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Intervista a Giorgio Cremaschi di Enrico Piovesana

Cremaschi, Piazza Affari a Milano come Zuccotti Park a New York? Spunteranno le tende davanti alla Borsa?

Le modalità della protesta non sono ancora state stabilite, ne stiamo ancora discutendo. Ma ci piacerebbe che al termine del corteo – che partirà alle 14 dall'Università Bocconi, simbolo del governo dei 'professori', e terminerà in Piazza Affari – si tenga una grande assemblea popolare per dare inizio a una discussione critica sulle politiche del governo Monti, che sono le politiche della Bce e la traduzione pratica dell'ideologia di Wall Street in Italia, che stanno distruggendo la cultura sociale europea.

Chi ha aderito finora a Occupyamo Piazza Affari?

Stiamo cercando di costruire la più amplia e plurale convergenza possibile. Il 31 insieme al comitato No Debito ci saranno la sinistra Cgil, rappresentanze Fiom, sindacati di base, Federazione della Sinistra, No Tav, ambientalisti, San Precario, movimento per l'acqua pubblica, centri sociali, Alternativa di Giulietto Chiesa e pure i 'grillini' del Piemonte. E speriamo che tanti altri ancora aderiscano. Abbiamo deciso di non vietare la bandiere, ma di volerne il più vasto assortimento possibile.

Prove tecniche di opposizione dal basso?

La manifestazione del 31 vuole essere l'inizio di un percorso, vuole mettere in moto un'opposizione politica e sociale contro questo governo che finora non c'è stata. Monti gode di un'immeritata 'zona rossa' di consenso, coralmente alimentata da tutti i media, che nessuno osa infrangere. Tutti ad applaudire la sua catastrofica politica, che risana i conti ma blocca la crescita del Paese con altissimi costi sociali. Una politica che applica al Paese il modello Marchionne, che tutela l'interesse degli azionisti ma non vende più automobili e licenzia gli operai.

La prima rivendicazione di Occupyamo Piazza Affari è la difesa dell'articolo 18.

L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non è solo un simbolo: è qualcosa di molto concreto. I precari non possono protestare per le loro condizioni perché altrimenti rischiano il licenziamento? Bene: cancellando l'articolo 18 questa situazione verrà generalizzata a tutti i lavoratori italiani. E il sindacato, Cgil compresa, è caduto nella trappola di un negoziato a perdere, come accaduto per la controriforma delle pensioni, passata senza nessuna opposizione: una cosa di cui Monti va in giro per l'Europa a vantarsi!

La sensazione è che la decisione sia stata già presa e che anche Camusso si limiti al gioco delle parti...

La Cgil non può rinnegare così palesemente la sua storia di difesa dell'articolo 18. Temo che la dirigenza stia imboccando ancora una volta, come per le pensioni, la più insidiosa strada del non approvare ma nemmeno contrastare. Se così sarà, all'interno della Cgil si andrà incontro a uno scontro drammatico!

E l'appello del presidente Napolitano affinché il sindacato metta da parte gli "interessi particolari"?

Le parole di Napolitano hanno suscitato in me fastidio e rabbia. Se il capo dello Stato si è rifiutato di ricevere i sindaci della Valsusa perché, come ha detto, la materia non è di sua competenza, perché mai sente il bisogno di intervenire su una trattativa sindacale? Ma soprattutto il capo dello Stato dovrebbe essere il primo a difendere l'articolo 18 in quanto garante della Costituzione, il cui primo articolo parla del lavoro come valore fondativo della repubblica come una condizione di dignità e diritti, no come lavoro purchessia.

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