità, e per farlo non possiamo solo esercitare un diritto di critica sterile ed inefficace ma dobbiamo mettere in campo azioni concrete e riconoscibili che passano anche attraverso scelte coraggiose.
E le scelte coraggiose vanno fatte soprattutto là dove noi abbiamo delle rappresentanze istituzionali, caratterizzando l’azione politica delle amministrazioni di cui facciamo parte, imponendo scelte politiche coraggiose e sostenerle fino alle estreme conseguenze, perché compagni o si fa cosi o si muore nell’indifferenza collettiva che ci assimila come uguali a tutti gli altri.
E per fare un esempio pratico di ciò che sto dicendo, non è possibile che a Palermo, quinta città d’Italia, che ci vede autorevolmente rappresentati al governo della città, non sia possibile riuscire a dare risposte su temi a noi particolarmente cari quali il disagio sociale che vede nell’emergenza abitativa il suo picco più alto. Nonostante abbiamo elaborato proposte e soluzioni, tipo l’autorecupero, che ancora non sono state realizzate.
Perché cari compagni, una cosa è mettersi alla guida del conflitto sociale nelle manifestazione di piazza, e un’altra è assumersi la responsabilità di dare risposte quando se ne ha la possibilità.
Trovo altrettanto utile l’organizzazione di incontri specifici su questi temi alla sola condizione che agli eventi seguano i fatti, diversamente si rischia di essere sterilmente autoreferenziali.
Credo che i territori tutti debbano analizzare le criticità locali, studiarle e soprattutto proporre soluzioni.
E’ certamente necessaria una maggiore collaborazione e vicinanza tra le federazioni e la segreteria regionale è da mesi impegnata in questa direzione, bisogna fare tesoro delle varie elaborazioni politiche, portarle a sintesi e farle diventare patrimonio collettivo, in questa direzione potremo avere quel necessario slancio di attività politica di cui questo partito ha bisogno ma di cui credo abbiano ancora più bisogno i cittadini tutti e soprattutto le classi più disagiate, gli ultimi, che ci onoriamo di rappresentare.

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