di Gianfranco Capitta
Il dolore per la morte di Renato Nicolini è soprattutto quello di una privazione di qualcuno insostituibile. Non solo per le chance che la sua presenza dava a una politica che pure lo ha sempre rifiutato, non gradito, messo ai margini mentre faceva posto, e si teneva stretti in primo piano i mediocri, magari incapaci, magari corrotti. Nicolini è e resterà insostituibile per qualcosa che ha fatto di molto concreto, qualcosa che lui stesso filosofava fosse «effimero», ma che si è rivelato duraturo come il marmo e inoppugnabile come un teorema copernicano. L'invenzione della «estate romana», la voglia di consumo culturale che ha snidato e attratto in centro la sera una popolazione che se ne stava chiusa in casa per paura e sfiducia, e che riscopriva invece, come in una saga delle favole antiche, quanto fosse «bello» vedere un film con altre migliaia di spettatori, vedere spettacoli che non avrebbe mai sognato di vedere, che fossero classici o elaborazione di avanguardia, ma in un luogo riconoscibile