marodi Luca Pisapia
L’abusata nozione di ‘intelligenza collettiva’ ha trovato in questi due giorni una delle sue più felici applicazioni. Un articolo sulla vicenda della nave Enrica Lexie del giornalista Matteo Miavaldi, ospitato sul blog del collettivo di scrittori Wu Ming, ha scatenato un’inchiesta collettiva che ha portato alla luce una serie di gravi inesattezze date per buone dai media e dai politici italiani. E soprattutto chiarito il ruolo giocato da alcuni personaggi. Come l’ingegnere Luigi Di Stefano, autore di una perizia difensiva volta a scagionare i due marò, subito rilanciata dai maggiori media italiani e arrivata a essere illustrata in una conferenza presso la Camera dei Deputati il 16 aprile. Peccato che sia emerso come l’ingegnere non solo non è tale, ma è invece sicuramente un dirigente nazionale di CasaPound.

E suo figlio Simone, della stessa associazione neofascista, è uno dei fondatori e il candidato alla presidenza della Regione Lazio. Tutto parte dall’esaustivo articolo di Miavaldi, redattore dall’India di China Files, che peraltro non intendeva entrare nel merito dell’innocenza o della colpevolezza di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, date le evidenti difficoltà d’interpretazione del diritto e delle convenzioni internazionali in materia. Piuttosto era teso a squarciare il velo d’ipocrisia con cui i media e la politica italiana hanno raccontato la storia. E ha aperto un ulteriore squarciosulla vicenda. Nella discussione sviluppatasi in seguito alla pubblicazione, è infatti intervenuto Di Stefano in persona, che ha riproposto la sua perizia: basata su fotogrammi provenienti da youtube, dai servizi dei telegiornali italiani e su un’intervista rilasciata al settimanale Oggi in cui a parlare è un fantomatico comandante/proprietario del peschereccio, Mr. Freddy Bosco.
Da qui prende spunto l’inchiesta collettiva, dato che di un Mr. Freddy Bosco la rete non offre traccia. Ecco che allora, piccato, l’ingegnere risponde con un curriculum vitae, a suo dire “inappuntabile”, dove dichiara titoli e collaborazioni con atenei che in realtà la controinchiesta scopre essere inesistenti, o non accreditati. Come confermato a ilfattoquotidiano.it dallo stesso Luigi Di Stefano, che ha ammesso di non essere iscritto ad alcun Albo provinciale di ingegneri e di avere conseguito la laurea, che dichiara “un semplice vezzo”, alla Adam Smith University: ente para-universitario per l’apprendimento a distanza e non accreditato. Un curriculum che invece lo certifica come dirigente nazionale e responsabile delle politiche energetiche di CasaPound.  A dimostrazione che bastava informarsi su chi fosse il presunto ingegnere e a quali associazioni appartenesse, prima di prendere per oro colato le sue deduzioni.
Sarebbe bastata una ricerca in rete. Ma probabilmente non è stato ritenuto opportuno farlo. Inebriati da cotanto patriottismo ed essendo in così buona compagnia nella difesa a prescindere dei due militari, alla stampa italiana non interessava chi fosse la fonte e da dove attingesse le informazioni. Perché in realtà la situazione è ancora più complessa. Come spiega lo stesso Di Stefano a ilfattoquotidiano.it, per redigere la perizia tecnica, non è andato molto oltre a una ricerca sulla rete: “Non ho mai telefonato in India, le fonti indiane mi sono state rivelate da alcuni giornalisti italiani (cita alcuni quotidiani ndr.) che avevano seguito il caso e avevano le loro fonti”. Quindi a Di Stefano hanno riferito alcune informazioni e diversi dettagli tecnici per l’estensione della famosa perizia gli stessi giornalisti che poi hanno certificato e validato i loro articoli grazie alla sua perizia. “Anche sì – risponde l’interessato -, se poi i dati non sono esatti hanno sbagliato loro”.
Una perizia che tra l’altro non è ripresa solo dalla stampa, ma anche dal Parlamento. E dopo che era già stata presentata proprio a CasaPound (5 aprile)  dieci giorni prima di arrivare fino alla conferenza organizzata alla Camera dei Deputati (16 aprile) su invito “di un deputato del PdL di cui non ricordo il nome” dice evasivo Di Stefano. Senza che nessuno avanzasse dubbi sulla sua legittimazione. Solo i Radicali, che hanno posto la questione al ministro Terzi senza ricevere peraltro risposta. Quello che un’inchiesta di due giorni sviluppatasi in rete ha quindi dimostrato è che da più parti, che si tratti della grande stampa o della politica, per mesi in Italia si è dato credito e risalto alle affermazioni di un dirigente della neofascista CasaPound, presentato a torto come ingegnere super partes. E senza nemmeno volere approfondire le fonti. Cosa che è invece riuscita in brevissimo tempo grazie al lavoro di scavo, di ricerca e di condivisione di diverse intelligenze connesse tra loro.

Dal Fatto quotidiano

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