di Mauro Ravarino
«Le garanzie democratiche non sono in dubbio solo al di qua delle Alpi, in Val di Susa. Lo sono anche in Francia, nella tranquilla Lione, blindata all'inverosimile. È stata una giornata dura, estenuante. Hanno cercato in ogni modo di non farci raggiungere la città capoluogo del Rhône-Alpes, di impedircelo con controlli continui» racconta Nicoletta Dosio, mentre torna verso il pullman e il freddo della sera gela i volti dei No Tav. Sono bloccati «come prigionieri», in attesa di ripartire per il Piemonte, la polizia spara un lacrimogeno contro i passeggeri, mentre nella piazza parte una carica contro trecento No Tav francesi.
Già sabato, un gruppo di No Tav in viaggio per il forum Avant-sommet era stato fermato e rispedito in Italia. Ospite, a quanto pare, non gradito.
Nicoletta, ex insegnante in pensione, da oltre vent'anni si batte perché la grande opera non devasti la sua terra, ieri ha percorso insieme a seicentocinquanta valsusini (dodici pullman partiti all'alba dalla Valle) il tragitto della contestata linea, per arrivare a Lione nel giorno del vertice tra Hollande e Monti. «Al traforo del Frejus, alla frontiera, siamo stati fermati dalla polizia e dalla gendarmeria francese. Controllati, siamo rimasti lì per tre ore. Poi, siamo stati ancora fermati due volte, al casello autostradale di Saint-Quentin-Fallavier e in un'area di servizio, dove non ci hanno lasciato nemmeno andare in bagno. Scortati dalle forze dell'ordine francesi siamo finalmente arrivati a Lione alle 15, nella piazza antistante la vecchia stazione ferroviaria di Brotteaux».
Una zona rossa con reti metalliche e poliziotti in assetto antisommossa, a un paio di chilometri dalla prefettura dove si svolge il vertice. All'arrivo dei valsusini, si è diffusa presto la notizia che la delegazione, composta anche dal presidente della Comunità montana Sandro Plano, che doveva recarsi al vertice Italia-Francia avrebbe rinunciato in segno di protesta contro il blocco dei pullman. A Lione, la neve del mattino ha lasciato spazio alla pioggia ghiacciata e in cielo un elicottero non ha mai smesso di volare sulle teste dei manifestanti. Gli italiani sono stati accolti dai francesi con un applauso. Insieme, un migliaio in tutto, hanno provato a organizzare un corteo. Si sono spinti fino alle reti e hanno cominciato a battere con i pugni sui reticolati, mentre alcuni lanciavano fumogeni. La polizia ha risposto usando spray urticante.
Non è tutto da buttare in questo viaggio a Lione. Anzi. Soprattutto, emerge un legame ancora più saldo con gli oppositori francesi («Il fronte è unico e va da Lione a Torino» dice il francese Daniel Ibanez). Mentre in Italia firme e «fori» vengono pubblicizzati a otto colonne, in Francia maturano i dubbi. La protesta non ha mai raggiunto i numeri italiani e nemmeno si è avvicinata, ma la severa relazione della Corte dei Conti francese sull'opportunità dell'opera (costi lievitati da 12 a 26 miliardi di euro e flusso delle merci diminuito) ha rotto una cortina di ferro. Gli interventi dei No Tav italiani sono stati molto ascoltati durante l'Avant-sommet («Abbiamo gli stessi problemi e l'identico interesse allo Stato sociale e siamo contro gli sprechi») e il presidente Hollande si trova ora una grana politica. I Verdi si sono detti contrari alla Ligne grande vitesse (Lgv) Lyon-Turin. Il ministro alle Politiche abitative, Cécile Duflot ha dichiarato la sua «opposizione non di principio ma attenta ai costi». E il segretario del partito Pascal Durand aggiunge: «La Torino-Lione, come Notre-Dame des-Landes (la contestata costruzione di un aeroporto vicino a Nantes), appartiene a una politica del passato oggi senza fondamenti. L'opposizione alla Torino-Lione è ancora poco conosciuta in Francia, ma cresce collegandosi all'altra lotta in difesa del territorio».
Il Manifesto - 04.12.12