121126primariedi Antonio Musella
Le primarie del centro sinistra c'hanno consegnato uno scenario tutto sommato prevedibile. La nomenklatura democratica è sopravvissuta a se stessa, ed il segretario ha ottenuto una vittoria schiacciante nei confronti del sindaco di Firenze. Tappi di lambrusco scoppiettano in aria intorno ai tavoli dove si è costruita la vittoria, nelle regioni rosse fedeli al segretario, così come bicchierini di plastica bianca si riempiono del giallo colore del limoncello nei circoli democratici dalla Campania in giù.
Ma quale scenario ci consegnano le primarie del centro sinistra? Innanzitutto i media, soprattutto quelli molto vicini a quella che si presenta come la possibile nuova maggioranza di governo del centrosinistra, hanno esaltato il dato della partecipazione come grande elemento caratterizzante delle primarie. I dati dell'affluenza alle primarie del Pd sono stati paragonati a quelli delle regionali della Sicilia. Un metro di paragone assolutamente singolare che confonde paurosamente e pericolosamente i contesti.

In ogni caso il dato vero parla di un netto calo del numero dei votanti rispetto alle primarie del 2005 che incoronarono Romano Prodi come leader della coalizione del centro sinistra. Un milione e duecentomila votanti in meno rispetto alla sfida che vedeva contrapposti Romano Prodi e Fausto Bertinotti. Ebbene ricordare che il Partito Democratico resta un apparato di enormi proporzioni capace di gestire pubbliche amministrazioni dal Nord al Sud, con sindaci e governatori. Allo stesso tempo tale gestione del potere rende il Partito Democratico una macchina che evidentemente raccoglie un consenso che va molto al di sopra dei tre o dei quattro milioni di votanti.
Il Partito Democratico, nei famosi sondaggi, si aggirerebbe attualmente intorno al 34 percento che vuol dire - contando una percentuale di affluenza intorno al 75% - all'incirca 12 milioni di voti. Alle primarie sono andati a votare circa 3 milioni di persone tra iscritti ed affini, insomma un dato che non si può definire esaltante per un colosso elettorale che sulla carta avrebbe un numero di elettori quattro volte superiore. Quindi le primarie di certo non possono essere una risposta né alla crisi della rappresentanza in quanto tale, né tantomeno alla necessità che si richiede, soprattutto a sinistra, di una vera alternativa al montismo.
Stupiscono le dichiarazioni anche di Nichi Vendola, che al secondo turno ha appoggiato il segretario Pierluigi Bersani. Vendola parla di "voto limpido e chiaro" come oggettivamente lo è stato quello per il segretario Pd, ma allude anche ad uno spostamento a sinistra della coalizione dopo le primarie arrivando a dire di essere fermo sull'opposizione di Bersani ai provvedimenti del governo su "Tav e decreto Ilva ad esempio". Frasi che stupiscono, visto che il Partito Democratico pochi mesi fa aveva lanciato una vera e propria campagna pubblicitaria in favore del Tav in Valle di Susa con tanto di manifesti e gigantografie. Ed ancora, proprio sull'Ilva, il partito di Bersani non sembra aver alzato le barricate nei confronti delle decisioni del Ministro Clini avallate dal governo.
Lo stesso Bersani, a pochi giorni dal secondo turno delle primarie, rispondeva a Vendola che gli chiedeva una dichiarazione contro il fiscal compact, che "la carta di intenti del centro sinistra andava bene così". Insomma sembra evidente che anche le primarie non ci consegnano una reale alternativa a quello che abbiamo visto nell'ultimo anno del governo Monti. Appare quasi fastidioso come temi assolutamente importanti e dall'alto valore etico e civile abbiamo soppiantato i temi della politica economica nella campagna delle primarie. Temi assolutamente condivisbili come la legge contro l'omofobia, le coppie di fatto, la cittadinanza ai figli dei migranti, che però hanno annullato di fatto temi come il patto di stabilità europeo, il fiscal compact, le urgenti misure di welfare a cominciare dal reddito di cittadinanza, una nuova idea di sviluppo economico del paese fondato sulla sostenibilità e non sull'aggressione e l'inquinamento del territorio e della salute.
Ecco a questi temi le primarie del centro sinistra non hanno fornito una risposta adeguata lasciando intendere in sostanza una certa continuità con la politica economica del governo Monti. Il nodo dell'alternatva passa però proprio dalla rottura del paradigma economico del montisimo frutto dei diktat della Bce, del Unione Europea a trazione tedesca e del Fondo Monetario Internazionale. L'alternativa vera passa per un sostanziale abbandono del fiscal compact, per la rottura del patto di stabilità, per l'introduzione di nuove misure di sostegno al reddito, per una tassazione dei patrimoni, per l'abbandono delle spese militari in favore della spesa sanitaria che lo stesso Monti ha annunciato di voler nuovamente rivedere. Ecco questa è una alternativa di sistema. Tutto il resto si inserisce nel solco di quello che abbiamo già visto.
Nei cosiddetti paesi pigs del sud Europa, sono nate esperienze politiche che si sono poste in rottura con le politiche di austerità e come interfaccia politica alle esperienze dei movimenti contro la crisi. E' noto a tutti il caso di Syriza in Grecia, ma anche in Spagna Izquierda Unida rappresenta oggi una alternativa sia al Partito Socialista sia al Partito Popolare al governo, così come in Portogallo Bloque de Esquerda è alternativo sia al centro destra che al Partito Socialista ed anche a quello comunista portoghese. In Italia la scena politica è priva di esperienze di questo tipo. Cosi' come, ad onor del vero, sebbene il mese di novembre ci abbia consegnato una effervescenza sociale nuova, non possiamo parlare di un vero e proprio movimento contro le politiche di rigore, ma al massimo di una grande mobilitazione degli studenti medi.
Ma resta il dato della mancanza di una alternativa politica vera e strutturale. Sabato1 dicembre al Teatro Vittorie di Roma, il cartello "Cambiare si può" ed "Alba" hanno tirato la volata alla presentazione del Movimento Arancione di Luigi de Magistris che sarà in campo alle prossime elezioni politiche di primavera. Una forza politica che viene dai territori e che dentro contiene sia volti vecchi e noti di una sinistra orfana del parlamento da cinque lunghissimi anni ma anche diverse esperienze nuove. Di certo l'apparizione del movimento arancione resta un dato politico nuovo. Interessante per chi pensa ad una alternativa a Monti ed alle politiche di austerity che possa somigliare al modello Syriza.
Luigi de Magistris non ha però ancora sciolto il nodo delle alleanze. Parla di discontinuità con il montismo, ed in effetti è stata una delle poche voci istituzionali contro il governo in questi mesi arrivando anche a disertare il vertice italo-tedesco di Napoli presenziato dal Ministro Elsa Fornero in segno di protesta politica. Allo stesso modo mantiene aperta la porta al dialogo con il duo Bersani-Vendola. Lo stesso Luigi de Magistris poco meno di sei mesi fa dichiarava che "non sarebbe mai salito su un palco con chi ha sostenuto il governo Monti".
Ebbene ora è il momento della verità, della scommessa possibile, ovvero quella di poter essere alternativi al Pd senza se e senza ma e di provare ad inserirsi nella stessa scia che sta caratterizzando lo scenario sud europeo di questo ultimo anno. Solo Luigi de Magistris può essere l'interprete di questa opzione. Nelle sue mani c'è la sola alternativa al montismo ed alla pericolosa demagogia populista di un "Grillo qualunque". Sbagliare la scelta delle alleanze per gli arancioni significherebbe consegnare il paese ad altri cinque anni di continuità con il montismo senza nessuna interfaccia possibile per il solo ed unico possibile motore del cambiamento: i movimenti sociali.

da www.huffingtonpost.it

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