di Luce Manara
Su uno dei siti più attivi tra i simpatizzanti No-Tav c'è una foto con Nina e Marianna che sorridono davanti a una bandiera. Viene da dire che basterebbe guardarle in faccia, anche se la «giustizia» non guarda in faccia nessuno.
Di certo, non possono essere state loro a giustificare la guerra totale messa in piedi dalle «forze dell'ordine» per militarizzare la Val di Susa. Eppure, grazie al «teorema» della procura di Torino, anche loro, dopo due settimane di detenzione preventiva, sono finite sul banco degli imputati per «lesioni e resistenza a pubblico ufficiale», un reato che è in agguato ogni qual volta un cittadino si trova ad avere a che fare con una qualunque divisa (per «lesioni» si intendeva
un calcio non andato a segno e il lancio di un sasso non meglio identificato). E parlavano di rischio terrorismo...
Intanto, nessuna delle due andrà in carcere. Elena (Nina) Garberi è stata assolta da tutte le accuse. I suoi «precedenti» sono questi: ha tre figli, 41 anni, vive in Val di Susa, lavora in una cooperativa sociale ed è volontaria della Croce Rossa (che è pur sempre una costola dell'esercito italiano). «Sono stata assolta - dice Nina Garberi - ma come vittoria non mi piace: sarebbe stato giusto assolverci entrambe. Comunque continueremo a lottare per Marianna, noi non molliamo». Marianna Valenti, invece, è stata condannata con la condizionale a 8 mesi di carcere per resistenza a pubblico ufficiale. Ha 21 anni - forse un'aggravante - e non è stata assolta solo perché un carabiniere avrebbe giurato (in tribunale si giura) di averla vista lanciare una pietra. Ma bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza per capire se la ragazza è stata condannata per «concorso materiale» o «morale». Quindi, è possibile che un tribunale decida di condannare una persona solo per il fatto di essersi trovata in mezzo ai disordini scoppiati vicino al cantiere della Torino-Lione lo scorso 9 settembre. Gli avvocati delle militanti No-Tav, Gianluca Vitale e Marco Melano, per ora sono «moderatamente soddisfatti» dalla sentenza.
Ad attendere il verdetto, fuori dal tribunale di Torino, ieri mattina si sono dati appuntamento circa cinquanta militanti No-Tav. Il ritrovo si è presto trasformato in un corteo diretto in centro e aperto da due striscioni: «Torino e cintura-A sarà dura» e «No-Tav-Associazione a resistere». E certo non mancano altre occasioni per resistere, anche dentro un'aula di tribunale. Proprio ieri, infatti, durante l'udienza preliminare per gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio in Val di Susa, gli avvocati difensori di 45 imputati (uno ha patteggiato) hanno annunciato le prime richieste di proscioglimento. La procura, dal canto suo, ha chiesto il rinvio a giudizio per tutti gli imputati e 61 tra poliziotti e finanzieri si sono costituiti parte civile (dicono di aver subìto ferite e contusioni). Gli avvocati difensori, invece, contestano alla procura «un impianto accusatorio debole e una ricostruzione dei fatti non completa». Le arringhe della difesa continuano anche oggi e domani.
La politica, troppo impegnata nella sua autodissoluzione, sembra essersi dimenticata di quella che è una ferita ancora aperta, con i lavori della Val di Susa che sono solo all'inizio e su una strada tutt'altro che spianata. Paolo Ferrero, segretario del Prc, esprime solidarietà all'attivista condannata. «Continua il tentativo sistematico di criminalizzazione del movimento No Tav che da sempre è pacifico - spiega - e la sentenza, così come le arbitrarie carcerazioni preventive usate a man bassa in questi mesi non fermeranno la lotta». Il consigliere regionale piemontese del Movimento 5 Stelle, invece, ha un'idea tutt'altro che balzana, anche dal punto di vista giuridico. «Adesso - spiega Davide Bono - non ci resta che attendere la medesima condanna, più la sospensione dal servizio, per tutti gli uomini in divisa e non che sono stati visti, ripresi e fotografati nell'atto di lanciare pietre verso i manifestanti». Effettivamente, foto e riprese video, dovrebbero essere più attendibili della sola testimonianza di quel carabiniere che ha «incastrato» Marianna Valenti.
da il manifesto