ingroiadi Antonio Ingroia
Apro oggi un blog da quaggiù, in Guatemala, terra difficile ed assai lontana dal Paese cui ho dedicato la mia vita, per una semplice ragione. Sento l'esigenza di far sentire la mia voce. Anche per non darla vinta a quelli che pensavano di essersi liberati di me col mio trasferimento in America Centrale...
Perché questo titolo? Perché "Partigiani della Costituzione"? Per tante ragioni.
In primo luogo, perché mi piace ricordare quei partigiani che hanno fatto la democrazia nel nostro Paese e che per combattere meglio la loro battaglia per la libertà scelsero di fare resistenza lontano dalle loro città. Andarono in montagna. Ed io sto qui, sull'altopiano dove sorge Città del Guatemala.

In secondo luogo, per ribadire la mia non neutralità. Io sono stato ed ancora mi sento, anche se nel diverso ruolo di funzionario dell'ONU, magistrato indipendente, ma rispetto ai valori non sono neutrale. Sarò sempre dalla parte dei principi di giustizia e di eguaglianza. Partigiano in nome del diritto. Ed il diritto è il regno del giusto, non dell'opportuno.
In terzo luogo, perché mi sento partigiano della Costituzione, come ho più volte rivendicato pubblicamente. Dalla parte della Costituzione, dei suoi principi fondamentali e dei suoi valori fondanti.
Già, la Costituzione. E quale miglior modo per aprire questa mia rubrica da "partigiano della Costituzione", quale miglior modo per ricordare la mia fedeltà alla Costituzione, che spiegando la mia critica, anche aspra, nei confronti della recente decisione con la quale la Corte Costituzionale, custode della Costituzione, ha dato ragione al Presidente Napolitano nel conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo? C'è chi si meraviglia, autorevoli esponenti delle istituzioni e perfino la magistratura associata. Perché – dicono – la Corte Costituzionale non si tocca, non può essere criticata. Mi chiedo dove sta scritto. Il diritto di critica deve poter essere liberamente esercitato nei confronti di chiunque e di qualunque istituzione. Guai se non si consentisse il legittimo diritto di critica nei confronti di qualsivoglia provvedimento giudiziario, compresi quelli della Corte Costituzionale. Altra cosa, ovviamente, sono le invettive e gli insulti delegittimanti spesso piovuti addosso alle magistrature di ogni ordine e grado. Ma non confondiamo le due cose. Perché, altrimenti, si corre il rischio che il cliché dell'invettiva berlusconiana contro i provvedimenti giudiziari a lui non congeniali venga equiparato con ogni forma legittima di esercizio del diritto di critica, a discapito della libertà di espressione. Guai a trarre dall'abuso del diritto argomenti per limitare l'esercizio legittimo del diritto.
E poi: non cambiamo le carte in tavola. Chi è stato (ingiustamente) accusato di avere violato la legge, addirittura ledendo le prerogative della più alta carica dello Stato, sono i magistrati della Procura di Palermo, non i giudici della Consulta. E chi ha sollevato il conflitto fra poteri, accendendo il fuoco delle polemiche che ne è conseguito e si è propagato, non è stata certamente la Procura di Palermo...
E che dire di chi oggi, ringalluzzito dal tenore di un contraddittorio e parziale comunicato stampa della Corte costituzionale, pretende ancora di impartire lezioni di diritto costituzionale e di procedura penale ad alcuni fra i più illustri studiosi della materia come Gustavo Zagrebelsky, Franco Cordero ed Alessandro Pace? Ebbene, questi commentatori, alcuni dei quali giuristi improvvisati (siano o meno laureati in giurisprudenza poco importa) che rivelano scarsa dimestichezza con codici e Costituzione, oggi discettano sulle prime pagine di autorevoli quotidiani delle cantonate di cui si sarebbero resi responsabili i magistrati palermitani. Ignorando, fra le altre cose, che il meccanismo che la Corte vorrebbe applicarsi alle intercettazioni indirette del Presidente della Repubblica, e cioè la distruzione immediata senza il contraddittorio delle parti, non è in alcun modo previsto dalla legge, avendo la Suprema Corte di Cassazione più volte ribadito che anche l'ormai famigerato art. 271 del codice di procedura penale (peraltro applicabile solo a ministri di culto, avvocati, ed altre categorie professionali ben distinte dal Capo dello Stato) impone che le intercettazioni illegittime, prima della distruzione, vengano depositate a disposizione delle parti.
Il risultato è dunque che la decisione della Corte non ha risolto affatto il problema ed il GIP che verrà investito dalla Procura di Palermo sarà punto e a capo, perché la Consulta non è intervenuta in alcun modo sulla legge, com'era invece necessario. Ha invece soltanto dato ragione, platealmente, al Capo dello Stato, per bacchettare altrettanto platealmente la Procura di Palermo. Ma che farà il GIP, visto che il vuoto legislativo che già c'era è rimasto? Dovrà tornare alla Corte Costituzionale sollevando stavolta la questione di legittimità costituzionale perché la Consulta questa volta intervenga con le regole del diritto, e non con una decisione "politica". Un vero pasticcio che poteva essere evitato...
Ma di questo nessun "autorevole" commentatore sembra finora essersi reso conto. Sono tutti troppo presi dal suonare le fanfare. Così frastornati che c'è chi sembra non saper distinguere ancora oggi le intercettazioni accidentali dalle intercettazioni dirette. Provavo a spiegare ieri il "nostro" conflitto di attribuzioni ad un alto magistrato dell'America Centrale. Ebbene, perfino in Guatemala è ben chiara la differenza fra le intercettazioni dirette nei confronti di una persona, quando cioè si mette sotto controllo un suo telefono (ovviamente vietato nei confronti del presidente della Repubblica), e le intercettazioni accidentali, quando cioè sotto controllo è il telefono di altra persona che, appunto, accidentalmente telefona al Capo dello Stato. In Guatemala la distinzione è chiarissima, in Italia no. Povera Italia...

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