121128bandieraitalianadi Fabrizio Goria
Il 2012 come il 2001. È questa la fotografia che si delinea analizzando le stime del Pil per l’anno in corso. Per la prima volta nell’arco di undici anni il Pil italiano rischia di scendere sotto quota 1.600 miliardi di dollari. Lo si desume dalle stime composte di Fondo monetario internazionale (Fmi) e Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Disoccupazione in aumento, produzione industriale mai così male da vent’anni, Pil al livello minimo dall’introduzione dell’euro: le prove della crisi italiana sono sotto gli occhi di tutti.
Dal 2001 a oggi l’Italia è stata vittima della stagnazione economica, unita alla peggiore crisi dal Secondo dopoguerra.

Non è azzardato definire l’ultimo decennio come perduto, proprio come successe al Giappone negli anni Novanta. Prendendo in esame il Pil a prezzi costanti, nel 2001 si è arrivati a toccare quota 1.608 miliardi di dollari. Dopo un 2002 e un 2003 sostanzialmente in pareggio a quota 1.614 miliardi di dollari, inizia un periodo espansivo che durerà fino al 2007, quando il Pil italiano ha raggiunto il massimo del decennio, superando di slancio i 1.700 miliardi di dollari e attestandosi a 1.722 miliardi. Poi, inizia il declino. Lo scoppio della bolla immobiliare statunitense colpisce tutti il mondo, contrae il commercio estero e provoca un calo dei consumi, che poi si ripercuoterà sulle economie occidentali, fra cui quella italiana. Ecco quindi che nel 2008 inizia la contrazione. Il punto più basso nell’anno successivo, quando il Pil torna a quota 1.609 miliardi di dollari. Un repentino salto di 113 miliardi di euro. Poi inizia la risalita, leggera e debole: 1.638 miliardi di dollari nel 2010 e 1.645 miliardi nel 2011. Infine, l’anno in corso. Prendendo in esame le stime per quest’anno, è legittimo aspettarsi un Pil di 1.604 miliardi di dollari. Come mai dal 2001.
Nel tentativo di frenare l’irrefrenabile, dal 2007 a oggi i governi che si sono susseguiti a Palazzo Chigi hanno lanciato manovre economiche (comprese quelle straordinarie) per 218,5 miliardi di euro. Una cifra imponente, che però non è servita a ribilanciare i conti dello Stato. Il debito punta ad arrivare a superare i 2.000 miliardi di euro entro la fine dell’anno e oggi l’Ocse ha spiegato che la recessione farà compagnia all’Italia anche nel 2013, con una contrazione attesa del Pil pari a 1 punto percentuale. Un altro tassello negativo per l’economia del Paese.
Il decennio perduto dell’Italia si può notare anche due altri indicatori: produzione industriale e reddito disponibile delle famiglie. Per quanto riguarda il primo capitolo, siamo tornati al 1987. I dati dell’Ocse sono chiari. Dato 100 nel 2005, l’ultimo dato disponibile sull’Italia è relativo a settembre, quando la produzione industriale si è attestata intorno quota 83 punti, in media con il resto dell’anno. Nel 2011 fu a quota 88.4, cinque punti in più. Per trovare un dato più basso bisogna tornare al 2009 o al 1987, entrambi a quota 82.7.
Senza confronto nemmeno il confronto delle vendite del settore industriale italiano. Nel secondo trimestre dell’anno in corso, sempre facendo base 100 nel 2005 e utilizzando i dati Ocse, l’Italia si è fermata a quota 94. Nel 1990 il Paese era a quota 106. Dura l’opinione di Morgan Stanley su questo punto: «Il Paese ha smesso di essere competitivo fra le fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta: è stato un lento declino, complice anche un comparto politico certo non sempre all’altezza».
Sull’onda di queste performance negative, il declino italiano registra record anche sotto il profilo della disoccupazione. Il tasso dei disoccupati nel terzo trimestre dell’anno è stato del 10,7%, in linea con il resto dell’anno. Se il 2012 si chiudesse su questi livelli, sarebbe il massimo dal 1999. «Nel prossimo anno il tasso di disoccupazione supererà quota 11%, avvicinandosi al 12%», avvisa J.P. Morgan. Una previsione facile da fare.
Per quanto riguarda invece il reddito disponibile, non si deve più parlare di decennio perduto, bensì di ventennio bruciato. Un’analisi di Morgan Stanley della scorsa settimana ha evidenziato che questa voce ha visto una crescita costante dal 1992 fino al 2007: l’indice relativo, fatto 100 nel 1990, è infatti salito fino a quota 110 nel 2007. Nell’arco di cinque anni la contrazione fino a sotto quota 100. E questo solo per il reddito disponibile, con i dati confermati dall’Ocse. Va da sé che anche il reddito disponibile procapite sia sceso al livello più basso dal 1996, con circa 21.822 dollari a testa all’anno. Per fare un paragone, utilizzando i dati del Fmi, la Finlandia ha un reddito disponibile procapite di circa 28.500 dollari l’anno. Altra ricchezza evaporata dall’Italia.
Non cambia la dinamica per il reddito totale delle famiglie italiane. La scorsa settimana la banca americana Goldman Sachs ha calcolato che nell’arco degli ultimi 20 anni il reddito è andato via via calando, con il risultato che si guadagna meno ora che vent’anni fa. Prendendo il 1991 come anno base a quota 100, dopo un picco fra 2006 e 2007 a quota 102, il 2012 ha visto segnare il minimo da vent’anni a quota 96. Considerando la situazione dei settori manifatturiero e industriale italiano, in pesante crisi, è difficile che possano essere salti in avanti per i prossimi due anni. Inoltre, dato il «massivo deterioramento dei risparmi dal 2008 a oggi», è facile che la contrazione dei consumi delle famiglie italiane si aggravi nel corso del 2013, sottolinea Goldman Sachs.
Oltre alla flessione del reddito, totale e disponibile, c’è anche quella del risparmio delle famiglie italiane. In due lunghe analisi sul credito italiano, Goldman Sachs e J.P. Morgan hanno evidenziato quello che numerosi nuclei familiari già provavano sulla propria pelle. Se nel 1980 si riusciva a risparmiare il 20% del reddito disponibile, in media nazionale, ora sia a ridosso del 10 per cento. Se in Francia e Germania, come anche nell’euro area questo elemento è rimasto quasi invariato, in Italia il declino è costante dal 1984: 28 anni di contrazione.
A seconda dalla prospettiva, il decennio perduto dell’Italia diventa un ventennio o un trentennio perduto. In mezzo, tanti governi, tanti sprechi, moltissime occasioni perdute. C’è però una sicurezza. L’economia italiana sta attraversando una delle peggiori congiunture dell’ultimo secolo e la crisi sta prendendo sempre più i connotati di qualcosa di ben più profondo. È difficile, sottolineano anche le banche d’investimento, che la ricchezza delle famiglie italiane possa tornare ai livelli del compresi fra il 2000 e il 2006, quando cioè, nonostante l’introduzione dell’euro, il reddito era ancora in aumento. Un mondo che non c’è più.

da www.linkiesta.it

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