di Annamaria Rivera
Era l’alba degli anni sessanta quando un gruppo di adolescenti vide per la prima volta un cadavere: il corpo ricomposto a malapena di un ragazzo, loro compagno di vacanze estive al mare. Per ironia tragica della sorte, lui, campione di tuffi, era precipitato da un’impalcatura del cantiere che costruiva l’Italsider di Taranto. Era una delle prime vittime dell’acciaieria, oltre che di una bocciatura scolastica punita con l’obbligo di un lavoro estivo.
Lavoro nerissimo, controlli zero e neppure il minimo rispetto della sicurezza: era il sistema, che sarebbe diventato sempre più reticolare, degli appalti e dei subappalti, favorito dalla stessa Italsider per tagliare tempi e costi dei lavori e disporre di manodopera sottomessa. Quello fu solo uno degli omicidi bianchi più precoci, destinati a diventare la lunga sequela che avrebbe scandito la vita quotidiana della città.