di Nicola Nicolosi*

Il decreto sulla 'spending review' ha un nome inutilmente ambizioso: “Disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati”.Infatti un'operazione di questa natura sarebbe stata possibile soltanto affrontando il tema delle riforme a partire da quella delle Pubbliche Amministrazioni in attuazione della Costituzione, della qualità della spesa e di una reale lotta agli sprechi; ricorrendo ad innovazione, risorse, semplificazione e favorendo la partecipazione delle parti sociali. Al contrario, il decreto del governo non è nulla di più di una mera operazione di tagli alla spesa ed ai servizi. 

La dimensione dei tagli, del 2012 e degli anni successivi (25,53 miliardi), i settori coinvolti che riguardano le Pubbliche Amministrazioni, la sanità, le autonomie locali, i beni e i servizi, e le modalità 'lineari' dei tagli stessi che colpiscono indistintamente situazioni virtuose e non, trasformano il provvedimento in una nuova vera e propria manovra economica pluriennale.

Mentre gli ottimisti attendevano, sulla base degli annunci, una manovra che coniugasse lotta agli sprechi, nuovi assetti semplificati delle strutture pubbliche, moderni strumenti di spesa utili a razionalizzare e redistribuire, ci si trova invece dinanzi a misure, da cambiare nel corso dell'iter parlamentare, dominate dall’esigenza di 'fare cassa' piuttosto che da un nuovo assetto della spesa pubblica. Così non potranno che essere colpiti e ridotti i servizi alle persone e al Paese - perpetuando l'errata convinzione secondo cui il rigore dei conti sarebbe lo strumento principale, quasi automatico, di crescita futura - mentre il Paese avrebbe bisogno di lotta alla evasione, riforma del fisco e introduzione di una patrimoniale sulle grandi ricchezze.

La cesoia dei tagli 'lineari' va ad incidere gravemente e pesantemente su tutti gli ambiti interessati dal provvedimento: dalla sanità ai luoghi di fornitura di beni e servizi, fino alle amministrazioni dello Stato e a quelle regionali e degli enti locali. E ancora: si abbatte sulla scuola e sulla ricerca, sul lavoro pubblico e sui cosiddetti 'esodati'. Insomma: si tratta di una 'riforma' al contrario, che chiude gli occhi al cospetto delle enormi sacche di privilegio e si scaglia contro i 'soliti noti' e contro tutti i settori pubblici.

Va da sé che il giudizio espresso dalla CGIL è molto duro: noi riteniamo che con l'attuale decreto si aprano due grandi emergenze nel Paese.

La prima si chiama 'lavoro': l'insieme di misure che riguardano sia quello pubblico sia quello privato sono destinate ad incidere sulla garanzia dell'occupazione, sulle condizioni del reddito, sugli istituti contrattuali e sulle stesse condizioni lavorative (peggiorandole), mentre il Paese è alle prese con una crisi recessiva sempre più grave. Tali misure agiscono congiuntamente sul lavoro pubblico e sul perimetro delle amministrazioni - quelle di governo e quelle che forniscono servizi alle persone - riducendo la sfera dell'intervento pubblico, che è sì da riformare ma non certo da abbattere.

La seconda emergenza riguarda l'assetto e l'abbandono della dimensione territoriale: emerge infatti un disegno di impoverimento e di scomparsa della presenza dell'intervento pubblico sul territorio, e a nessuno dovrebbero sfuggire le conseguenze di un simile approccio in una situazione di difficoltà quotidiana vissuta dai cittadini.

Se il percorso avviato dal governo arriverà fino in fondo, muteranno notevolmente non soltanto le configurazioni delle amministrazioni nel territorio (province; comuni fino a 5000 abitanti; amministrazione periferica dello Stato; società di gestione dei servizi in house e non solo; servizio sanitario; enti di ricerca), ma inevitabilmente anche la distribuzione del lavoro e la stessa occupazione nei vari territori, ad iniziare dalle tante e controverse misure ordinamentali che riguardano le Pubbliche Amministrazioni fino agli effetti degli interventi in tema di beni e servizi oltre che di chiusura di società che danno occupazione a tanti lavoratori. A questo riguardo va segnalata la recentissima sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittima la privatizzazione dei servizi pubblici locali: sarebbe gravissimo se il provvedimento di 'spending review' non ne tenesse conto.

 

Va infine ricordato che il sottoscritto, a nome della CGIL, ha presentato in tempi non sospetti una memoria presso la 5a e la 6a commissione permanente del Senato, proprio per denunciare i possibili effetti del provvedimento e per proporre cenni di emendamenti sostanziali nel solco di una 'vera' riforma. Non è servito a nulla, il governo ha tirato dritto. Ora Monti e i suoi ministri sono chiamati ad assumersi fino in fondo la responsabilità di un decreto che, se approvato, produrrà danni irreparabili all'economia del Paese e alla vita dei cittadini, dei lavoratori, dei pensionati.

*Segretario nazionale CGIL, Responsabile Lavoro Pubblico

 

 

 

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