Firenze 9 settembre 2018 – Festa nazionale di Rifondazione Comunista “Ribellarsi è giusto” - Assemblea nazionale dei segretari e delle segretarie di circolo, provinciali, regionali Prc-Se

Introduzione di Ezio Locatelli, responsabile nazionale organizzazione Prc-Se

Penso che la discussione sul tema che ci siamo dati, “costruire l’opposizione, rafforzare Rifondazione Comunista, costruire una sinistra popolare”, non possa che partire dagli orientamenti assunti nell’ultimo Cpn del Partito di metà luglio ponendoci, rispetto a quegli orientamenti, l’obiettivo di fare passi in avanti.

Parto da un dato: il sostegno largo di cui gode in questo momento il governo, ben oltre il 50% del Paese, contrariamente a quella che fu la previsione gaudente, molto stupida, di Matteo Renzi di un governo raccogliticcio destinato a vita breve. Quanto successo è l'esatto contrario, un sostegno che è andato crescendo - e si capisce - in virtù di un’opposizione rappresentata per lo più da forze che fanno riferimento all’europeismo liberista, alla politica dei vincoli di bilancio, delle compatibilità. Forze del tutto incapaci di cogliere la gravità della crisi in atto.

L’uso continuato di questo termine, da almeno tre decenni, ci ha portato a una sua banalizzazione, a perdere di vista i salti di novità, i fenomeni di rottura che sono avvenuti non solo a livello del nostro paese ma su scala globale. In particolare la crisi di rigetto nei confronti della classe dirigente. Fenomeni descritti molto bene da Nancy Fraser: “È come se masse di persone in tutto il mondo avessero smesso di credere del senso comune dominante che ha sostenuto l’autorità politica negli ultimi decenni. È come se avessero perso la fiducia nella buona fede delle élite e fossero alla ricerca di nuove ideologie, nuove organizzazioni, nuove leadership”. Il fatto negativo è di una ricerca che ha incontrato un vuoto di prospettiva, un’assenza di risposte soprattutto per quanto riguarda le questioni di classe, le questioni che attengono al deterioramento delle condizioni lavorative e di esistenza per milioni di persone. Risultato: una ricerca che ha preso a riferimento prevalentemente partiti razzisti, anti-immigrati, forze autoritarie, alcune delle quali qualificabili come forze proto-fasciste.

Come contrastare questo scivolamento a destra? Che risposte dare? Per prima cosa penso che occorra recuperare il nesso tra il piano della battaglia democratica, antifascista, antirazzista e il piano della lotta per i diritti sociali e del lavoro. Nesso negato da tre decenni a questa parte reiterando di volta in volta lo stesso errore, quello di una contesa politica separata del suo risvolto sociale, materiale. Dapprima l’errore di una propaganda giocata sull’antiberlusconismo, più di recente sull’antirenzismo, adesso sull’antisalvinismo in assenza di una contrapposizione seria a quel gigantesco processo di distruzione dei sistemi di protezione sociale che ha ingenerato una diffusa insicurezza sociale. Un’insicurezza che è divenuta principio generale di governo della società. O tu sei un individuo proprietario in grado di proteggerti da solo, mobilitando le tue risorse, oppure sei invalidato. Penso che questo sia il vero passaggio drammaticamente negativo che ha cambiato il sentire comune della gente. Più precisamente che ha cambiato il sentire di quei settori, di quelle classi che un tempo costituivano la base tradizionale della sinistra, protagonisti di tante lotte sociali. Un rovesciamento di situazione, per dirla con Robert Castel, che “fabbrica pericoli”. Del resto già Marx, al suo tempo, preconizzava che la “decomposizione della società in monadi”, la “produzione dell’individuo isolato” oltre che un'assurdità è la premessa di una “guerra sociale” che riconosce come unica regola lo sfruttamento.

Dunque il problema primo che abbiamo è lo smantellamento di questa “fabbrica di pericoli”. Smantellamento a partire dalle risposte che vanno date alle domande di sicurezza, di giustizia che emergono nella nostra società, dai settori sociali maggiormente colpiti dal liberismo economico, non lasciando che queste domande alimentino spauracchi, chiusure, xenofobie, frustrazioni securitarie, detto altrimenti che alimentino la politica della paura. Una politica, sia detto, funzionale, in tempi di crisi della politica, ai poteri dominanti, funzionale a distogliere il discorso pubblico da un discorso di cambiamento sociale. Basta guardare ai media in questo periodo. L’allarmismo in materia di migranti. Le paginate a Salvini. Ora, se si vuole riportare il discorso sul piano del cambiamento sociale non c’è solo da fare una battaglia etico politica, certamente giusta, contro un Ministro degli Interni brutale, disumano, fascistoide ma in ragione di ciò anche molto abile nell’opera di depistaggio politico. Non c’è solo da infrangere gli specchietti per le allodole. C’è da ritrovare una capacità di parlare ai ceti popolari impoveriti, di esserci sul terreno materiale delle condizioni di esistenza. Qui c’è la possibilità di aprire un varco. Io non penso che Lega e M5S, che pure in questo momento hanno il vento in poppa, siano nella condizione di stabilizzare il loro rapporto di governo. Questo governo ha incorporato una tale marea di attese sociali, attese di reddito, di lavoro, casa, occupazione che queste stesse attese rappresentano una contraddizione, un potenziale fattore di instabilità. E dunque in questo momento è bene esserci in tutte le mobilitazioni che vengono avanti. Ma ancora più importante è lavorare per una risposta di mobilitazione che non sia solo di una piccola parte ma di tutti i movimenti di lotta e di opposizione, in alternativa all’idea fatua di opposizione messa in campo dal Pd. Sotto questo punto di vista non possiamo che essere d’accordo con la proposta di Attac, e non solo, di una manifestazione larga, di movimento, da promuovere prossimamente su scala nazionale. Credo che dobbiamo lavorare a questo processo di ripresa di mobilitazione avendo un approccio dialettico, vedendo sempre la realtà nel suo risvolto. Detto in altre parole ciò che scaturisce dalla radicalizzazione delle disuguaglianze sociali, il malcontento, la rabbia, è anche un investimento sul versante della ricostruzione di un’opposizione e di una sinistra di società, di una sinistra che torni a essere fattore di speranza e di cambiamento sociale.

Seconda questione su cui abbiamo discusso ed esperito molti tentativi in questi anni: la ricostruzione di una soggettività di sinistra, di alternativa. Questione irrisolta. Il problema che continuiamo ad avere dopo la stagione della sconfitta, della dissoluzione dei grandi partiti di sinistra, è di come fuoriuscire da una prospettiva di sola testimonianza, di come tornare a fare movimento, egemonia, di come tornare a costruire senso comune. Questione di certo non risolvibile in termini astratti, a prescindere dalle forze sociali in campo che sono la materia prima di costruzione di identità collettiva. Le difficoltà che abbiamo avuto in questi anni non ci esimono dal proseguire un impegno di ricostruzione di un campo di forze. Utilizzo questa definizione - campo di forze - per dare il senso di una convergenza plurale - in grado di cambiare i rapporti di forza esistenti, di mobilitare una contro-forza antiliberista, anticapitalista, antagonista. C’è bisogno di precisarlo? Di farlo senza ambiguità, in alternativa ai liberisti o ai sovranisti variamente sparsi, nel centrodestra, nel centrosinistra, nel M5S. Chiamiamolo quarto polo, polo di sinistra alternativa, l’importante é che lo si faccia a partire da quello che c’è in campo. E’ indubbio, sotto questo puto di vista, che Potere al Popolo, di cui facciamo parte, è stato in questi mesi, uno dei pochi punti di riattivazione di energie, di protagonismo. Poco importa se in forme spurie, come sempre accade ai movimenti che sono allo stato nascente. L’importante è di uno sviluppo di percorso che sia coerente con l’ispirazione originaria, condivisa da tutti, “di costruzione di un movimento … che coinvolga partiti, reti e organizzazioni della sinistra sociale e politica … che in questi anni sono stati all’opposizione e non si sono arresi”. Cosa assai diversa dall’idea di una reductio ad unum. E lo si faccia senza pretese di primogenitura, su basi partecipative, democratiche, consensuali che è il solo modo per sviluppare un potenziale politico che c’è. Noi dobbiamo fare in modo che questo impegno originario di apertura, sia mantenuto e non contraddetto da ipotesi autoreferenziali, di chiusura, ipotesi mosse dall’illusione di poter crescere e bastare a se stessi senza considerazione per quelli che sono i rapporti di forza. Per dirne una. E’ chiaro che siamo alternativi al centrosinistra, che bisogna fare chiarezza, contrastare le strumentalizzazioni delle mobilitazioni antirazziste operate dal Pd, partito che ha la responsabilità indelebile del jobact, della legge Fornero, del decreto Minniti, dell’attacco alla Costituzione, dei trattati europei, delle guerre e atro ancora. Ma questo non significa stare fuori dalle mobilitazioni di massa, dalle manifestazioni antirazziste di movimento o, per riandare a discussioni avute qualche mese fa, stare fuori da manifestazioni di popolo come quelle del 25 aprile o del primo maggio. Si sta dentro facendo per l’appunto chiarezza. Noi dobbiamo batterci altresì perché il tema della partecipazione, della centralità delle assemblee territoriali, del pluralismo interno, all’uso corretto della piattaforma digitale non sia contraddetto da logiche maggioritarie, peggio ancora plebiscitarie in cui l’aggregazione statistica di opinioni personali si impone sulla rappresentanza dei territori, al ruolo delle assemblee, al metodo del consenso. Per dirne una, l’idea di procedere per via plebiscitaria all’elezione dei portavoce nazionali, oltretutto senza limiti di mandato, è una idea del tutto sbagliata, una idea subalterna alla politica dominante di questi anni il cui risultato, dietro la parvenza di un movimentismo liquido, è di attuare il massimo di centralizzazione, di personalizzazione e di decisionismo politico. Su queste questioni la decisione che abbiamo assunto è quella di stare sul piano di un confronto esplicitando, dentro e fuori di noi, una idea di democrazia partecipata e di forte critica a tutti gli elementi di separatezza e di personalizzazione della politica. A questo confronto bisogna partecipare a pieno titolo con quanti più compagni e compagne possibili, non commettendo la leggerezza di stare alla finestra. Ne va dell’esistenza di Potere al Popolo quale soggetto unitario, plurale della sinistra. Partecipare a pieno titolo significa sottoscrivere e far sottoscrivere l’adesione a Potere al Popolo. Le adesioni chiuderanno il 30 settembre in previsione della consultazione su due ipotesi di statuto – non c’è stata la disponibilità di elaborare una proposta condivisa - che si terrà il 6 e il 7 ottobre. Diamo rilevanza in questi 20 giorni a questo lavoro di adesione e di orientamento dei compagn@ unitamente, com’è ovvio – e qui vengo all’ultimo punto -, al completamento della campagna di iscrizione al Partito della Rifondazione Comunista. Su questo’ordine di problemi, il tema dell’opposizione, delle adesioni a Pap, del tesseramento a Rifondazione Comunista siano convocati Comitati o attivi regionali di discussione politica.

Quante volte dobbiamo dirlo? Per noi il tema dell’unità va di pari passo al tema dell’autonomia e del rilancio del partito convinti come siamo che le ragioni che ci hanno portato alla nascita 28 anni fa, che ci hanno portato a lottare e resistere in tutti questi anni, senza per questo sottacere errori e sconfitte politiche, sono più che mai attuali. Vorrei dirlo con molta forza: ci sono tutte le ragioni per andare avanti a testa alta. Sapendo anche che le buone ragioni, di per sé, non bastano, che il problema è di tornare a essere forza propulsiva smettendola con i discorsi piatti, discorsi che mancano del senso del possibile oltre che del necessario. Non vedendo come, quella che stiamo vivendo, non è una fase di acquiescenza, ma di grandi trasformazioni sociali in cui oltre ai rischi di regressione, come dicevo prima, c’è da vedere il risvolto, la possibile apertura di uno spazio di mobilitazione, di resistenza sociale, di opposizione di sinistra. Inutile dire, in questo momento, della disparità delle forze in essere. E che in ragione di ciò, nell’Italia dei salari più bassi di Europa, dell’alto tasso di disoccupazione, della negazione dei diritti dei lavoratori, del record di disuguaglianze il problema, innanzitutto, è di una risposta da parte delle organizzazioni sindacali, risposta finora del tutto mancante. Noi dobbiamo lavorare perché questa risposta ci sia. Detto ciò come partito, siamo chiamati in prima battuta a fare la nostra parte. A farla con la consapevolezza che un partito ha la possibilità di esistere se alla base ha una sua iniziativa. La proposta che avanziamo come segreteria è di una campagna sociale da condurre su scala nazionale nei luoghi di lavoro, nelle piazze, nei quartieri, nei paesi in cui mettere al centro l’abrogazione della legge Fornero, il reddito minimo ai disoccupati, la tassazione alle grandi ricchezze contro flat tax, la lotta alle disuguaglianze. Obiettivo: stanare il governo sul terreno delle false promesse elettorali. Riprendere in mano l’iniziativa. Tutto ciò, e vengo alla fine, significa essere impegnati a costruire il partito come fatto materiale, a rafforzare il nostro tessuto militante, il senso di appartenenza, l’impegno all’autofinanziamento, alla presenza politica, alle pratiche sociali. Che questa possibilità ci sia lo dimostrano alcuni indicatori non di poco conto. Ne cito due. Le 40 mila sottoscrizioni al 2Xmille a favore di Rifondazione Comunista – grazie soprattutto ai compagni e alle compagne che si sono attivati nei territori per questo risultato -, la riuscita e il numero rilevante delle nostre Feste di Rifondazione Comunista che è andato crescendo in questi ultimi due anni. Dati significativi che parlano di una potenzialità, di un possibile salto in avanti se solo sapessimo comunicare e raccontare con più efficacia quello che proponiamo, le cose che facciamo. Il problema, tante volte, non è l’assenza d’iniziativa, di presenza, di lavoro, di risultati ma il fatto che comunichiamo troppo poco, che non diamo visibilità, risalto al nostro esserci. Su tutto questo e altro ancora siamo impegnati a dare corso alla traccia di lavoro contenuta nel documento uscito dalla discussione di Spoleto sul rilancio del partito. Tra questi, per citarne alcuni, l’individuazione più precisa di compiti e responsabilità in tema di feste, di comunicazione, di tesseramento ben sapendo di compiti e di responsabilità che oggi come oggi si reggono per lo più sull’apporto volontario di compagne e compagni. Vorrei sottolineare che quella traccia di lavoro propone un modello di partito in discontinuità con logiche prettamente politiciste, un modello di partito che deve essere capace in primo luogo di esaltare il saper fare, la partecipazione, il valore dell’esperienza, delle pratiche sociali, lo stare dentro il conflitto. Lo stare in rapporto dialogico con tutte le esperienze di lotta e di movimento. Con quale spirito affrontare questa mole di lavoro? Con lo spirito indicato nel manifesto posto all’entrata di questa festa là dove si parla di un “futuro da conquistare”. Sempre per usare le parole di Marx “la sotria non fa niente”. I cambiamenti, i risultati, le conquiste sono opera degli uomini e delle donne. Io penso che insieme a un’idea di futuro, di ritrovata combattività un gruppo dirigente abbia il dovere osare, di trasmettere questo senso del possibile.

P.s. Bella sorpresa! Dati 2X1000. Gli ultimi dati parlano di 50.597 sottoscrizioni “L19” a favore del Partito di Rifondazione Comunista con un aumento del 10% rispetto alle sottoscrizioni dell’anno scorso.

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