di Giuliana Sgrena

In politica non è ammessa l'ingenuità. L'ho capito troppo tardi, quando mi sono accorta di essere caduta in una «trappola», vittima delle mie stesse convinzioni. Questa è la peggiore sensazione vissuta negli ultimi giorni. Non ho mai pensato che le primarie per le candidature fossero un esercizio di democrazia, non almeno quando a votare sono principalmente i militanti di un partito, tanto più se piccolo. Se poi, oltre all'organizzazione, manca anche il tempo e la preparazione cade tra Natale e Capodanno, è facile immaginare che la scelta è ancor più ristretta. Eppure, pensavo che nonostante i 23 candidati garantiti dal listino - una scelta discutibile non tanto per gli esterni

quanto per la segreteria più qualche altro prescelto - sottoporsi alle primarie fosse una sfida da accettare. Anche in condizioni difficili. In un contesto, quello laziale, che fin dal congresso, con poche eccezioni, mi ha sempre mostrato ostilità. Ma le compagne che sostenevano la mia candidatura - Chiara Ingrao, Luciana Castellina e Luisa Morgantini - cui se ne sono aggiunte/i altre/i, penso meritassero il mio sforzo per accreditarmi anche la fiducia dei militanti di Sel.
Fin da subito ho capito che c'era chi giocava d'anticipo, in Sel non si aspetta l'accettazione della candidatura dagli organismi dirigenti, si anticipa l'uscita pubblica. Di solito i nomi dei candidati arriva via stampa. Nessuno poi potrà smentirli, sarebbe l'ammissione della mancanza di controllo o, meglio, di democrazia nelle scelte.
Pensavo che a Sel avrei potuto portare dei voti raccolti al di fuori della cerchia stretta del partito e dei militanti, come era successo nel 2009 quando, prima ancora della sua costituzione ufficiale, alle elezioni europee avevo raccolto oltre 30 mila preferenze nel centro Italia, con una campagna fatta quasi esclusivamente con i miei mezzi e l'aiuto di qualche compagno/a che mi invitava alle iniziative. Anche allora nel Lazio ben poche, a Roma nessuna, tranne quelle nazionali.
Lo dico perché c'erano tutti i presupposti della mia sconfitta, ma siccome avevo lanciato la mia autocandidatura e pensavo fosse necessario far arrivare in parlamento anche la voce di chi è impegnato sul terreno della pace, del disarmo, dei diritti delle donne non solo in Italia, per coerenza non mi sono sottratta ad una prova tremendamente dura e frustrante. Che non rinnego perché l'esperienza sul terreno è sempre molto illuminante. Mi sono trovata schiacciata tra due gruppi contrapposti, uno espressione della dirigenza attuale e l'altro che capeggiava la rivolta dei territori. Ha vinto il secondo. Si trattava di gruppi organizzati: la maggioranza dei coordinatori di circolo hanno dato a tutti gli iscritti indicazione di voto, era un loro diritto ma poco compatibile con primarie libere. Naturalmente non tutti i votanti hanno seguito le indicazioni, ma in alcuni circoli le maggioranze registrate sono bulgare.
La mia partecipazione a Sel non è mai stata determinata dall'obiettivo di essere eletta, che purtroppo pare invece essere la motivazione di molti, ma di riuscire a fare politica, portando avanti i temi che più mi stanno a cuore per sprovincializzare una politica troppo ripiegata sui temi di politica interna e poco incline a definire una collocazione internazionale del nostro paese. Il paradosso nell'era della globalizzazione e delle rivolte arabe.
Il mio impegno in Sel non si esaurisce nelle campagne elettorali, la mia militanza continua con lo spirito critico che mi contraddistingue, nella speranza che si rompano quegli steccati che non favoriscono la democrazia interna.

da il manifesto

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