sanitadi Roberto Gramiccia
“Da martedì sera abbiamo circa il 20% delle ambulanze ferme, bloccate ai pronto soccorso perché non ci sono letti dove mettere i pazienti e devono usare le nostre barelle. Così si rischia il collasso, non abbiamo più mezzi da usare nella fascia di punta e i pochi disponibili sono destinati solo ai codici rossi”, questa è la denuncia resa pubblica, dopo essere stata inviata a tutte le autorità competenti, da Livio De Angelis, direttore della centrale operativa del 118 di Roma. Se queste parole fossero stralciate da un romanzo, farebbero pensare a una situazione di guerra. E invece no, Roma non è sotto bombardamento. O meglio lo è, solo che invece delle bombe ad abbattersi sulla capitale, oggi più che mai simbolo dolente di un paese martoriato, sono i tagli del Governo Monti che stanno producendo gli effetti che avevamo abbondantemente previsto.

Non per caso, la zona dove si è determinato il caos che ha costretto De Angelis a lanciare il suo SOS è una di quelle che ha il numero di posti letto più basso, 2,2 ogni 1000 abitanti, quando ne sono previsti 3,7  a livello nazionale. E badate bene, questo rapporto, dogmaticamente individuato e imposto dai pretoriani di Monti e Balduzzi, è ben lontano dal  4,8 della media europea. Ma per quale motivo se in Europa sono previsti circa 5 posti letto ogni mille abitanti noi ne dobbiamo avere 3,7? E con quali modalità è spalmata, poi, questa percentuale se, persino a Roma, essa  precipita in alcune zone al 2,2? Potete immaginare cosa succede in territori più periferici e lontani dalle grosse metropoli.
E’ evidente che, al punto in cui siamo, ormai il codice rosso non  riguarda alcune fasce sociali (che già sarebbe gravissimo) ma la Sanità pubblica universalistica nel suo complesso, così come è stata concepita a partire dalla 833. Il SSN rischia di diventare un malato terminale. Ed è proprio di fronte a questa emergenza che dobbiamo sostituire il fioretto della critica con la sciabola di chi deve combattere l’ultima battaglia a difesa della propria stessa vita. Sì perché di vite si tratta. Si tratta di gente che muore sulle barelle perché non trova più un posto in ospedale! E questo nel paese che fino a poco tempo fa era considerato il secondo nel mondo per efficienza sanitaria.
Ebbene, la battaglia che non possiamo non vincere è quella di tenere Monti e i suoi ministri lontano il più possibile dal governo. Altrimenti ci aspetta un futuro americano. Altrimenti la salute nostra e quella dei nostri cari sarà funzione della carta di credito. Anzi non basterà nemmeno quella, perché è ormai ampiamente riconosciuto che la sanità privata non cura bene nemmeno chi ha i soldi perché è legata a intrecci di interesse perversi e insanabili. L’occasione per fortuna ci sarà fornita a breve. Questa occasione è rappresentata dalle elezioni politiche e regionali.
C’è bisogno di un’affermazione di Rivoluzione civile! C’è bisogno di un pronunciamento della sinistra diffusa che ancora c’è in questo paese. C’è bisogno che gli astensionisti di sinistra vadano a votare e che gli abbagliati dal populismo casinista capiscano che, se questa volta non ci sarà una vera e propria insorgenza civile, la Sanità pubblica ce la tolgono e non se ne parlerà mai più.
Non osiamo pensare a cosa succederebbe con un apparentamento fra Bersani e Monti dopo le elezioni. La saldatura delle componenti moderate del PD e delle élite montiane tecnocratiche (per di più arruffone e strampalate, vedi il Decreto Balduzzi) ci consegnerebbe a un futuro fosco che dobbiamo a tutti i costi evitare. Ecco perché oggi votare per la lista Ingroia è diventata una questione di vita o di morte. E non solo in senso figurato. Spieghiamolo a tutti!

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