Intervista a Landini

di Antonio Sciotto
«La risposta che la politica sta dando alle richieste del Paese è sbagliata: in questa situazione c’è bisogno di un governo di totale cambiamento rispetto a quello di Monti. Un esecutivo che rimetta al centro il lavoro e faccia ripartire l’Italia». Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, boccia senza remore qualsiasi ipotesi di «governissimo», ma si rende conto realisticamente che nell’immediato la sua ipotesi è irrealizzabile: «L’unica alternativa alle larghe intese può essere al momento un governo breve e di scopo, che affronti le emergenze e cambi la legge elettorale, per poi tornare tra qualche mese al voto». La Fiom, dal canto suo, continua a mobilitarsi: il 18 maggio è prevista una grande manifestazione nazionale a Roma.


Perché non vi piace un governo delle larghe intese?
Un esecutivo di quel genere lo abbiamo sperimentato da poco, è quello Monti: non ha dato le risposte ai cittadini, e non a caso è stato bocciato alle ultime elezioni. Al contrario ci serve un governo che ricontratti alcuni vincoli europei, che investa sulla ripresa, con il pubblico, e che insieme ridia tutele al lavoro. Ma per fare questo deve avere un chiaro mandato politico, non può certo nascere mettendo insieme due forze che si sono opposte in campagna elettorale con programmi diversi e alternativi. Tra l’altro vediamo che l’astensionismo cresce, in Friuli il dato è lampante. In Italia c’è una grande crisi di rappresentanza politica, e per dare risposte deve tornare la politica.
Eppure c’è tanta richiesta di partecipazione, lo stesso Pd è in fermento: i militanti bruciano le tessere o occupano le sedi.
Certo, perché il messaggio arrivato al Paese è di un Palazzo che si chiude, che non ascolta e non comunica. Capisco la situazione drammatica in cui siamo, e ci vogliono sicuramente interventi emergenziali per gli esodati e la cassa in deroga, ma proprio per questo si devono avviare cambiamenti di fondo. Un nuovo “governo Monti senza Monti” non può dare le risposte necessarie: facciamo un esecutivo breve e di scopo, poi si rivada al voto, presto, entro pochi mesi.
È per questa emergenza che il 18 maggio della Fiom avrà una connotazione molto politica?
Non abbiamo fatto mistero, lo diciamo esplicitamente, che la nostra manifestazione si basa su una piattaforma sindacale ma si rivolge a tutti i cittadini che vogliono un vero cambiamento. D’altronde è nella tradizione della Fiom partire dai diritti in fabbrica per chiedere diritti nella società. Saranno con noi studenti, precari, giovani, movimenti e associazioni che non vogliono più aspettare e chiedono un nuovo corso: il lavoro al centro, un piano straordinario di investimenti, il reddito di cittadinanza, l’incentivazione alla riduzione di orario, la cancellazione dell’articolo 8. Piani per i trasporti, la mobilità, la banda larga, le energie rinnovabili. Lotta all’evasione fiscale, alla corruzione e alla criminalità. Una legge per la rappresentanza e la democrazia. Abbiamo invitato a parlare, tra gli altri, anche Stefano Rodotà.
Il 30 aprile avete organizzato un seminario a Bologna dove interverranno anche Cofferati e Barca. Tutti ormai parlano di un nuovo partito della sinistra, con Sel e gli «scissionisti» del Pd.
Queste voci dimostrano la malattia del nostro Paese: dietro ogni iniziativa si vede la nascita di un partito. Dire che la Fiom vuole fare un partito è una enorme sciocchezza. La nostra iniziativa è stata pensata a marzo, insieme alla manifestazione del 18 maggio, e si intitola: “Lavoro e welfare per essere cittadini europei. Le proposte della Fiom su reddito, salario e orario per un diverso modello sociale”. Ovviamente ne parliamo con chi della politica può condividere una idea di cambiamento, restando autonomi e alla pari. Aggiungo che già lo scorso giugno chiedemmo di incontrare tutte le forze politiche, perché da tempo denunciamo la mancanza di rappresentanza del lavoro.
L’ultimo direttivo Cgil dà mandato a cercare nuove regole per la rappresentanza, con Cisl, Uil e Confindustria. La Fiom sostiene questo impulso o è contraria?
Se si sosterrà quel che si è detto, ovvero che alla fine tutti i lavoratori potranno votare piattaforme e accordi, certamente, noi ci siamo. Con l’aggiunta che non si dovrà inibire il diritto allo sciopero: gli accordi devono essere vincolanti per tutti, ma non devono esserci sanzioni, al massimo solo procedure di raffredamento. A chiusura di tutto ci vorrà però una legge. Di recente abbiamo firmato un buon accordo con Finmeccanica, che fa partecipare i lavoratori ai piani dell’impresa.
Cosa proporrete esattamente al seminario del 30 aprile sul salario minimo e il reddito di cittadinanza? Sono temi caldi.
Sul salario minimo dico che contratti e leggi non vanno contrapposti. Oggi ci sono troppi contratti: bisogna ridurli, e arrivare ad esempio a un solo contratto dell’industria. Grazie alla legge sulla rappresentanza, poi, quel contratto sarà valido per tutti: e allora il salario minimo coinciderà con il minimo dei contratti nazionali, ma rafforzato e sancito dalla legge. Sul reddito di cittadinanza, credo vada estesa la cig a tutti i settori, ma nel contempo va assicurato un reddito a disoccupati, inoccupati, precari, e un sostegno per il diritto allo studio. È uno dei temi forti delle nostre proposte, e non a caso il 30 abbiamo invitato tanti precari, giovani, studenti.

 

 

Il Manifesto – 24.04.13

 

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