121128degregoridi Massimo Bernardini
Mi succedeva, una volta, in un’altra vita professionale, di scrivere di canzoni appena uscite. Era il rito esclusivo, emozionante di trovarsi fra le mani fragranti i nuovi vinili, poi cd, in anticipo di qualche giorno dall'uscita. E doverne scrivere rispettando l’”embargo ”, come per un discorso papale o di un segretario di partito. Si era giovani molto seri allora, consapevoli che il privilegio di arrivare a “firma - re”per una testata, grande o piccola che fosse, comportasse quasi religiosa attenzione all'oggetto dell'indagine.Dunque si ascoltava e riascoltava decine di volte, prima di battere sui tasti un'azzardata opinione. Si appuntavano pensieri, si scalettavano percorsi.

Forse lo sapevamo che la possibilità di aver fra le mani capolavori come Metropolis (Guccini), La voce del padrone (Battiato), In questo mondo di ladri (Venditti), 1983 , Henna (Dalla), Oltre (Baglio - ni), Titanic,Scacchi e tarocchi(De Gregori), Paolo Conte dell ’84, Milady(Vecchioni), Ligabue (Lu - ciano Ligabue), Crêuza de mä,Le Nuvole(De André), Ventilazione (Fossati), Persone silenziose (Carboni), Samuele Bersani (Bersani) non sarebbe durata all'infinito. Ma l'idea di fare legittimamente, riconoscibilmente, la “profes -
sione” di critico, onestamente ci inorgogliva. Poi è andata a finire come sappiamo: tutto è diventato gossip, promozione, colore, le nostre opinioni un po’ si sono inaridite e hanno finito per disinteressare un po’tutti: artisti, discografici, pubblico, media.
Eppure dischi, buoni e cattivi, se ne continuano a fare e a me la voglia di ascoltarli non è venuta meno. Adesso sorveglio ITunes, preascolto dischi per 1'30" a titolo (in fondo come facevamo da ragazzi nelle “cabine ”dei negozi di dischi), qualche volta persino prenoto a scatola chiusa pagando in anticipo. Mi è successo pochi giorni fa con Sulla strada, nuovo cd con 9 nuove canzoni di Francesco De Gregori, che ascolto e riascolto imbambolato da una settimana. Potrei “recensire”come un tempo questo bellissimo disco, ma nel dubbio che la mia competente (?!) disanima non interessi più a nessuno provo a ricominciare dal dettaglio. Cioè da una critica della canzone che mi imbambola più di tutte: Guarda che non sono io, 4'37" di musica.
Si comincia con semplici, scarni accordi di pianoforte sentiti uguali mille volte. Poi entra a gamba tesa la voce del “principe ”, con quel suo modo ormai definitivo di pronunciare che inizia di fretta, con dentro piccoli “vibrato ”da canto popolare, e poi stacca le sillabe o le lega in un modo che è ormai stile riconoscibile. La canzone si apre su una dichiarazione d'intenti spiazzante, persino un po’ sgradevole nella sua franchezza: amico che mi ascolti, non ti fare illusioni. Io, Francesco De Gregori da Roma, anni 61, non sono il mito che ti sei immaginato attraverso le mie canzoni: «Guarda che non sono io quello che stai cercando / Quello che conosce il tempo, e che ti spiega il mondo / Quello che ti perdona e ti capisce / che non ti lascia sola, e che non ti tradisce/Guarda che non sono io quello seduto accanto / Che ti prende la mano e che ti asciuga il pianto». In un disco di De Gregori così poco dylaniano come questo, è l'unico “furto ” esplicito al maestro di Duluth, anche se allargato di senso. La legittimamente derubata è It ain't me babe da Another side of Bob Dylan, 1964, la contro-ballata d’amore, manifesto del più fiero antisentimentalismo (per molti di noi un pezzo decisivo della nostra educazione). Dylan dice esplicitamente all’amata di non poter soddisfare i suoi sogni, di non poter essere il suo principe azzurro, di non potere colmare il suo bisogno di felicità. De Gregori allarga la visione ad una parte precisa del suo pubblico: «Cammino per la strada / qualcuno mi vede e mi chiama per nome / Si ferma e mi ringrazia / Vuole sapere qualcosa di una vecchia canzone / Ed io gli dico: scusami però non so di cosa stai parlando / Sono qui con le mie buste della spesa/Lo vedi, sto scappando».
È un’ammissione insolita, quasi sgradevole, per un artista popolare. Ma perfetta per una artista che fin dall’inizio ha fatto un patto chiaro con l’ascoltatore. Te lo vedi davvero come in una fotografia, l’artista intercettato per caso fuori dal supermercato dal fan “fissa - to ”che fa coincidere l’uomo con le sue canzoni. E qui interviene Nicola Piovani a scrivere una partitura di archi semplice, scarna, fatta di note lunghe e avvolgenti (armonie a tre parti più il basso), che subito porta la canzone in un clima che sta fra memoria e commozione. Qui l’invito al “De Gregori-dipendente” è ancora più esplicito: «Se credi di conoscermi / non è un problema mio / E guarda che non sto scherzando / Guarda come sta piovendo / Guarda che ti stai bagnando / Guarda che ti stai sbagliando (rima perfetta, degna del miglior De Gregori di sempre)/Guarda che non sono io». Piovani ha il campo libero, ed ecco una melodia danzante che ti si liquefa dentro, uno struggimento che ti prende alla gola. E Francesco continua: «Guarda che non sono io quello che mi somiglia / L'angelo a piedi nudi, o il diavolo in bottiglia /Il vagabondo sul vagone / La pace fra gli ulivi, e la rivoluzione / Guarda che non sono io la mia fotografia / Che non vale niente e che ti porti via». È la parola definitiva su quarant’anni di canzoni sempre metaforizzate, smontate, decrittate, interpretate, più o meno strumentalizzate. Come se De Gregori dicesse: quelle canzoni sono mie ma loro non sono io. Io cambio, ricomincio, mi sposto. Poi, come nelle arie d’opera del Settecento, c’è il “daccapo ”e la parte forte del ritornello si ripete tale e quale, sempre gli archi - più intensi però –a trasfigurarlo, fino a un ralenti musicale di chiusura perfetto. La più bella canzone di Francesco de Gregori? Boh, forse l’ho già scritto trent’anni fa per “La leva calcistica della classe ‘68 ”in Titanic . Allora non vale. Sto all’oggi, sto al presente. È la più bella canzone che accompagna le mie giornate come non mi succedeva da tanto, tanto tempo.

Pubblico - 28.11.12

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