di Roberto Musacchio

L’appuntamento è per sabato primo dicembre al Teatro Vittoria, nella Roma testaccina. Quelli dell’appello “ cambiare si può “ hanno deciso di convocarsi senza attendere l’esito delle primarie della coalizione PD, SEL, PSI, quasi a dire che loro comunque vogliono provarci a rappresentare l’alternativa e non solo a Monti ma alle politiche europee e a chiunque le interpreti. Quella alternativa che si fatica a ritrovare in quella carta d’intenti che accompagna la consultazione che avrà la sua prima tappa domenica 25 e dove c’è scritto con chiarezza che i trattati internazionali vanno applicati e che va fatto tutto ciò che serve a difendere l’euro.

Se poi i trattati si chiamano Fiscal Compact e se tutto ciò che serve a difendere l’euro è quell’insieme di scelte che hanno aggravato, in Grecia ma anche in Italia e in tutta Europa, la situazione, è proprio questa la ragione che porta i firmatari dell’appello, ma anche molti altri, a pensare che occorra cercare un’altra strada, non rassegnarsi al meno peggio.

Cosa che del resto è ormai normale in tutta Europa dove, a leggere il bel dibattito che ha dedicato al tema Le Monde, ovunque la politica si ridefinisce intorno alla discriminante di stare dentro o fuori le ricette di Bruxelles. E, in particolare a Sud, nelle caldissime Grecia, Spagna e Portogallo, sono in molti a dar vita a movimenti di grande dimensione e anche a riaprire una prospettiva, anche elettorale, per quelle sinistre che contro l’austerità si sono schierate.

In Italia la situazione, come evidente, è più complicata. Pesa ancora la sconfitta di una sinistra che provò a tenere aperta la partita,  prima di essere sconfitta al punto tale da venir sospinta fuori dal Parlamento. E la partita era precisamente quella di provare a non rimanere schiacciati in quei processi di costituzione di una Europa tecnocratica che si stavano profilando cercando di anticiparli e di modificare il corso degli eventi. Non ci si riuscì e non si riuscì neanche a discutere sul serio, collettivamente del perché. Mi è capitato di scrivere che ad esempio sull’ultimo capitolo triste di quella fase e cioè la sinistra arcobaleno c’è una sorta di rimozione e di tabù che mi fa pensare a una vecchia striscia di Linus, quella dedicata all’impiegato Bristow nel cui ufficio, 20 anni prima, era accaduta una sciagura che non si poteva nominare: il rovesciamento di un carrello da the!

Naturalmente la sciagura nostra è assai più grave e profonda perché ha comportato la sconfitta di un pensiero politico e della sua gente. Ma proprio per questo la rimozione ha prodotto esiti non appropriati. Da una parte c’è il tentativo di praticare una scorciatoia affidando alla affabulazione leaderistica la possibilità di sovvertire un intero ordine delle cose, un rapporto di forze che si è fatto ancor più negativo . Una sorta di super ottimismo della volontà che si fa dimentico di quel pessimismo dell’intelletto che serve a sorvegliare i comportamenti in modo che non si ingenerino  aporie e incongruenze troppo accentuate. Che poi, quando ci sono, alimentano il rischio di ricuciture affidate a populismo e trasformismo. Che gli elementi portanti di quella carta d’intenti, il Fiscal Compact, vengano criticati dall’interno è anche da guardare come utile ma senza però dimenticare che sono stati sottoscritti e che addirittura si è previsto impegnino la rappresentanza eletta, con una evidente cessione di sovranità che rende molto discutibile la persistenza di una sinistra autonoma nell’ambito del rapporto col PD. PD il cui approccio minimalistico a ciò che è cambiabile in Europa è evidente.

Dall’altra il rischio è quello di non riuscire più a pensarsi in grado non solo di resistere ma di provare a invertire il corso degli eventi. Una sconfitta che più che rimossa viene interiorizzata. Io ho trovato molto bello il 14 dello sciopero europeo nel corteo degli studenti uno striscione scritto a mano che diceva “ chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso” e penso che l’esaltazione del dover vincere per forza non sia buona cosa, non solo per la politica. Ma ho trovato altrettanto bello che i ragazzi scandissero  “ tutti insieme, famo paura “  a dire di una forza che torna a manifestarsi e a cui guardare per un futuro non rassegnato.

L’uso del romanesco “ famo “ mi riporta al Teatro Vittoria e alla assemblea del primo dicembre. Sarà un primo ritrovarsi delle forze che si stanno dichiarando non rassegnate ad un esito che considera scontato il meno peggio o la testimonianza. Che non sono poche. L’appello dei 70 è stato sottoscritto da personalità autorevoli. ALBA, molti dei cui intellettuali erano promotori del testo, lo ha condiviso collettivamente. Ci sono disponibilità che vengono dichiarate come quella del sindaco De Magistris. Parole interessanti arrivano da autorità come Ingroia. Forze come il PRC, che hanno comunque saputo resistere, si dicono a disposizione di un processo che sia convinto e democratico. E poi ci sono soggetti attraversati da un travaglio come l’IDV .

Ma siccome è chiaro che il punto non può essere l’assemblaggio di cose spurie, il tema è precisamente quello di avere una discussione pubblica aperta a tutti coloro che una alternativa  al meno peggio o alla testimonianza, la vorrebbero e che probabilmente non sono pochi. L’esistenza di una crisi profonda del campo della governabilità europea è reso evidente dal consesso ormai ridottissimo che hanno entrambi i poli che in questa area comunque si collocano. Come d’altro canto il successo dei cinque stelle è sicuramente di più della cosiddetta antipolitica che per altro è definizione che più si approprierebbe proprio a chi si rende esecutore delle scelte tecnocratiche. Se il tema è quello dello spazio per una proposta alternativa la risposta può essere positiva.

Ma lo spazio politico non è geometria ma, come quello cosmico, è fatto di energie in movimento. Le lotte aperte in Europa, ripeto, specie al Sud, questa energia la hanno ed anche una propria capacità di riflessione. Questo ci aiuta molto. Anche perché sono convinto che l’asse con la realtà franco tedesca cui guarda il PD non sia fertile. Hollande è in difficoltà e accentua le scelte di austerità. La SPD è subalterna ad una Merkel saldamente in testa nei sondaggi e a cui riaprono credito anche i verdi. Chi, come l’Italia, a differenza di ciò che pensa il PD, deve rovesciare il quadro dell’austerità per avere un margine di manovra, ha bisogno di guardare a Sud. Che ciò sia nelle cose avvertite tra la gente reale lo dice anche la dimensione delle manifestazioni del 14 che è stata assai simile a quelle del Sud e non limitata come al Nord.

Qui è il punto vero. Cioè la capacità di incarnare un bisogno ed una prospettiva che vivono nella realtà. In particolare di saper incontrare quei movimenti che questo bisogno e questa prospettiva li incarnano. Nessuna sfera della politica è più pensabile separata da questa dimensione. E dunque il campo di quella discussione pubblica di cui parlavo è quello del che fare, e come, nella dinamica dei conflitti e nella auto riflessione su di essi. Precisamente il contrario dell’assemblaggio di forze o, peggio, di ceti politici. Naturalmente c’è anche una discussione da fare sul quadro che si va profilando e che potrebbe vedere alla fine un ruolo centrale di governo di una forza come il PD magari con una Presidenza della Repubblica assegnata a funzioni di garante del quadro europeo. In mezzo le cose che sappiamo e cioè il rapporto tra il PD e il riassemblarsi delle forze centriste.

Ma la bussola per affrontare anche questi terreni non può che essere quella di una nuova capacità autonoma di proposizione di una alternativa reale e cioè fuori e contro le compatibilità europee. E della ricostruzione di una forza che sappia incarnarla.

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