ciedi Iside Gjergji
A. H., cittadino marocchino, viveva con la famiglia e lavorava come artigiano a Gioia Tauro quando la polizia lo ha trovato senza documenti e portato nel Cie di Isola Capo Rizzuto. Una volta arrivato nel centro è stato costretto a permanere – come egli ha poi raccontato al Tribunale di Crotone – in condizioni igieniche precarie, in ristrettezza di pasti e di luoghi all’aria aperta. Il 9 ottobre 2012, A. H. scopriva che sua madre era in coma. Chiedeva di poter andare a visitare la madre, ma il permesso gli veniva negato. Fu così che prese la decisione di protestare contro la restrizione della sua libertà e contro quelle condizioni di vita, che – secondo quanto dichiarato da A. H. al giudice – ‘manco gli animali’ conoscono.

A. A., cittadino algerino, viveva a Viareggio e lavorava come cameriere quando è stato trovato privo di documenti di identità e poi portato nel centro di Isola Capo Rizzuto. Anche lui ha raccontato al giudice delle condizioni di vita precarie nel centro, specificando che gli asciugamani e le lenzuola non venivano mai cambiati e che erano tutti costretti a mangiare per terra, per assenza di tavoli. Poi ha detto anche di non aver avuto la possibilità di difendersi, perché l’udienza di convalida si era svolta senza alcun interprete. Il 9 ottobre 2012, durante una delle solite “operazioni di bonifica” del centro, gli venivano sottratti degli effetti personali, perfino un deodorante stick. Anche A. A., stremato da quelle condizioni di vita umilianti, decise di non tollerare più quella situazione.
D. A., cittadino tunisino, viveva in Italia da molti anni e con la sua compagna, incinta di tre mesi, andava a fare la spesa quando è stato trovato senza documenti e portato in manette nel Cie di Isola Capo Rizzuto. Anche lui ha raccontato al giudice delle condizioni disumane del centro (ospiti bisognosi di cure, pasti scarsi e consumati per terra), ragione per cui anche lui decise il 9 ottobre scorso di unirsi alla rivolta degli stranieri trattenuti nel centro, reclamando la sua libertà.
E così hanno lanciato sassi e calcinacci all’indirizzo del personale di vigilanza del centro. Sono stati poi arrestati. L’imputazione riguardava i reati di danneggiamento e di resistenza a  pubblico ufficiale. Il Tribunale di Crotone ha ritenuto provati i fatti contestati agli imputati, ma li ha comunque assolti per legittima difesa.
La sentenza del Tribunale di Crotone segna un punto di non ritorno nella giurisprudenza italiana sui presupposti e sulle condizioni del trattenimento. Il ragionamento del Tribunale è particolarmente pregnante perché si appoggia innanzitutto sulle fonti sovranazionali che regolano la detenzione amministrativa degli stranieri irregolari, giungendo così a valutare illegittimi i provvedimenti di trattenimento degli imputati nel Cie, in quanto adottati in violazione degli artt. 15 e 16 della direttiva europea sui rimpatri 2008/115/CE. Tale direttiva, infatti, prescrive che il trattenimento dello straniero irregolare possa venire disposto solo quando ogni altra misura meno afflittiva risulti inadeguata. Il decreto di trattenimento, dunque, deve contenere sempre la motivazione per cui le altre misure meno afflittive, prescritte dalla direttiva, non possono essere adottate, pena la sua nullità. Avendo sempre come base giuridica il diritto europeo, il Tribunale di Crotone ha accertato poi che le condizioni di vita nel centro – che la sentenza descrive in modo analitico e definisce “lesive della dignità umana” – configurano una violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU).
Allora, se gli imputati sono stati privati della loro libertà personale in modo illegittimo e per di più fatti vivere in condizioni lesive della dignità umana, la loro rivolta nel Cie è da considerarsi legittima difesa, cioè proporzionata all’offesa ingiustamente subita. Punto. E’ questo che dice la sentenza.
Un’altra recente sentenza del Tribunale di Milano, per quanto diversa per impostazione e conclusioni, va comunque a rafforzare l’orientamento giurisprudenziale del Tribunale di Crotone. Anche qui, infatti, si denunciano a gran voce le condizioni di vita infernali all’interno dei centri di detenzione per immigrati. Il tribunale di Milano ha assolto 8 immigrati tunisini, che avevano partecipato ad una rivolta nel Cie di Via Corelli a Milano, bruciando materassi e altri oggetti, dal reato di devastazione (per intenderci, si tratta di quel reato introdotto nel codice penale in epoca fascista e di recente rispolverato ed utilizzato contro i manifestanti di Genova durante il G8 nel 2001) ritenendo insussistente quel “pericolo concreto per l’ordine pubblico” richiesto dalla norma. Il tribunale di Milano ha riconosciuto in questo caso la colpevolezza degli imputati soltanto per il reato di danneggiamento. Molto significative sono le pagine contenenti la motivazione della sentenza di Milano, perché anche qui, sulla base di molte testimonianze, emergono con forza le condizioni degradanti del Centro di identificazione ed espulsione di Milano, dove agli immigrati trattenuti vengono sequestrati illegittimamente ed ingiustificatamente perfino i telefoni cellulari.
Ho già scritto altre volte sui Cie, per denunciare la loro crudeltà ed incostituzionalità, ritenendoli non soltanto un luogo in cui vengono disumanamente segregati per 18 mesi quei ‘clandestini’ prodotti volutamente dalle leggi, ma anche come lo spazio attraverso cui capire ed interpretare l’essenza delle politiche migratorie in Italia. Si tratta di un anello decisivo nel processo di normalizzazione della clandestinità (così utile per gli imprenditori del nord e del sud, che richiedono sempre più lavoratori senza diritti e docili) ed una prova inconfutabile del razzismo di stato. Le sentenze dei Tribunali di Crotone e di Milano mettono soltanto il sigillo.

Dal Fatto quotidiano

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