Liberazione fa più che mai rima con lavoro quest'anno, anche se alla festa a esso dedicata mancano ancora sei giorni. Se dovesse passare la legge di riforma sul mercato del lavoro, la Fiom è pronta a mettere in campo «tutte le iniziative necessarie, compreso il referendum abrogativo». Ad affermarlo è stato il segretario della Fiom, Maurizio Landini, che ha partecipato alla celebrazione della Festa della Liberazionea Monte Sole di Marzabotto. Come spesso avviene, più radicale sulla questione la posizione del sindacato dei metalmeccanici rispetto a quella della Cgil. «Se la riforma passa per come viene discussa in Parlamento - ha aggiunto - per cui a un lavoratore licenziato si danno un po' di soldi ma si fa star fuori dalla fabbrica, è un cambiamento inaccettabile. Sono provvedimenti contrari ai principi della Costituzione e, se necessario, siamo pronti anche allo sciopero generale di tutto il Paese».
Mercoledì, 25 Aprile 2012
di Giuliano Pisapia
Sessantasette anni fa, in questa piazza, Milano ha ritrovato la libertà.
Oggi, qui, noi vogliamo ritrovare la fiducia e la speranza per guardare insieme al futuro.
La rivolta, a Milano, era partita già un giorno prima: a Niguarda la liberazione era già arrivata il 24 di aprile.
Il comandante Sandro Pertini aveva proclamato lo sciopero generale e tutta la città, il 25 aprile, era pronta a rialzare la testa.
Gli operai nelle fabbriche, gli studenti e i professori nelle università, le donne e gli uomini in tutta la città.
Alle due di un pomeriggio piovoso, carico di angoscia e di attesa, le brigate partigiane sono entrate in piazza del Duomo.Milano e l’Italia, non aspettavano altro che liberare nostra città e il Paese intero.
di Giorgio Cremaschi
Nonostante i filtri del palazzo e del sistema informativo italiano, il messaggio delle elezioni francesi è chiaro. Da sinistra e anche da destra si dice basta con l’Europa delle banche, della finanza e dell’austerità. E il sistema finanziario l’ha capito subito e ha automaticamente reagito facendo salire lo spread e calare le borse. Non sappiamo se alla fine la sinistra vincerà. Se dovesse succedere e se, cosa non scontata, Hollande dovesse mantenere i suoi programmi, si aprirebbe finalmente la crisi di quell’Europa che ci sta dissanguando.
Le elezioni francesi infatti sono avvenute all’insegna della messa in discussione dell’innalzamento dell’età pensionabile, della flessibilità del lavoro, delle delocalizzazioni, e – ultimo ma non da ultimo – del pareggio di bilancio e dell’accordo di rigore e austerità che, con il nome di fiscal compact, sta imprigionando nella catastrofe economica tutta l’Europa.
di Alfonso Gianni
Non credo ci sia molto da aggiungere alla constatazione sulla insoddisfazione dei cittadini italiani rispetto all'offerta politica attualmente esistente. Più interessante sarebbe ritornare sull'analisi delle cause della attuale profondissima crisi della politica e, in essa e come causa principale della medesima, della sinistra. Si scoprirebbe facilmente che una delle ragioni di fondo sta nella separazione tra cultura e politica, che purtroppo è ben presente anche nel campo della sinistra radicale, assumendo varie forme, tra le quali indubbiamente l'idea che per tratteggiare un profilo ideale-politico-programmatico, ovvero un'identità definita e riconoscibile al di là della contingenza, basti semplicemente assemblare, o confederare, quello che c'è del ceto e delle idee politiche esistenti o sommare le rivendicazioni che già provengono dai movimenti o definire ottime regole democratiche di una discussione dai contorni però del tutto indefiniti. Ovvero che si tratti di raccogliere il già seminato.
Ma, come esordisce il Manifesto per un soggetto politico nuovo , «non c'è più tempo» per buttarla sui massimi sistemi. E sia.
di Claudio Bazzocchi
Da lungo tempo ormai cerchiamo di mettere in guardia dall’azzardo della retorica antipartitica che è stata cavalcata imprudentemente anche a sinistra in Italia a partire da Occhetto, passando per Veltroni fino a Vendola. L’antipolitica travolge prima o poi chi crede di poterla cavalcare, poiché si rende immancabilmente ingovernabile lasciando tutti in balia di un incontrollabile risentimento popolare.
Tale risentimento arriva in questi giorni a mettere in discussione la presenza stessa dei partiti nella democrazia italiana chiedendo la fine di qualsiasi finanziamento pubblico.
Non vogliamo portare argomenti a favore del finanziamento pubblico. Altri commentatori lo hanno già fatto in modo autorevole (si veda Michele Prospero su l’Unità del 12 aprile).
Ci interessa qui rilevare che idea di partito politico abbiano coloro che chiedono la fine di qualsiasi forma di finanziamento pubblico. Ebbene, il modello è sostanzialmente quello del partito di opinione, del comitato elettorale o del soggetto non strutturato che mobilita i ceti medi istruiti su singole issues, per esempio dalla rivolta antitasse alla sicurezza per la destra, dai diritti civili alla green economy per la sinistra.