di Keynesblog

Philip Pilkington e Warren Mosler in una Policy Note del Levy Institute (il noto centro di ricerca Post Keynesiano di New York che ha avuto tra i suoi schoolars Hyman Minsky) hanno avanzato un’innovativa proposta finanziaria che potrebbe risolvere la crisi del debito sovrano della zona euro: il “tax-backed bond“, ovvero l’utilizzo dei titoli del debito pubblico per il pagamento delle imposte.

Il meccanismo è il seguente: se (e solo se) un paese dell’eurozona va in default, cioè non riesce a ripagare un titolo di stato, tale titolo può essere utilizzato da chi ne è in possesso per il pagamento delle imposte in quel paese.

“Se, ad esempio un investitore detiene un bond del governo irlandese del valore di 1.000 euro”, scrivono i due economisti, “e il governo irlandese non riesce a pagare gli interessi o restituire il capitale, l’investitore può utilizzare semplicemente il titolo per effettuare pagamenti fiscali al governo irlandese per l’importo di 1.000 euro.”

Se il titolo è però detenuto da qualcuno che non paga le tasse in quel paese, chi è in possesso del titolo potrà venderlo a un istituto di credito sottoposto all’imposizione fiscale del paese in default, con un piccolo sconto (ad esempio 5 euro), per rendere l’acquisto conveniente, e l’istituto di credito l’utilizzerebbe per il pagamento delle imposte. Nell’esempio, una banca tedesca che fosse in possesso di un titolo di stato irlandese da 1000 euro potrebbe venderlo ad una banca irlandese per 995. La banca l’utilizzerebbe per pagare le tasse dovute dai suoi clienti al governo irlandese (come avviene normalmente quando un cliente fa un versamento al fisco), guadagnandoci quindi i 5 euro di sconto.

In altre parole, i bond di un paese in default diverrebbero una moneta per pagare le tasse. Keynes spiegò nella Teoria generale che lo scopo di chi opera in borsa è spesso quello di passare al altri la “moneta cattiva“:

Lo scopo privato dei più esperti investitori di oggi è lo to beat the gun come dicono gli americani, metter nel sacco la gente, riuscire a passare al prossimo la moneta cattiva o svalutata.

– John Maynard Keyes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, cap. XII

Lo stesso si può dire dei titoli di stato, come vediamo ogni volta che lo spread si alza. Con questo meccanismo invece i titoli divengono sempre “moneta buona” perché possono sempre essere usati per pagare le tasse.

Pilkington e Mosler richiamano l’attenzione sul fatto che paesi come il Giappone, che emettono la propria moneta, non si trovano ad affrontare costi degli interessi insopportabilmente pesanti sul loro debito, poiché, emettendo moneta, questi paesi possono sempre effettuare i pagamenti dei titoli alla scadenza. Gli investitori sanno che il Giappone può sempre creare yen a sufficienza per soddisfare i suoi obblighi. Non è così per gli stati membri dell’Eurozona che sono solo “utenti” e non emittenti dell’Euro. Di conseguenza, mentre molti paesi della periferia dell’Eurozona hanno un rapporto debito/PIL decisamente minore di quello Giapponese (oltre il 220%), soffrono per gli altissimi tassi di interesse.

L’idea alla base del tax-backed bond è quella di assicurare la fiducia degli investitori sui titoli di debito dei paesi periferici e, quindi, tenere sotto controllo gli interessi, senza la necessità di una uscita della zona euro e persino senza l’intervento massiccio della BCE. Insomma, un modo per dare al debito pubblico dei PIIGS un’aura di sicurezza comparabile a quello del debito dei paesi che emettono la propria moneta, ma senza la necessità di lasciare la zona euro.

Per questo motivo Pilkington e Mosler sostengono che, se questo piano fosse messo in atto, i titoli probabilmente non sarebbero mai effettivamente utilizzati per i pagamenti fiscali poiché gli spread si abbasserebbero a causa della ritrovata fiducia nel titolo posseduto.

Una proposta semplice che sembra non richiedere riforme a livello europeo, sempre complicate, e che potrebbe davvero dare fiato alla crisi del debito sovrano.

 

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