120413bilancioLuciano Muhlbauer

Avreste mai pensato che si potesse commissariare, oltre il presente, anche il futuro delle persone e dei popoli, magari per il tempo di una o più generazioni? E che si potesse farlo nel silenzio generale, senza dibattito pubblico e senza nemmeno consentire ai diretti interessati di esprimere un parere? No? E allora siete indubbiamente degli inguaribili ottimisti, perché non solo è possibile, ma è esattamente quello che sta succedendo, qui ed ora.
Infatti, proprio ieri il Senato della Repubblica ha concluso il dibattito generale sull’inserimento nella Carta costituzionale del principio del pareggio di bilancio e, dunque, settimana prossima, salvo emergenze o incidenti, procederà al voto del provvedimento che modificherà gli articoli 81, 97, 117 e 119 della nostra Costituzione.

E non si tratta del primo voto, beninteso, ma dell’ultimo, cioè di quello definitivo. E se i senatori faranno come i loro colleghi della Camera dei deputati il 6 marzo scorso, approvando il disegno di legge costituzionale in seconda lettura con una maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti, allora, come stabilisce l’art. 138 della Costituzione, non sarà nemmeno possibile sottoporre la modifica costituzionale a referendum popolare.
Insomma, siamo alla quarta votazione parlamentare dal novembre scorso, eppure gran parte dei cittadini ne sa ben poco. Al massimo qualcuno ricorderà qualche Tg, dove si dicevano cose di buon senso, come “i conti pubblici devono essere in ordine” o “non si può spendere più di quello che si incassa”. Già, perché in assenza di un’informazione corretta e di un dibattito pubblico è difficile cogliere la natura deleteria e devastante di questa modifica costituzionale, che di fatto comporta l’impossibilità di promuovere politiche espansive nei momenti di crisi e recessione, visto che il pareggio di bilancio viene calcolato su base annua e non pluriennale, e il taglio continuo e permanente della spesa sociale. Per non parlare, poi, degli enti locali, i cui bilanci verrebbero sottoposti ai medesimi vincoli e ad un ferreo controllo dall’alto, spingendoli così definitivamente a svendere tutti i loro averi e servizi.
Non a caso, in altri paesi l’ipotesi di inserire in Costituzione il pareggio di bilancio ha provocato un grande dibattito pubblico. Persino il premier britannico, David Cameron, uomo di destra e sostenitore dell’austerity, l’ha criticata, parlando di “proibire Keynes per legge”, mentre negli Stati Uniti sono scesi in campo ben cinque premi Nobel per l’economia, considerandola “estremamente improvvida” e destinata “peggiorare le cose” (vedi Lettera dei premi Nobel). Alla fine, la stessa Amministrazione Obama ha cestinato la proposta, sostenuta invece dai Repubblicani.
Ma appunto, qui da noi non solo mancano l’informazione e il dibattito, ma se il Senato dovesse approvare la modifica costituzionale con una maggioranza dei due terzi, come ahinoi è probabile, nonostante i diversi appelli a non farlo (Prc, rivista Micromega ecc.), non sarà nemmeno possibile far esprime sull’argomento gli elettori e le elettrici. E così, un bel giorno di settimana prossima, gli italiani e le italiane, senza peraltro averci capito un granché, si potrebbero svegliare con il futuro commissariato.
Ma la cosa non finisce qui, poiché l’obbligo del pareggio di bilancio è figlio di un accordo a livello europeo. Anzi, si tratta di un vero e proprio trattato, firmato il 2 marzo scorso da 25 dei 27 Stati membri dell’Unione Europea, ed è conosciuto come “Fiscal compact” o patto fiscale. Insomma, se l’italiano medio sa poco del pareggio di bilancio, del fiscal compact sa praticamente nulla. E non per colpa sua, beninteso, ma perché nessuno si è preoccupato di fornire un minimo di informazione e di trasparenza.
Eppure, quel trattato è un’altra tegolata sulla nostra testa, perché non si limita a stabilire il principio del pareggio di bilancio, ma introduce anche altri vincoli, che chiariscono ulteriormente cosa vuol dire avere il futuro commissariato. Cioè, a partire da un inasprimento dei vincoli di Maastricht, definisce al suo articolo 4 il seguente meccanismo: il debito pubblico va ridotto fino al 60% in rapporto al Prodotto interno lordo (Pil), con un ritmo di un ventesimo all’anno. Tradotto in italiano, visto che da noi il rapporto debito/Pil è del 120%, questo significa prepararsi a delle manovre annue dell’entità di 40-50 miliardi di euro. Beninteso, nelle condizioni date, perché in caso di peggioramento della recessione, come indicherebbero le tendenze in atto, queste cifre sono destinate ad aggravarsi. Altro che “non ci saranno altre manovre”, come ha dichiarato l’altro giorno Monti, ce ne saranno a raffica!
Voi direte, almeno su questo ci chiederanno la nostra opinione? Ma figuriamoci. Primo, perché la nostra Costituzione non consente il referendum in caso di ratifica di trattati internazionali. Secondo, perché vi è un ampio e sconfortante consenso tra i partiti presenti in Parlamento, che aveva salutato la firma del fiscal compact in maniera praticamente unanime.
E così, in Italia –e non solo- rischiamo molto concretamente di fare la fine della Grecia, dove qualsiasi cosa decidessimo di fare o scegliere nelle urne o fuori dalle urne, nella realtà le decisioni saranno già state prese da altri e da altre parti. Insomma, commissariati per decenni e con lo smantellamento del welfare scritto nella Costituzione.
Cioè, una cura antidemocratica, nel senso più autentico della parola, e con tutte le carte in regola per non portare alla guarigione del paziente. Anzi, la costituzionalizzazione di quelle politiche già dimostratesi fallimentari, incentrate unicamente sul pareggio di bilancio e sul rifiuto delle politiche espansive per la crescita e l’occupazione, accontenterà forse la Merkel e la Bce, ma rischia molto concretamente di trascinare a fondo il nostro presente e il nostro futuro.
Ecco perché, sebbene la Grande Coalizione funga da potente anestetico, va fatto di tutto, anche in questi giorni, per esercitare la massima pressione sui Senatori, perché non approvino con una maggioranza dei due terzi la modifica costituzionale, e per far circolare il più possibile l’informazione su quello che sta succedendo.

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