di Vladimiro Giacchè
Caso Ilva e caso Alcoa. Due storie molto diverse tra loro, che hanno però anche qualcosa in comune. In entrambi i casi, si tratta di ex imprese pubbliche che sono state privatizzate.
È un buon esempio di quanto pesino tuttora sulla nostra economia gli esiti delle privatizzazioni degli anni Novanta. Già questo sarebbe un ottimo motivo per occuparsene. Ma non è il solo. Oggi si torna a parlare della vendita di proprietà pubbliche per ridurre il debito. Sarebbe una buona idea? Capire cosa è successo venti anni fa può aiutarci a rispondere a questa domanda.
1) Dal 1992 al 2000 la gran parte dell’i n dustria di Stato e delle banche pubbliche è stata posta sul mercato. Si tratta del più ampio processo di privatizzazione mai realizzato in Occidente. La tecnostruttura guidata da Mario Draghi, all’epoca direttore generale del Tesoro (che mantenne la carica sotto 6 diversi ministri), privatizzò imprese statali per un valore di 220.000 miliardi di lire, oltre 110 miliardi di euro.
Intervista Luciano Canfora
di Paolo Valentini
Ce lo chiede l'Europa. Quante volte abbiamo sentito questa frase rintronare le nostre orecchie? Quante volte i media ci hanno riportato alla cruda realtà immobile dei tempi moderni, al diktat incontrovertibile che da Bruxelles, scivolando astioso verso le Alpi e infrangendosi violento e impietoso su Roma e il suo palazzo, è entrato nelle case di tutti gli italiani. Ce lo chiede l'Europa e tutto smette di essere complesso. Tutto diventa unilaterale. Sul tema, purtroppo, la sinistra esprime posizioni subalterne.
Luciano Canfora ha un'idea precisa su questo. Ha da poco pubblicato un libro per Laterza (È l’Europa che ce lo chiede. Falso!) in cui analizza la condizione attuale, smascherando senza pietà le trappole e i luoghi comuni che buona parte della classe politica, anche quella di sinistra, continua a ripetere fino allo sfinimento.
di Etienne Balibar
Jürgen Habermas ha parlato alto e chiaro sulla situazione europea e le decisioni che essa esige nell'articolo scritto assieme all'economista Peter Bofinger - membro del Consiglio tedesco dei saggi - e all'ex ministro bavarese Julian Nida-Ruemielin, uscito sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung il 3 agosto scorso (in italiano su Repubblica del 4 agosto) con il titolo «Rifiutiamo una democrazia di facciata», nel quale prende di mira le allusioni di alcuni membri del governo sulla elezione a suffragio universale di un presidente dell'Europa per legittimare il patto di bilancio europeo.
Nell'essenziale la tesi di Habermas è che la crisi non ha nulla a che vedere con le «colpe» degli Stati spendaccioni che gli stati «economi» stenterebbero a risanare (in tedesco «Schuld» significa sia «debito» sia «colpa»).
di Nicolò Ollino
Alla Lagor di Cerro Tanaro, provincia di Asti, si applica la Riforma Fornero del lavoro. Deteniamo infatti il triste primato della prima città che licenzia, dopo lo scassinamento dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, per motivazioni economiche quindi oggettive ed incontrollabili quindi molto spesso false e discriminatorie. Come è successo per esempio nel caso di Vittorio Gaffodio, 45 anni, Rsu FIOM/CGIL (come un altro licenziato, il terzo ad ogni modo è un ex FIOM, insomma: dei rompicoglioni da far fuori). A Vittorio il medico prescrisse l’impossibilità di svolgere il turno di notte in azienda per problemi di salute ma Vittorio da quando lavorava li alla Lagor afferma di aver fatto al massimo una settimana complessiva nel giro di vari anni di turno di notte.
di Marco Zavagli
Un concerto, il primo di un appuntamento che avrà cadenza annuale, per ricordare Federico Aldrovandi. Si terrà oltre un cartello diventato tristemente famoso. Quello che campeggia in via Ippodromo a Ferrara. “Zona del silenzio”. Sotto quella scritta sette anni fa giaceva sull’asfalto il corpo del ragazzo. Diciotto anni, morto senza una ragione sotto i manganelli di quattro poliziotti oggi condannati per omicidio colposo in via definitiva.
“Zona del silenzio” era diventato anche il titolo di un graphic novel scritto a quattro mani da Checchino Antonini e Alessio Spataro. La scelta ricadde su quel cartello perché ricordava la faticosa, spesso impossibile, ricerca di testimoni tra i residenti di via Ippodromo.