di Checchino Antonini
«La parola di Stefano, anche quando la leggi in solitudine e in silenzio, non è mai soltanto parola scritta, c'è una spinta all'oralità trasmessa dal fraseggio e dal ritmo, dalla "tornitura" delle parole, dalla ricerca delle assonanze... Sulla pagina si coglie una promessa di voce, di ritmo, di suono che viaggi nell'aria e faccia vibrare i timpani, ovvero incontri un corpo. Ecco, c'e` sempre un invito all'ascolto e all'incontro».
«Senza dubbio. La scrittura, per Stefano, sia quella propria che di altri scrittori, è sempre qualcosa da mettere in azione attraverso la voce, la presenza del qui ed ora di qualcuno che quelle parole le estrae dalla pagina per renderle suono.
Nel farlo, Stefano è consapevole di togliere alla pagina il suo statuto di immobilità temporale rendendo le parole di colpo effimere, vocali, perdute nell'attimo stesso in cui vengono dette... Come se la scrittura, da sola, non fosse sufficiente a interpretare il mondo. E questo nonostante Stefano credesse moltissimo nell'atto dello scrivere, nella stesura lunga nel tempo, nel lavoro di cesello sulle parole, e credesse anche alla necessaria "aura" che avvolge ogni scrittore, e forse, di piu`, dovrei dire, ogni scrivente, ché Stefano era consapevole di una specie di sacralità dello scrivere, di chiunque, anche non letterato, lasciasse le sue visioni su una pagina... Ma poi tutto il tempo che è racchiuso e sigillato nella pagina, lui lo voleva tirar fuori, voleva far uscire i cavalli dai recinti, a costo di farli sbandare. Tutto il lavorio solitario e concentrazionario dello scrivente doveva acquistare un peso diverso, fatto di leggerezza, doveva aprirsi alla moltitudine, qui e ora, come se per lui il lettore si trasmutasse in ascoltatore. Stefano era un "leggente", le parole della scrittura non bastava dirle con la voce: dovevano diventare visioni, e pretendeva che anche i suoi lettori imparassero, quasi pedagogicamente, a divenire anch'essi dei buoni "leggenti"».
E' racchiusa in questo stralcio di dialogo tra Wu Ming1 e Marco Baliani il senso della letteratura sociale secondo Stefano Tassinari, la ragion d'essere di Letteraria che lui stesso fondò tre anni fa come rivista di letteratura sociale «capace di contenere elementi quali Storia e memoria, conflitto e lavoro, attualità e cambiamento di costume» (dall'editoriale del primo numero). E' grazie alla sua rivista se Tassinari continua a prendere parola sette mesi dopo la sua prematura scomparsa. Domani, 10 dicembre Wu Ming1 e Maria Rosa Cutrufelli presenteranno alla Sapienza di Roma (ore 15, aula VI di Lettere) il nuovo numero di Letteraria, il sesto della serie pubblicata dalle edizioni Alegre. Un fascicolo interamente dedicato all'eredità di Tassinari, più che un tributo si tratta di una prima esplorazione della sua figura di scrittore, poeta, drammaturgo, giornalista, documentarista, animatore culturale e militante politico. Oltre agli articoli (tra gli altri, di Wu Ming1, Carlo Lucarelli, Pino Cacucci, Marcello Fois, Bruno Arpaia, Marco Baliani, Andrea Satta, Maria Rosa Cutrufelli, per il sommario completo) il numero è arricchito da foto di Tassinari scattate da fotografi professionisti e non, come Mario Dondero, Raffaella Cavalieri, Luca Gavagna, Roberto Serra.