Eleonora Forenza*
E’ nato il Governo Monti, è nata la III Repubblica nel segno della Bce, del neoautoritarismo, del colpo di Stato monetario, della collisione fra capitalismo e democrazia. C’è un nesso causale fra la fine del Governo Berlusconi e la nascita di quello Monti, finalizzato a compiere il processo costituente nella gestione neoliberista della crisi. L’uomo austero dell’austerity, già fan di Gelmini e Marchionne, guiderà la ristrutturazione neoliberista, allergica a democrazia, rappresentanza, politica. Insofferenti alle mediazioni, le classi dominanti si autorappresentano, scendono in campo direttamente nella squadra di “Supermario”: Vaticano, Esercito, Banche, università private. Il Governo Monti nasce grazie a Giorgio Napolitano, già garante della guerra in Libia, artefice di un’inedita virata presidenzialista, e grazie al Pd, che ha contribuito alla sospensione della democrazia e al mancato ripristino dell’espressione della sovranità popolare attraverso elezioni anticipate.
Come si intreccia questa rapida accelerazione del quadro politico con la nostra discussione congressuale? Crediamo risultino confermate l’analisi e la proposta strategica del primo documento, cioè di «unire la sinistra d’alternativa» e «uscire dal capitalismo in crisi». Ma al contempo pensiamo siano ulteriormente evidenziate quelle contraddizioni che abbiamo ravvisato nel documento tra analisi e proposta politica di fase e che hanno indotto alcune/i di noi a contribuire al dibattito con degli emendamenti: ci riferiamo soprattutto alla proposta del fronte democratico – rivolta in primis al Pd (già disponibile a costituzionalizzare il pareggio di bilancio) e che non fa i conti con l’impossibilità di un’uscita da sinistra dalla crisi all’interno del vincolo monetario e nella cessione di sovranità alla Bce – e alla mancata contemplazione dell’ipotesi di governissimo che invece, purtroppo, si è verificata. In relazione a queste contraddizioni abbiamo scritto negli emendamenti dell’«aggravarsi del solco tra le due sinistre per l’internità sostanziale della sinistra moderata al partito unico della Bce», dell’«impossibilità di qualificare in senso programmatico, e finanche in senso democratico, un’alleanza col centrosinistra», della necessità di costruire l’«opposizione costituente alla gestione bipartizan della crisi» e «a qualsiasi ipotesi di “governissimo”». Abbiamo ribadito che «l’opzione strategica del Prc, da praticare anche nell’immediato sul terreno elettorale nel caso del prevalere di ipotesi neocentriste o di grandi coalizioni, è la costruzione di un polo autonomo, sociale e politico, della sinistra d’alternativa che sappia riannodare i fili delle rivolte di questi mesi, costruire consenso sul conflitto, ricomporre massa critica su una reale alternativa di programma». Abbiamo, dunque, sollevato questioni di merito, e una preoccupazione: il tatticismo talvolta rischia di rendere più difficilmente praticabile la strategia e inficia le capacità di previsione e la coerenza tra analisi e proposta di fase. E ci chiediamo ancora (dopo la Direzione) se consideriamo Monti e le scelte del Pd una “parentesi” dopo cui si riproporrà un fronte democratico o possiamo – ci auguriamo – considerare questa proposta definitivamente archiviata. Come vedi, caro Ramon, abbiamo posto questioni tuttora non inessenziali e assolutamente lontane dalla logica di risse intestine.
Perché pensiamo che ora tutto il Prc, unitariamente e senza ulteriori indugi, si debba prefiggere come obiettivi la costruzione del polo autonomo della sinistra d’alternativa e dell’opposizione costituente, radicale e partecipata, a Monti e alle forze politiche che lo sostengono, attraverso la connessione di soggetti politici, sociali, di movimento- a partire dal radicamento territoriale del comitato «No debito» – e dei conflitti per i beni comuni, per il diritto al lavoro e al reddito. E’ tempo di movimento reale.
*segreteria nazionale