di Massimo Giannetti
Decreto (quasi) blindato: 26 miliardi di spesa in meno in 3 anni Per Susanna Camusso, è «un'altra manovra recessiva». Il decreto del governo, accusa la Cgil, «mette a rischio mille reparti ospedalieri»
Più che una «missione collettiva», come l'ha definita Mario Monti dopo sette ore di maratona, la cosiddetta «spending review» sembra l'effetto di una scazzottata tra i vari ministri e tra questi e lo stesso premier. Il dicastero che ne esce maggiormente a pezzi, nonostante i tentativi di resistenza del titolare Renato Balduzzi, è quello della salute, il più delicato, mentre quello della difesa, il meno apprezzato dall'opinione pubblica, si conferma il più potente di tutti: è infatti riemerso praticamente integro dalla mannaia che si è abbattuta sulla spesa statale.
di Vincenzo Comito
«Titoli pubblici fragili, banche fragili, crescita fragile». Così Christine Lagarde, direttore del Fondo monetario internazionale, ha sintetizzato ieri a Tokyo il corto-circuito della crisi, spiegando all'Asia che i guai non sono solo dell'Europa e che le previsioni per l'economia mondiale del Fmi saranno riviste al ribasso la prossima settimana, in un quadro «diventato più preoccupante». Rallentano le economie emergenti, la disoccupazione Usa non scende sotto l'8,2% e in Europa Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, aveva parlato di debolezza dell'eurozona mentre annunciava mercoledì scorso la riduzione dei tassi d'interesse dall'1% al minimo storico dello 0,75%.
L'ottimismo propagandato dal Consiglio europeo del 28-29 giugno si è già dissolto. Le decisioni annunciate sono già tutte arenate. L'Eurogruppo ha rinviato di un mese la decisione sui 100 miliardi di euro per le banche spagnole, ha bloccato il pagamento dei fondi d'emergenza per la Grecia e inizia ora ad affrontare il buco delle banche di Cipro.
di Massimo Villone
Come se la Costituzione non ci fosse. La proposta del senatore Marcello Pera sull'elezione di un'assemblea costituente è pericolosa perché illegittima e grottesca. Dettata da un ceto politico in disarmo
L'assemblea costituente è l'ultimo sasso lanciato nello stagno della politica. È stata proposta il 7 giugno scorso - a firma di Pera, già Presidente del Senato, e di altri senatori del centrodestra - con l'As (atto senato) 3348. Ha ricevuto attenzioni, alcune ovvie, altre meno.
Cade un velo. Non più aggiornare, modernizzare: formule che negli anni hanno accompagnato il dibattito, leggendo la riforma come modifica anche sostanziale, ma alla fine rispettosa delle architetture fondamentali della Carta. Invece, la proposta vuole «la riscrittura del testo costituzionale», come dice la relazione. Mentre gli artt. 5 e 6 richiamano esplicitamente una «nuova Costituzione» e il «passaggio a un diverso ordinamento costituzionale».
di Mario Sai
Nel nostro Paese sono due i processi, che spingono in alto le percentuali della disoccupazione, a cominciare da quella giovanile: uno di lunga durata, dovuto allo sciopero del capitale che rende la nostra economia sempre meno produttiva e innovativa (ne viene che l'85% delle assunzioni hanno basso contenuto professionale oltre che essere precarie); ed uno innescato dalle politiche con cui si affronta la crisi: taglio alla spesa pubblica e compressione dei consumi. A ciò si aggiunge il sistema Fornero: allungamento dell'età pensionabile ed accorciamento della durata degli ammortizzatori sociali, di cui gli esodati sono la prima conseguenza.
La risposta del Ministro a tutto ciò, se avesse avuto i fondi, sarebbe stato un reddito minimo garantito, giustificato con la difficile condizione giovanile, di fatto per arginare il prevedibile aumento della disoccupazione involontaria.
di Moni Ovadia
Il mio amico Luciano Rapotez, 93 anni, ex comandante partigiano nella zona di Muggia - oggi segretario dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, sezione di Udine – non cessa di ripetere questa frase: «I dolori della tortura non vanno in prescrizione». In breve, la vicenda che lo portò a subire la crudele esperienza della tortura: dieci anni dopo la fine della guerra di Liberazione, Rapotez fu arrestato sotto casa sua a Trieste con l’accusa di triplice omicidio. La città giuliana viveva in quegli anni una lacerazione da guerra civile perdurante ed era pervasa da un forte revanscismo fascista. L’accusa era stata costruita ad arte per incastrare degli ex partigiani. Per farlo confessare gli agenti di polizia e di custodia, ex fascisti, lo sottoposero a 306 ore di tortura, nella forma di ogni sorta di tormento che il sadismo del torturatore alambicca contro la sua vittima inerme: ripetute percosse, privazione continua del sonno, negazione dell’acqua, del cibo e della soddisfazione dei bisogni corporali per giorni e giorni. Rapotez fu rimesso in libertà dopo l’assoluzione in assise per interessamento dell’onorevole Aldo Moro che era rimasto sconvolto dal suo caso e in seguito assolto in ogni grado di giudizio. Nel frattempo però la sua famiglia si era distrutta, non trovò più lavoro e dovette emigrare in Germania dove si rifece una vita.