nichi_vendola

di Arcangelo Rociola

Erano i primi giorni di aprile del 2005. Sulla banchina della stazione di Bologna si contavano decine di ragazzi. Tutti pugliesi, tutti meno di 30 anni. Aspettavano un treno che li avrebbe portati a Sud: Foggia, Bari, Lecce. Tornavano a casa per le elezioni. Una tornata elettorale che non avrebbero mai più dimenticato, perché le urne sancirono la vittoria di Nichi Vendola come governatore della Regione Puglia.

«Vivevamo quei giorni come un momento di festa. Sapevamo di fare la nostra parte, com'era già successo per votare Vendola alle primarie. Sentivamo che il nostro voto era un tassello essenziale per la Primavera pugliese».

Francesco, 28 anni, laurea in Scienze politiche, all'epoca era su quella banchina a Bologna. Oggi vive in Puglia. Non ha un lavoro, non uno stabile almeno. Prima stagista, poi tirocinante, poi nient'altro.

UN VOTO INDIMENTICABILE. Studiava nel capoluogo emiliano e da lì ha preso l'Intercity per Molfetta. Le immagini dei treni speciali, pieni di ragazzi che tornavano a casa per le elezioni regionali, sono ancora vivide nella memoria dei pugliesi. Allora, i comitati per Nichi Presidente erano anche in Emilia, a Roma, a Milano, e in tutte le città in cui vivevano i ragazzi che per studio o lavoro si erano trasferiti, ma che avevano la residenza ancora in Puglia e lì tornavano per votare.

Francesco ricorda quelle che chiama «le riunioni», la sera, a casa di amici. «Nichi era una speranza. Era assurdo. Un comunista, un omosessuale al governo della nostra regione. Ci sentivamo fieri di essere pugliesi, per la prima volta una specie di avanguardia della sinistra nell'Emilia rossa. La sera parlavamo di qualcosa che fino a qualche mese prima era impossibile. E oggi comincio a pensare che forse era davvero impossibile».

Dalla rivoluzione alla disillusione: la parabola del vendolismo

Era una rivoluzione. Adesso, dopo sette anni, di quelle sensazioni non è rimasto molto. Né in Francesco, né in altri ragazzi della Primavera pugliese. Non ci sono cifre, dati ufficiali. Ma è un sentimento diffuso. Un'atmosfera di disillusione che percepiscono anche gli strenui difensori del vendolismo.

Come Cristiano Corrado, del movimento La Fabbrica di Nichi, l'associazione che ha il compito di portare il verbo vendoliano sul territorio pugliese. «La spinta che c'era nel 2005 ora non c'è più», ammette, «un po' è normale che sia così, un po' la partecipazione ha ceduto il posto all'antipolitica. E le recenti vicende giudiziarie hanno contribuito. Ma il governo Vendola non è fallimentare. Abbiamo cambiato la Puglia, molto è ancora da fare, ma abbiamo fatto già tanto».

L'ABBANDONO DELLA MILITANZA. La militanza, si sa, è pietra forte su cui costruire la partecipazione, difficile da scalfire. Meno effimera della partecipazione motivata dall'emozione. Ma anche alcuni militanti hanno abbandonato l'attivismo politico dopo l'elezione di Vendola. «Ho militato per anni a sinistra. Prima in Rifondazione, poi in Sel. Oggi sono confusa».

Marina ha 25 anni. Nel 2005 era appena diventata maggiorenne. Quello per Vendola è stato il suo primo voto. La sua prima 'X' su una scheda elettorale. Viveva e vive a Trani. Ha fatto campagna elettorale per Vendola, militava nel partito che lo sosteneva. E ha continuato a farlo per qualche anno.

«Prima l'ho sostenuto con entusiasmo. Poi ho cominciato a sentirmi delusa. Impotente. La sensazione si è ampliata quando è stato sciolto il partito con cui Vendola si era candidato (Partito della rifondazione comunista, ndr). La struttura liquida di Sel non dava possibilità di incidere sui vertici. Oggi non saprei che partito votare. Manca un'idea complessiva, una strada da seguire, una visione del mondo». E allora ha deciso di lasciare l'attività politica e pensare solo ai suoi studi.

La poetica di Nichi contro la prosa della gestione del potere

Marina ricorda che, poco prima di essere eletto, Vendola chiese ai suoi militanti di «controllarlo, tirarlo per la giacca» se fosse diventato governatore. «Il potere logora», ripeteva in campagna elettorale ai suoi sostenitori, «tenetemi d'occhio».

E forse è stato la Cassandra di se stesso. «Vendola paga una gestione errata del potere. Forse si è circondato di cattivi consiglieri, ma gradualmente si è allontanato dalla base. Oggi la base non c'è più. Già alla rielezione (nel 2010, ndr) si sentiva che qualcosa era cambiato. Non era più la stessa atmosfera. Ora rimane poco. C'è disaffezione, rassegnazione». E rabbia.

DISAFFEZIONE E RABBIA. «Sembra impossibile eliminare quella sensazione di aria corrotta che c'è nei palazzi del potere», continua Marina, «non parlo di bustarelle. Ma di un'atmosfera in cui niente è fatto per niente, il furbo vince su chi si è rotto la schiena in campagna elettorale. Pensavamo di fare una rivoluzione». Ma non ci sono riusciti.

La poetica di Vendola si è scontrata con la prosa della gestione del potere. Chi lo ha seguito per passione si è dovuto confrontare con situazioni in cui non si fanno sconti a nessuno. Specie ai sognatori. Vendola pensava di salire le scale del palazzo della Regione con tutto il popolo pugliese, «ma nelle stanze ci è entrato lui e qualche suo collaboratore».

ANTIPOLITICA IN CRESCITA. Oggi il rischio che corre il governatore estremista, diverso, pericoloso e sovversivo (i quattro slogan scelti per la sua prima fortunata campagna elettorale) è di perdere la forza che aveva trovato nei ragazzi che lo hanno sostenuto. Un danno incalcolabile.

Per i giovani pugliesi il governo Vendola ha fatto tanto, sostenendone la formazione, l'entrata nel mondo del lavoro, la capacità imprenditoriale. Ma il sentimento di antipolitica mastica tutto. A volte è cieco. Altre vede bene, con occhio dissacrante, al di là dello sguardo ingenuo, un po' sognante, del poeta.

da lettera43.it Giovedì 19 Aprile 2012

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