di Piero Bevilacqua
Come farà l'Italia a tornare in equilibrio se ogni anno dovrà pagare 40 miliardi per il fiscal compact e altri 100 di interessi sul debito? Perché dovrebbe essere solvibile un Paese in cui dilaga la disoccupazione e l'industria va in pezzi?
Qualcuno ricorda ancora le previsioni di Mario Monti a proposito delle liberalizzazioni varate dal suo governo, nel gennaio del 2012? Predisse allora che il Pil nazionale sarebbe potuto crescere del 10%. Una cifra che lasciò increduli tutti, e che gettò anche una piccola ombra di credibilità sulla figura di un così autorevole tecnico.
di Vladimiro Giacchè
Secondo Confucio la “rettifica dei nomi”, per pervenire a una corrispondenza tra parole e fatti, era un elemento necessario per il pensiero. Oggi, per capire cosa sta accadendo intorno a noi, non è meno necessaria la “rettifica dei numeri”. E in effetti i numeri che raccontano la nostra situazione economica vengono periodicamente rettificati. Ma bisogna distinguere tra due tipi di “retti - fiche ”. Da un lato ci sono le “revisioni ” delle stime precedenti a cui ci hanno abituato i documenti governativi. L’ultimo esempio è rappresentato dalla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza.
di Franco Frediani
Pur con i dovuti distinguo, il Cavaliere ha ragione: "La situazione oggi è ben più grave di un anno fa quando lasciai il governo e oggi l'Italia è sull'orlo del baratro". Vuol forse dire che rimpiangiamo “sua Emittenza”? Ma no... La sua ennesima sceneggiata null'altro è se non un tentativo penoso di ridarsi una parvenza di importanza, di utilità che non ha più da tempo (ammesso che ne avesse avuta mai una...). La gravità della situazione è data dal subentro di un premier ed di un governo con un "contratto" ben preciso: dissanguare l'Italia attingendo alle fonti facilmente individuabili, i lavoratori! B (Berlusconi) è stato ovviamente l'antesignano di questo modello politico ma la sua "condotta" ha creato l'implosione di un sistema che non era più tollerato neppure dalla sua parte politica.
di Alfonso Gianni
Qualche giorno fa, in questo stesso spazio, compariva un interessante articolo di Emilio Carnevali (“Oltre le due sinistre”) dedicato al dibattito sul superamento delle due sinistre aperto questa estate da Mario Tronti sull’Unità, cui è seguita una nutrita serie di contributi. Se rileggiamo il tutto alla luce dell’esito delle primarie del cd. centrosinistra, non si può non riscontrare alcune convergenze fra le analisi, le previsioni e la realtà. Se Tronti (di cui ben conosciamo la radicalità teorica e al contempo l’iperrealismo politico) si domandava retoricamente a luglio se avesse ancora senso una separatezza fra due sinistre «imprecise, provvisorie, incapaci di vera autonomia», Carnevali, con maggiore precisione, scrive che in caso di vittoria delle primarie da parte di Pierluigi Bersani con un esplicito appoggio di Nichi Vendola al secondo turno, il tema della ricomposizione della sinistra potrebbe tornare all'ordine del giorno.
di Antonio Musella
Le primarie del centro sinistra c'hanno consegnato uno scenario tutto sommato prevedibile. La nomenklatura democratica è sopravvissuta a se stessa, ed il segretario ha ottenuto una vittoria schiacciante nei confronti del sindaco di Firenze. Tappi di lambrusco scoppiettano in aria intorno ai tavoli dove si è costruita la vittoria, nelle regioni rosse fedeli al segretario, così come bicchierini di plastica bianca si riempiono del giallo colore del limoncello nei circoli democratici dalla Campania in giù.
Ma quale scenario ci consegnano le primarie del centro sinistra? Innanzitutto i media, soprattutto quelli molto vicini a quella che si presenta come la possibile nuova maggioranza di governo del centrosinistra, hanno esaltato il dato della partecipazione come grande elemento caratterizzante delle primarie. I dati dell'affluenza alle primarie del Pd sono stati paragonati a quelli delle regionali della Sicilia. Un metro di paragone assolutamente singolare che confonde paurosamente e pericolosamente i contesti.