di Ermanno Rea

Se sul banco degli accusati arriva la cattiva politica e tutti ne chiedono lo smascheramento, il bando, la gogna, la cattiva politica che fa? Essendo una volpe capace delle più inaudite scaltrezze si unisce subito al coro e, alzando la voce ancora più degli altri, cerca di scaricare la responsabilità per intero sulla politica in quanto tale - la politica come prassi democratica - fino a cancellare ogni distinzione tra quella buona e quella cattiva, fino ad affermare che la politica è marciume di per sé e perciò va severamente condannata e possibilmente sostituita. Con che cosa? A questa domanda si risponde in maniera duplice ma convergente.

C'è chi dice: conferendo tutto il potere al popolo, purché questo popolo sia poi strettamente controllato da un capo incontrastato o, al più, da una ristretta oligarchia (vedi il caso Grillo).

C'è chi dice: conferendo tutto il potere a un uomo super-partes, a un «tecnico» non schierato ma dotato di grande carisma, da collocare, assieme ad altri «tecnici» suoi collaboratori (ma evidentemente di una pasta inferiore) dentro a un limbo ideologico né di destra né di sinistra, insomma in una nuvola bianca e asettica come la corsia di un ospedale, anzi una sala chirurgica.
Come se tutto questo non fosse bastato a mettere da tempo in uno stato di indicibile sofferenza la nostra democrazia, e a configurare non impossibili futuri scenari di regime, è arrivato non molti giorni orsono il magistrato Ingroia che, proponendosi a sua volta come deus ex machina dello sciagurato caso Italia, ha subito intimato ai partiti che avevano mostrato qualche interesse per la sua persona di fare «un passo indietro», insomma di non interloquire: giovanotti, lasciatemi lavorare...
Decisamente, corrono brutti tempi per la democrazia, vittima di un diffuso disamore che sa di naufragio della ragione del quale, temo, siamo tutti un po' responsabili. Lo siamo, quanto meno, per quell'assuefazione al peggio che ci impedisce di reagire allorché vengono pronunciate parole lesive, oltre che delle nostre istituzioni, della nostra stessa intelligenza intesa come patrimonio comune di verità non suscettibili di scavalcamenti. Lungo sarebbe l'elenco delle furbesche bugie quotidianamente pronunciate in nome del ripudio della politica.
Mi limito a citarne una sola, quell'autentica idiozia secondo la quale il signor Monti, proclamandosi fautore di cambiamento contro i presunti fautori dell'immobilismo, si collocherebbe al di là dell'antinomia destra/sinistra, ormai obsoleta.
Povera politica, ci mancava soltanto una sentenza di morte ufficiale. E' arrivata, pronunciata con accademica autorevolezza dallo stesso premier dimissionario e impavidamente reiterata da tutto il suo rampante seguito di fieri moderati. La politica è finita, parola di Monti. Destra e sinistra sono lemmi da cancellare dal vocabolario, e quanti continuano a battersi per una giustizia sociale non di facciata, ma sinceramente a favore dei deboli e degli indifesi, non sono altro che poveri sopravvissuti, naufraghi provenienti da un continente ormai sommerso. Il dogma insomma oggi si chiama Monti, detto anche l'Unico, più essenza ontologica che uomo. Quanto alla sua Agenda, si direbbe che essa ha la stessa inviolabilità della Legge mosaica, sia per quanto riguarda i contenuti sia per quanto riguarda i criteri di applicazione.
Come si vede, siamo oltre Berlusconi. Quest'ultimo si accontentava di mettere nell'angolo gli avversari. Monti li incenerisce: siete già all'inferno e non lo sapete. La politica è morta. Ora ci sono io al suo posto.

da il manifesto

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