di Marco Revelli
«Chi rappresenta, oggi, il lavoro?», E soprattutto: «Chi lo rappresenterà nell'Italia del dopo-elezioni?». E «come?» Queste domande, che la Fiom aveva posto il 9 giugno, chiamando le forze politiche della sinistra a confrontarsi a Roma, al Parco dei Principi, hanno assunto in questi mesi una sempre più drammatica rilevanza. Che si chiama Taranto, Alcoa, Fiat, Termini Imerese, Carbosulcis... con gli operai costretti a scendere nelle viscere della terra (a 400 metri di profondità), ad arrampicarsi in cielo, su ciminiere e carro-ponti a decine di metri di altezza, a esporre i propri corpi e le proprie vite nude, per forare il muro di silenzio che si è alzato intorno alla loro condizione. E rimediare al vuoto di parola - e di rappresentanza nello spazio pubblico - che affligge oggi il lavoro. Senza che nel mondo della politica «ufficiale» nulla accada.











